Kobe Bean Bryant, nato a Philadelphia il 23 Agosto 1978, è considerato uno dei migliori (se non il migliore) giocatori della storia della pallacanestro. Noto anche come “Black Mamba”, Kobe è cresciuto ed iniziò a giocare a pallacanestro in Italia, girando tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e poi Reggio Emilia tra il 1984 ed il 1991 grazie al padre Joe, il quale militò nelle squadre delle città menzionate.
Tornato poi negli Stati Uniti all’età di 13 anni, si iscrisse all’High School Lower Merion di Philadelphia, dove riuscì a vincere il campionato nazionale.
L’inizio della carriera nella NBA
Non ancora compiuti 18 anni, decidendo di non passare per il college, Kobe si dichiarò eleggibile per il Draft NBA del 1996. Egli venne scelto alla scelta numero 13 dagli Charlotte Hornets, i quali decisero di scambiarlo subito con i Los Angeles Lakers in cambio del centro Vlade Divac. Questo scambio all’epoca fu considerato come molto sconsiderato, vista sia la giovane età di Bryant, il quale aveva un coefficiente di rischio alto, sia il giocatore che andavano a scambiare, ovvero un ottimo centro come Divac. I Lakers però, dopo averne osservato da vicino il talento, decisero di puntare molto su Kobe, soprattutto dopo l’arrivo nella franchigia di Los Angeles del centro più forte e dominante della NBA dell’epoca (e tra i migliori di sempre), ovvero Shaquille O’Neal.
Il 13 Novembre del 1996, Bryant debuttò tra i professionisti con il numero 8, diventando all’epoca il più giovane di sempre ad esordire nella lega professionistica americana. Inizialmente il suo ruolo era da riserva di altri 2 giocatori che si alternavano nel suo ruolo di guardia tiratrice, ma con l’avanzare della stagione e delle ottime prestazioni, come ad esempio la vittoria della gara delle schiacciate o performance molto costanti arrivando a quasi 10 punti di media, riuscì a ritagliarsi dello spazio per poter esprimere il proprio talento. Nei playoff però dimostrò ancora di essere acerbo: difatti nella sconfitta decisiva contro la franchigia degli Utah Jazz, Kobe sbagliò varie opportunità per aiutare la propria squadra, attirando su di sé molte critiche sia da parte dei media che dei propri compagni. In sua difesa però intervenne la star della squadra, ovvero Shaquille O’Neal, il quale spese parole di ammirazione verso il giovane Mamba, affermando come fosse stato “l’unico che ha avuto il coraggio di prendersi quei tiri”.
Alle critiche, Kobe reagì nella stagione successiva in modo determinato, raddoppiando la sua media punti, sfornando prestazioni ottime contro le squadre più forti della Lega, come ad esempio i Chicago Bulls di Michael Jordan, suo idolo e mentore. I Lakers nella stagione si presentarono ai playoff con un record molto forte, arrivando in Finale di Conference, perdendo però di nuovo contro Utah.
Nella stagione ‘98/’99, complici alcune cessioni nel suo ruolo, Kobe divenne ufficialmente la guardia titolare dei Lakers, firmando anche un rinnovo contrattuale con la franchigia. La squadra arrivò di nuovo ai playoff, dove però uscirono in semifinale per mano dei San Antonio Spurs, futuri campioni. A dimostrazione di come stesse diventando una delle giovani stelle più promettenti della lega, Kobe venne inserito nell’All-NBA-Team, ovvero il quintetto dei migliori giocatori della stagione.
L’inizio del successo
Nell’estate del 1999, sulla panchina dei Los Angeles Lakers viene ingaggiato come capo allenatore il leggendario Phil Jackson, ex allenatore dei Chicago Bulls 6 volte titolati di Michael Jordan, Rodman e Pippen. Nonostante ci furono delle indiscrezioni che vedevano una cessione di Kobe, il numero 8 gialloviola rimase e contribuì alla vittoria del campionato NBA, segnando circa 16 punti di media. Nella stagione successiva, quella 2000-2001, Kobe si prende sempre più spazio, iniziando a superare Shaq nel ruolo di leader, che provocò qualche mal di pancia per il centro. Nonostante queste frizioni, poi risolte, i Lakers arrivarono e dominarono i playoff, sconfiggendo alle NBA Finals i Philadelphia 76ers di Allen Iverson, conquistando così il secondo campionato di seguito.
