La vivacità del napoletano.
Il fascino senza tempo di un cunto,
L’entusiasmo e il talento di una compagnia emergente
‘A penna ‘e ll’auciello Grifone, spettacolo andato in scena il 31 gennaio al Teatro Gloria di Pomigliano d’Arco, è riuscito nell’arduo compito di dare forma e sostanza a uno dei racconti più celebri della tradizione pomiglianese. La compagnia FIRMT ha condotto, infatti, il pubblico in un non luogo fatato, intriso di simbolismo e potente teatralità, in cui il confine tra bene e male si intreccia con le ataviche dinamiche della conquista e del mantenimento del potere.
‘A penna ‘e ll’auciello Grifone: la trama
Lo spettacolo, ispirato agli antichi “cunti” e, in particolare, a una serie di racconti incentrati sulla mitica penna dai poteri taumaturgici di un gigantesco e misterioso uccello, si apre in un “c’era una volta” imprecisato. La Regina, turbata da sogni premonitori, si intrattiene in un bivacco notturno, facendo incetta di melograni. Improvvisamente, le fa visita la Ianara, sua cummara e strega, che da tempo ignora le sue richieste d’aiuto. Dopo un acceso diverbio, la Ianara le rivela che una sciagura si abbatterà presto sul reame, conseguenza degli atteggiamenti sconsiderati della Regina stessa. Pentita, la Regina chiede perdono e accetta il suo destino. La Ianara, commossa, le concede il suo perdono e un barlume di speranza.
La scena si sposta nella sala del trono, dove il Re, dispotico e arrogante, vessa i suoi accoliti: il Vescovo, il Capitano delle guardie e il Buffone. Quest’ultimo, sfidato a far ridere il sovrano, trova il coraggio di dire la verità: il popolo ha fame. Adirato, il Re ordina che al Buffone venga tagliata la testa. Rimasto solo, il Re si abbandona a un delirante monologo di onnipotenza, ma viene improvvisamente accecato da un fascio di luce. I medici di corte non riescono a trovare una cura. Solo il ritorno della Ianara svela l’unico rimedio possibile: la penna dell’auciello Grifone. Nessuno del popolo se la sente di affrontare la terribile creatura, così il Re è costretto a inviare i suoi due figli alla ricerca della penna miracolosa: il primo, avido di potere, pensa solo al trono; il secondo, mosso dall’amore per il padre e per il suo popolo, è pronto ad affrontare qualsiasi pericolo. Sarà proprio quest’ultimo a partire alla volta dell’ignoto, affrontando peripezie, pericoli e imprevisti di ogni sorta.
I temi dell’opera: un viaggio tra simboli e significati profondi
“‘A penna ‘e ll’auciello Grifone” affronta diverse tematiche, con una buona introspezione e cura della psicologia dei personaggi che, a differenza di quanto accade di solito nel genere favolistico, sono piuttosto dinamici e a tutto tondo. La corruzione del potere viene approfondita attraverso la figura di un Re arrogante e cieco, sia fisicamente che metaforicamente. Il valore della verità, invece, viene rappresentata del Buffone, che sfida il potere a costo della propria vita. mentre Ianara e l’auciello Grifone simboleggiano il rapporto ancestrale tra uomo e soprannaturale.
Un’alchimia tra passato e presente: la drammaturgia e la scenografia di Vincenzo Arena
Due elementi saltano subito all’occhio: la scrittura e la scenografia. La drammaturgia di Vincenzo Arena, frutto di una profonda ricerca filologica e di una sentita urgenza di connessione con le proprie radici, si è dipanata in un’esperienza scenica vivida e coinvolgente. Prendendo spunto da diverse fonti, tra cui le novelle di Marino e di Calvino (da cui proviene il titolo, poi tradotto) e folgorato, come lui stesso afferma, dall’estetica di Parajanov, Arena ha dato vita a un’opera alchemica, che ha saputo coniugare, in maniera mirabile, un passato remoto con un presente che necessita di riscoprire le proprie origini, la propria identità culturale. La lingua napoletana, nella sua forma più pura e musicale, ha così dominato la scena. Le cadenze dialettali, ricche di sfumature e di una potenza evocativa, hanno dato corpo a personaggi archetipici eppure incredibilmente umani. L’uso di termini autoctoni ha, inoltre, valorizzato le origini di quest’opera e di chi l’ha concepita, regalando un’autenticità viscerale alla rappresentazione. Una scelta linguistica, quindi, non solo stilistica ma anche e, soprattutto, fortemente emozionale. La scenografia, sempre a cura del factotum Arena, essenziale ma estremamente funzionale, ha saputo evocare l’atmosfera fiabesca in cui si svolge la vicenda. I costumi “arabeggianti”, ispirati a “Il colore del melograno”, hanno aggiunto un ulteriore strato di fascino alla rappresentazione, creando un contrasto suggestivo con la napoletanità verace dei dialoghi. Buono anche il disegno luci, così come la scelta musica di una regia ordinata e ben congeniata.
In conclusione
“‘A penna ‘e ll’auciello Grifone” si è rivelato, in conclusione, uno spettacolo di ottima fattura, affascinante nel suo interpolare in un microcosmo favolistico dinamiche così attuali. Questo perché il teatro può ancora essere, come afferma la compagnia stessa, “resistenza”, un baluardo contro l’oblio e un ponte verso un passato che ancora ha molto da dirci. La dedica, in calce, a Marcello Colasurdo, Giovanni Sgammato e Pasquale Terracciano, tre pilastri della tradizione musicale popolare campana, suggella l’intento di questo lavoro: celebrare e perpetuare la memoria, la cultura e l’arte di un popolo.
Ci auguriamo di rivedere presto la compagnia FIRMT sui palcoscenici italiani e non solo. Ne abbiamo bisogno.