La violenza nello sport: perché bisogna parlarne

La violenza nello sport: perché bisogna parlarne

La violenza nello sport è un fenomeno diffuso e un tema urgente da affrontare per garantire la tutela di atlete e atleti. Non si tratta di casi isolati o di “mele marce”, ma spesso di un problema sistemico che richiede risposte strutturali. Associazioni come Change the game, fondata dalla giornalista Daniela Simonetti, promuovono da anni attività di sensibilizzazione per rompere il muro del silenzio e dell’omertà.

Le forme della violenza nello sport e i segnali a cui prestare attenzione

La violenza in ambito sportivo non è solo fisica. Riconoscerne le diverse manifestazioni è il primo passo per poter intervenire.

Tipologia di violenza Segnali e indicatori di allarme
Abuso psicologico e verbale Umiliazioni costanti, insulti, svalutazione, minacce, isolamento dal gruppo, eccessiva pressione per i risultati.
Abuso fisico Punizioni fisiche, allenamenti punitivi ed estenuanti, contatti fisici inappropriati, costrizione a gareggiare nonostante infortuni.
Abuso sessuale Commenti sessisti, contatti non desiderati, richieste di natura sessuale, molestie fino alla violenza sessuale vera e propria.
Negligenza (neglect) Mancata supervisione, attrezzature non sicure, sottovalutazione di infortuni, carenza di supporto medico e nutrizionale.

L’impegno per la denuncia: il ruolo di “Change the game”

Daniela Simonetti dedica da anni attenzione al mondo dello sport, denunciando pratiche che violano i diritti dei minori. Nel suo libro-inchiesta Impunità di gregge. Sesso, bugie e omertà nel mondo dello sport, fa riflettere sui rischi reali che corrono i giovani atleti e sull’importanza di infrangere il muro dell’omertà. L’associazione Change the game accompagna le vittime nel difficile percorso legale, sia nella giustizia ordinaria che in quella sportiva.

I casi emblematici che hanno scosso il mondo

La violenza nello sport non ha confini. Negli Stati Uniti, il caso di Larry Nassar, medico della nazionale di ginnastica condannato per aver abusato di centinaia di atlete, tra cui la campionessa Simone Biles, ha mostrato come l’abuso possa prosperare per anni nel silenzio dei vertici federali. Allo stesso modo, un rapporto indipendente ha denunciato una cultura di abusi verbali e psicologici radicati nel campionato di calcio femminile statunitense, normalizzati fin dalle leghe giovanili.

La risposta normativa in Italia: la Riforma dello Sport

In Italia, la percezione del problema è cambiata, portando a un’importante evoluzione normativa. Se in passato i regolamenti federali erano carenti, la recente Riforma dello Sport (D.Lgs. 36/2021 e successivi correttivi) ha introdotto tutele specifiche. Come si può verificare dalle fonti ufficiali del Dipartimento per lo Sport, le Federazioni Sportive Nazionali e le Associazioni Sportive sono ora obbligate ad adottare modelli organizzativi e codici di condotta per proteggere i tesserati. Una figura chiave introdotta è il Safeguarding Officer, un responsabile indipendente con il compito di prevenire e gestire ogni forma di abuso.

Cosa fare e a chi rivolgersi in caso di abusi

Riconoscere i segnali è il primo passo, ma è fondamentale sapere come agire. Se un atleta o un genitore sospetta o è vittima di un abuso, può e deve segnalarlo. I canali principali sono:

  • Il Safeguarding Officer della propria federazione o associazione sportiva, che è il primo punto di contatto designato.
  • La Procura Federale competente per la disciplina sportiva.
  • Le Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Carabinieri) per i casi che costituiscono reato secondo la legge ordinaria.

Secondo gli ultimi dati del CONI, i tesserati in Italia sono milioni, con una maggioranza di under 18. Le nuove normative rappresentano un passo fondamentale per garantire che lo sport resti un ambiente sicuro e di crescita per tutti.

Fonte immagine di copertina: Wikipedia

Articolo aggiornato il: 02/10/2025

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