L’anno successivo, Kobe ebbe una stagione molto positiva, con una media di 25 punti e 5 assist e rimbalzi per partita, vincendo anche l’MVP dell’All Star Game. Ai playoff la franchigia di Los Angeles raggiunse di nuovo le fasi finali, affrontando e vincendo prima una serie di 7 partite contro i Sacramento Kings proprio dell’ex Vlade Divac, e poi le NBA Finals dove riuscirono a sconfiggere i New Jersey Nets di Jason Kidd. Con la vittoria delle NBA Finals 2001-2002, i Los Angeles Lakers conquistarono il loro primo three-peat, mentre per l’allenatore Phil Jackson fu il secondo, dopo quello conquistato con la dinastia dei Chicago Bulls. Si tartta quindi del terzo anello per Kobe.
Gli anni di stand-by
Nella stagione 2002-2003 la seconda parte di stagione di Bryant registrò delle statistiche paurose, con una media di 40 punti di media in poco più di 14 partite, terminando poi la stagione poi con 30 punti di media. Nei playoff però i Los Angeles Lakers non superarono il secondo turno, venendo eliminati dai San Antonio Spurs.
L’estate del 2003 è un periodo molto difficile per la star gialloviola: difatti Bryant viene accusato di stupro, compromettendo per un periodo di tempo la sua immagine. Nonostante queste difficoltà di inizio stagione, poi superate, Kobe ed i Lakers riescono comunque a disputare un’ottima stagione, arrivando fino alle NBA Finals dove però verranno sconfitti dai Pistons, chiudendo un ciclo leggendario.
In seguito alla sconfitta, Kobe, dop aver riflettuto se cambiare o meno aria, si convince a rimanere e a firmare un prolungamento di 7 anni con i Los Angeles Lakers, che però andranno a sostituire l’allenatore Phil Jackson, che descriverà Bryant come “giocatore inallenabile”, diversi veterani e soprattutto Shaquille O’Neal, dirigendosi a Miami. Così i Lakers dichiararono come volessero ripartire da Kobe Bryant, che rimase, diventando il vero ed unico leader della franchigia.
Nel triennio 2004-2007 Kobe ed i Lakers attraversarono un periodo complicato, dovuto a piazzamenti fuori dai playoff ed infortuni per la loro stella più grande, con un ritorno anche in panchina di Phil Jackson. Singolarmente però, durante questo periodo si registrarono delle statistiche e delle prestazioni che rientrano tra le giocate più iconiche di Kobe Bryant: il 20 dicembre 2005 segnò 62 punti in tre quarti contro Dallas, lasciando il campo con più punti dell’intera squadra avversaria; il 22 gennaio 2006, contro i Raptors, mise a referto 81 punti, il secondo miglior punteggio personale di sempre (dietro solo a Wilt Chamberlain); nel 2006-2007 segnò più di 50 punti in 4 partite consecutive. Questi anni, nonostante i risultati della franchigia insoddisfacenti, affermarono Kobe Bryant come uno dei giocatori più dominanti della NBA.
Titoli 5 e 6 ed il declino pre-ritiro

Fonte immagine: Wikimedia Commons media; Sgt. Joseph A. Lee
Dopo gli insuccessi delle ultime 3 stagioni e dei rumors su una richiesta di trade, Kobe Bryant, che cambia numero da 8 a 24, rimane ai Lakers, e guida la franchigia in un’ottima stagione, grazie anche all’arrivo in casacca gialloviola di Pau Gasol. Durante la stagione 2007-2008, Kobe vinse il suo primo MVP della regular season, portando i suoi Lakers fino alle Finals, dove però persero contro i Boston Celtics.
Nella stagione successiva 2008-2009 i Lakers si confermarono come una delle squadre migliori della Lega, piazzandosi al primo posto nella West Conference. In questa stagione, il Black Mamba si conferma come superstar cestistica grazie ad una serie di prestazioni dominanti, come ad esempio i 61 punti messi a referto contro i New York Knicks al Madison Square Garden. Ai playoff, i gialloviola ritornarono alle NBA Finals, trovando e sconfiggendo gli Orlando Magic, aggiungendo in bacheca un ennesimo titolo di franchigia, il quarto per Bryant, che vinse anche il suo primo MVP delle Finals, registrando una media di 32 punti e 7 assist nella serie finale, diventando insieme a Michael Jordan l’unico giocatore a registrare almeno 30 punti, 5 rimablzi e 5 assist di media per una squadra da titolo.
La stagione seguente, la 2009-2010, nonostante alcuni problemi fisici del 24, i Lakers riuscirono comunque a fare un’ottima stagione regolamentare, e Kobe riuscì comunque ad infrangere record su record, tra cui quello di diventare il miglior marcatore della storia dei Los Angeles Lakers, superando il precedente record di Jerry West, con 25.208 punti. Ai playoff, i Lakers e Bryant ritrovarono alle Finals i Celtics, vendicandosi, portando difatti a casa la vittoria del loro 16° titolo, il quinto per Kobe che vinse anche il suo secondo MVP delle finali.
Nella stagione 2010-2011, con Kobe che entrò nella top 10 dei migliori realizzatori della storia della NBA, i Lakers continuarono ad essere tra i favoriti per arrivare alla finale, con un auspicio dagli appassionati della pallacanestro in una finale tra Kobe Bryant e LeBron James. Questo però non accadde, dato che in semifinale persero contro i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki, futuri campioni.
In seguito alla trade sfumata che avrebbe portato Chris Paul ai Lakers, anche la stagione 2011-2012 della franchigia di Los Angeles si chiuse alle semifinali dei playoff, nonostante delle prestazioni monstre del 24. Durante la stagione, Kobe diventò il 5° marcatore assoluto della storia dell’NBA, superando il suo ex compagno Shaquille O’Neal. Una trade che portò molte speranze ed aspettative fu quella che portò, nella stagione 2012-2013, a LA le stelle Dwight Howard e Steve Nash, per aiutare Kobe a raggiungere il numero di anelli di Michael Jordan. Però la squadra non trovò mai una chimica giusta per eccellere, e Kobe fu costretto a caricarsi ancor di più la squadra sulle spalle, giocando dei minuti extra pur di aiutare il team ad arrivare nella postseason. Questo sforzo portò però Bryant ad un infortunio molto grave: in data 12 aprile 2013, in seguito a svariati contatti contro i giocatori dei Golden State Warriors, si ruppe il tendine d’Achille, che lo costrinse ad uscire dal campo e chiudere in anticipo la stagione, non prima però di tirare 2 tiri liberi in totale sofferenza, una delle giocate più iconiche di Kobe Bryant durante la sua carriera, simboleggiando la sua “Mamba mentality”, ovvero una mentalità ed una glacialità indistruttibile.
In questa stagione, superò Wilt Chamberlain nella classifica dei migliori marcatori, con 31.423 punti. I Lakers riuscirono ad arrivare ai playoff, per venir poi essere eliminati al primo turno.
Ultimi anni, infortuni e ritiro
L’infortunio al tendine d’Achille ed altri, come la lesione alla cuffia dei rotatori nella spalla, condizionarono le prestazioni e le presenze del Mamba tra il 2013 ed il 2015, durante le quali nonostante il dolore, riuscì comunque a superare Michael Jordan nella classifica dei realizzatori all-time, salendo al terzo posto dopo Kareem-Abdul-Jabbar e Karl Malone.
Durante la stagione 2015-2016, Kobe Bryant riconobbe il calo nelle sue prestazioni, a causa delle serie di infortuni recenti. Questa consapevolezza lo portò, tramite un’emozionante lettera pubblicata su The player’s tribune intitolata “Dear basketball”, annunciò il suo ritiro, dando inizio al suo farewell tour, ovvero un tour d’addio in cui promise di dimostrare a tutti i tifosi del basket il suo amore puro ed eterno per il gioco della pallacanestro, recandosi in ogni arena degli States per un ultimo saluto sul parquet, dove ricevette standing ovations continue.
Tra le partite più iconiche di quell’anno, ci furono l’All-Star-Game ma soprattutto la partita d’addio, l’ultima: in data 13 Aprile 2016, contro gli Utah Jazz, il Black Mamba sfornò una prestazione leggendaria, mettendo a referto ben 60 punti con il 44% del campo, ribaltando il risultato finale, stabilendo inoltre un record per punti segnati in una partita d’addio. A fine partita, durante la celebrazione alla carriera, Kobe decise di fare un discorso di ringraziamento ed amore all’intera tifoseria di Los Angeles, dopo ben 20 anni di militanza nei gialloviola, passando alla storia con la frase “Mamba out”.
Nel 2017, i Lakers decisero di ritirare in suo onore sia la casacca col numero 8 che quella col numero 24, facendolo diventare il primo giocatore di sempre ad avere 2 numeri di maglia ritirati dalla stessa squadra.
Vita post-ritiro

La sua lettera d’addio alla pallacanestro “Dear basketball” pubblicata su The player’s tribune, nel 2017 divenne un cortometraggio animato, che nel Gennaio 2018 venne annunciata come candidata all’Oscar come miglior cortometraggio d’animazione. Il 4 Marzo dello stesso anno, “Dear basketball” passò da candidata Oscar a vincitrice dell’Oscar come miglior cortometraggio animato, rendendo Kobe Bryant il primo sportivo a vincere la statuetta dorata. Sempre nel 2018, pubblicò un libro intitolato “Mamba mentality, il mio basket”, in cui narra della sua carriera.
La scomparsa
Durante lo sfortunato anno del 2020 in chiave mondiale, nel mese di Gennaio, il 26 alle ore 9:06, insieme a sua figlia Gianna ed altre 7 persone, Bryant decollò dall’aeroporto di Orange County a bordo di un elicottero. Dopo appena 40 minuti, il velivolo, probabilmente a causa di un errore del pilota, si schiantò e prese fuoco su delle colline di Calabasas, senza lasciare superstiti.
Il 24 Febbraio, presso la casa dei Lakers, lo Staples Center, si tenne un memorial in onore di Kobe e di sua figlia Gianna, alla quale parteciparono migliaia di persone tra familiari, tifosi, amici e personalità NBA e non, che si recarono all’arena per rendere omaggio ad un grande uomo oltre che grande giocatore.

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Quando si parla di Kobe Bryant, si può parlare di uno dei più grandi (se non il più grande) cestisti di sempre. Nel corso della sua gloriosa carriera, il Black Mamba ha collezionato svariati trofei, riconoscimenti e record, tra cui: 5 titoli NBA, 1 MVP della regular season, 2 MVP delle Finals, 18 convocazioni All-Star accompagnati da 4 MVP dell’All-Star Game, 11 volte All-NBA First Team, 9 volte NBA All-defensive team, la seconda miglior prestazione realizzativa di sempre (81 punti), quarto miglior realizzatore della storia (33.643 punti), ed anche premio Oscar nel 2018.
Con la nazionale USA, partecipò alle Olimpiadi di Pechino del 2008 e di Londra nel 2012, conquistando entrambe le volte la medaglia d’oro.
Lungo i suoi anni nel panorama della pallacanestro, il Black Mamba ha deliziato il pubblico appassionato con delle prestazioni ed highlights che lo hanno cementificato come uno dei pilastri del gioco.
Vediamo nel dettaglio alcune tra le tante giocate più iconiche di Kobe Bryant
1. Mamba’s shush: Olimpiadi 2008, Spagna-USA
I momenti più leggendari della carriera di Kobe Bryant non si ebbero soltanto sul suolo statunitense all’interno dell’NBA, ma in tutto il mondo. Difatti il Mamba, con le sue 2 partecipazioni ai giochi olimpici, dimostrò all’intero globo chi fosse e quanto fosse un “killer” cestistico. E se lo ricordano molto bene i tifosi spagnoli.
Alle Olimpiadi di Pechino del 2008, in finale ci arrivano la nazionale spagnola di Pau Gasol, Rudy Fernandez e tanti altre star, ed il team USA, composto dal “redeem team”, ovvero la squadra della redenzione per riscattarsi dal bronzo di Atene del 2004, formato dai più grandi atleti della lega americana, tra cui LeBron James, Dwayne Wade, Carmelo Anthony, Chris Paul e soprattutto Kobe Bryant, il quale registrò a tabellino una prestazione straordinaria e decisiva con 20 punti, contribuendo alla vittoria della medaglia d’oro per gli Stati Uniti.
Uno dei momenti più memorabili ed iconici, il quale è diventato poi eblematico della freddezza e determinazione del Black Mamba nei momenti cruciali, fu quando durante il quarto quarto, sul punteggio di 99-104 con una Spagna lanciatissima alla rimonta, Bryant riuscì a realizzare una tripla subendo fallo, in termine tecnico “and-one”, trasformando l’azione in un gioco da 4 punti potenziali. Dopo la realizzazione del tiro, il numero 10 (solo in nazionale indossava questo numero), si girò verso il pubblico e mimò il gesto del “fare silenzio”, così da mettere a tacere i tifosi spagnoli.
Una dimostrazione monstre di come Bryant, sotto pressione, si gasava ancora di più.
2. All-around player: bagaglio tecnico completo di Kobe
Il talento di Bryant non si palesava soltanto nelle sue impressionanti doti realizzative, ma anche per tecnica, letture del gioco, velocità di piedi e capacità di mettere i compagni nelle migliori situazioni possibili. Quest’ultima skill in particolare, era uno di quegli aspetti che i vari media ed alcuni appassionati criticavano per quanto riguarda le prestazioni di Kobe, descrivendolo spesso come egoista. Ma come si può notare in queste due azioni, rispettivamente l’assist dopo aver superato tre difensori con un palleggio dietro la schiena, una virata ed un passaggio dietro la schiena e l’assist al volo a tabellone prima per sé stesso e poi per Pau Gasol, Bryant era un ottimo passatore ed assistman, nonostante la capacità di scorer fosse la sua principale arma di vittoria.
3. “Never give up”: chase-down block su Andre Miller, Denver Nuggets-Los Angeles Lakers
Un’altra skill nella quale Kobe eccelleva era anche la duttilità nella metà campo difensiva. Difatti, ci sono state svariate partite all’interno della sua carriera, come ad esempio la sua difesa nel 2014, 2 anni prima del ritiro, contro uno Stephen Curry che stava iniziando a dominare la NBA con le sue abilità palla in mano e tiro da 3. Un altro esempio che poi col tempo è diventato una delle giocate più iconiche della carriera di Kobe Bryant, è la stoppata inflitta al giocatore di Denver Andre Miller, il quale, dopo un recupero del pallone da parte della difesa, viene lanciato in contropiede totalmente da solo per uno dei canestri più facili della sua carriera. Se non fosse per Bryant.
Difatti, Kobe fa uno scatto incredibile dall’attacco alla difesa, saltando con un tempismo perfetto, e stoppa il tiro.
4. “Unreal athleticism”: la schiacciata vs Denver Nuggets
Il talento offensivo di Kobe gli ha permesso per tutta la carriera di regalarci svariate perle cestistiche. Durante una partita contro i Denver Nuggets, subito dopo un canestro avversario, il compagno Robert Horry batte velocemente la rimessa e va a cercare il giovane Mamba, già nella metà campo offensiva. La palla arriva a Kobe e, dopo averla ricevuta, per superare il difensore effettua un cambio di mano dietro la schiena, così da potersi liberare dall’avversario e finalizzare l’azione con una schiacciata rovesciata in testa al difensore.
Un gesto atletico fuori dal comune.
5. “Bryant, for the win…BANG!”: la prestazione leggendaria vs Phoenix, Playoff 2006
Come già accennato, la carriera di Kobe Bryant è stata sempre accompagnata dal termine “Mamba mentality”, un concetto filosofico di vita e lavoro, simbolo di dedizione, perseveranza, voglia di migliorarsi ed agire al meglio sotto pressione. Tra i tanti momenti in cui questa mentality è stata espressa, si ebbe nei playoff del 2006 contro i Phoenix Suns.
Durante gli ultimi secondi di questa partita, con un punteggio con una differenza davvero minima tra la squadra in trasferta, i Suns con 90 punti, e la squadra gialloviola di Los Angeles ferma ad 88, ad 8 secondi alla fine della partita la palla è in possesso della squadra rappresentativa dello stato dell’Arizona, che deve battere una rimessa per rimettere la palla in gioco e pareggiare la serie sul 2-2. Se non fosse che, una volta effettuata questa rimessa, il difensore dei Lakers Smush Parker, riesce a strappare la palla dalle mani del playmaker dei Suns Steve Nash, e fa partire un contropiede nelle mani di Kobe che va fino in fondo e riesce a pareggiare il risultato, portando la partita ai tempi supplementari.
Anche l’overtime porta ad un risultato serratissimo fino all’ultimo possesso. A 6 secondi dalla fine, su una palla contesa tra le due squadre, a spuntarla è la franchigia di LA, che conquista il possesso. La palla finisce tra le mani della superstar di casa, di Kobe, il quale si fionda in attacco, si arresta dall’angolo dalla media distanza, contrastato da due difensori: ovviamente, solo retina.
Lo Staples Center è in delirio, così come la panchina dei Lakers che si fionda sul campo ad abbracciare il Mamba, che fornì una prestazione fondamentale per la vittoria della partita e poi della serie, che in futuro verrà ricordata come una delle giocate più iconiche di Kobe Bryant.
6. “I couldn’t even be mad… because it was Kobe Bryant”: 4 Dicembre 2009, Miami Heat-Los Angeles Lakers
Nella stagione 2009-2010, che alla fine si concluderà con il titolo nazionale, i Los Angeles Lakers disputarono una solida stagione, fatta da 57 vittorie e 25 sconfitte, con Bryant che terminò con una media di 27 punti per partita tirando quasi con il 50% del campo, numeri pazzeschi.
Una partita in particolare nella quale il Mamba registrò una prestazione sontuosa statisticamente parlando e per il rendimento in generale fu quella del 4 Dicembre 2009 a LA contro i Miami Heat di Dwayne Wade. Lo scontro tra le due franchigie fu serrato fino all’ultimo secondo, letteralmente.
Difatti, con soli 3.2 secondi sul cronometro, i Lakers ebbero la possibilità dell’ultimo tiro della partita, sul risultato di 107-105 per i Miami Heat a discapito dei gialloviola di casa. Dopo una rimessa, la palla finì ovviamente nelle mani di Bryant il quale, marcato stretto da Wade, si allarga in palleggio, attacca il centro del campo a sinistra, si alza da tre punti, effettuando un tiro sbilanciato su una gamba: tripla a segno dopo aver colpito il tabellone.
Tifosi e squadra Lakers in visibilio, i Lakers si aggiudicano la vittoria, la loro ottava di fila stagionale.
Anni dopo, in un intervista, la leggenda NBA e Heat Dwayne Wade, su quell’azione indimenticabile, disse “provai in tutti i modi a non fargli arrivare quel pallone, alla fine riuscì a prenderlo e dovevo impedirgli di segnare. In quei 3 secondi provai in ongi modo di contrastarlo, e quando partì il tiro pensai che fosse impossibile che sarebbe entrato. Fu il tiro più duraturo che ricordi. Quando mi girai e vidi la parabola, mi resi conto che quel tiro sarebbe entrato. Ma non potevo arrabbiarmi più di tanto, perché di fronte avevo Kobe Bryant”.
Un tiro ritenuto tra i più memorabili e difficili della carriera della leggenda gialloviola col numero 8 prima e poi 24.
7. “Kobe to Shaq”: 4 Giugno 2000, Western Conference Finals: Portland Trail Blazers-Los Angeles Lakers
Prima che i rapporti si incrinassero per competitività ed incomprensioni soprattutto per l’etica di lavoro, per poi in futuro riappacificarsi, il duo Kobe-Shaq era uno dei più dominanti ed infermabili che la NBA aveva mai visto. Difatti, nel triennio vincente 2000-2002, i due avevano delle statistiche combinate impressionanti, che superavano sempre i 50 punti, i 15 rimbalzi e gli 8 assist per partita.
Una delle dimostrazioni più lampanti di quanto questo duo fosse un fattore per i Lakers è quello del 4 Giugno del 2000, nella gara 7 delle Western Conference Finals. Durante la partita, i Lakers si ritrovarono in svantaggio di 15 punti nell’ultimo quarto della partita. Sembrava tutto perduto, ma attraverso una difesa molto aggressiva ed il talento del numero 8 e del numero 34, la franchigia di LA rimontò. La giocata simbolo, che mentalmente mise la parola “fine” alla partita, avvenne a circa 50 secondi dalla fine: Kobe superò in palleggio il difensore di Portland, Scottie Pippen il pluricampione con i Chicago Bulls di Michael Jordan, alzò la palla e Shaq schiacciò di potenza, mandando l’arena in estasi totale. Da questa partita poi i Lakers ebbero accesso alle NBA Finals contro i Pacers, dove iniziò la loro dinastia del three-peat, dei 3 titoli consecutivi 2000-2002.
8. Mamba mentality: 12 Aprile 2013, i tiri liberi l’infortunio al tendine d’Achille
Uno dei tratti tipici della “mamba mentality” che ha contraddistinto la carriera di Bryant è quello della resilienza, ovvero la capacità di affrontare e superare un qualsiasi tipo di difficoltà, portando a termine il proprio lavoro o obiettivo. Nella sua carriera, infatti, il Mamba ha affrontato ogni tipo di sfida con coraggio, senza mai arrendersi, anche gli infortuni.
Proprio un infortunio è il co-protagonista di una delle giocate più iconiche di Kobe Bryant. Il 12 Aprile 2013, nella gara casalinga contro i Golden State Warriors, Kobe lungo tutta la partita accusò dei fastidi prima alla caviglia e poi, dopo una caduta pesante dopo un tiro ed un contatto di gioco, al tendine d’Achille. Quest’ultimo in particolare risultò molto doloroso per il leader dei Lakers, tanto da forzarne l’uscita dal campo. Prima di farlo però, Kobe volle tirare i tiri liberi che si era guadagnato dal contatto falloso subito, esemplificando la sua leadership, mentalità e determinazione vincente, caratteristiche tipiche del Mamba. Ovviamente, il Mamba realizzò entrambi i tiri.
9. Mamba out: 14 Aprile 2016, Utah Jazz-Los Angeles Lakers, il ritiro di Kobe
La stagione 2015-2016 per gli appassionati del basket fu una stagione memorabile, sia per il livello altissimo di competitività che per gli avvenimenti che accaddero durante quest’annata sportiva.
L’evento che rimarrà impresso per sempre nelle menti e nei cuori però sarà il “farewell tour” di Kobe Bryant, ovvero il tour di ritiro dallo sport della pallacanestro. Questo ritiro, annunciato tramite la lettera “Dear basketball”, una vera e propria dichiarazione d’amore verso il gioco, si trattò di un viaggio di Kobe in ogni arena degli States per salutare i tifosi ed amanti del gioco, anche i pubblichi più ostili nel corso della sua carriera.
Questo tour si concluse il 13 Aprile 2016, nella gara casalinga contro gli Utah Jazz. Qualche giorno prima della partita, Shaquille O’Neal, ex compagno con il quale vinse 3 anelli, in un’intervista chiese a Kobe, data la sua presenza all’arena il giorno del ritiro, di promettergli una prestazione da 50 punti. Questa richiesta venne riproposta il giorno stesso della partita, pochi minuti prima dell’inizio, quando i due erano a bordocampo. Kobe, col senno di poi, esaudì il desiderio di Shaq, e non solo.
Difatti il Mamba, dopo un inizio lento e faticoso, si fece strada per segnare i suoi primi punti: tiri dalla media, sottomani, tiri in allontanamento, qualche tripla. Dal terzo quarto, Bryant decide di aumentare la marcia: triple contrastate, tiri dalla media in allontanamento o tiri sotto canestro, il tutto contro almeno 2 difensori in marcatura. Le sorti della partita, grazie a questa prestazione, vengono ribaltate: difatti nonostante nei primi due quarti gli Utah Jazz fossero in largo vantaggio, dal terzo in poi si ha una partita punto a punto tra le due squadre, anzi, tra la franchigia dello Utah e Kobe Bryant.
Prima 30, poi 35, 40, 45 e poi 50 punti, desiderio di Shaquille O’Neal avverato. Ma il Mamba non si è fermato. Difatti Kobe continuò a registrare punti a referto: triple, tiri segnati con fallo, tiri liberi, tiro in movimento dalla media, fino ad arrivare a 58 punti. Sul punteggio con poca differenza a favore dei Lakers, la squadra di casa subisce un fallo, ed in lunetta ci va ovviamente il numero 24: 2 punti. 60 punti, vittoria Lakers. Ironia della sorte, l’ultimo punto della carriera arrivò nello stesso modo con cui arrivò il primo punto della sua carriera NBA, ovvero dalla linea del tiro libero.
Una prestazione leggendaria, che rientra a pieno merito nelle giocate più iconiche di Kobe Bryant, il quale chiuse la serata con il suo discorso di ringraziamento per tifosi, compagni di squadra e chiunque lo avesse supportato lungo la sua carriera, passato poi alla storia come “Mamba out”.
10. “We are witnessing history”: 22 Gennaio 2006, la partita degli 81 punti di Kobe
Fin dai primi passi nell’NBA, Kobe Bryant ha sempre avuto una reputazione di macchina da punti, uno scorer naturale del gioco, un talento offensivo dominante. Il mese di Gennaio 2006, come se ce ne fosse bisogno, confermò ancor di più quest’etichetta di attaccante puro: difatti, nelle 3 partite dal 13 al 17 Gennaio, il Mamba col numero 8 mise a segno di fila prestazioni da 45 punti in 2 partite ed un’altra da 50, dimostrando una condizione fisica e mentale straordinaria.
Questa condizione ebbe il suo apice nella sera del 22 Gennaio 2006, nella partita giocata in casa dai Lakers contro i Toronto Raptors. La partita rappresenta uno dei momenti storici della storia della pallacanestro mondiale oltre che dell’NBA, in quanto venne stabilito il secondo miglior record di punti realizzati da un singolo giocatore, da parte, ovviamente, del fenomeno in maglia Lakers, Kobe Bryant.
Già nei soli primi due quarti infatti, il Mamba mise a segno ben 27 punti, tirando con delle percentuali molto alte. Negli ultimi due quarti, decise di alzare ancora di più l’intensità: 27 punti nel terzo quarto, 27 nel quarto ed ultimo quarto. Sommando i punti segnati, tirando con il 60% dal campo, con una percentuale dalla linea dei 3 punti del 53% e del 90% dai tiri liberi, Bryant mise a segno ben 81 punti, realizzando il secondo miglior record di punti personali segnati di sempre, dietro soltanto ai leggendari 100 punti di Wilt Chamberlain.
Questa partita entrò di diritto nella storia del basket moderno, e rappresenta sicuramente una delle migliori giocate di Kobe Bryant della sua carriera.
I successi, la tenacia, la mentalità e le emozioni che Kobe Bryant ha dimostrato ed è riuscito a trasmettere sul parquet (ed anche fuori) lo hanno reso uno dei giocatori più amati e tra i migliori (se non il migliore) che il gioco della pallacanestro abbia mai avuto.
Mamba forever.
Immagine in evidenza di Erik Drost (Wikimedia)
Fonte video: Youtube @NBA