“Caruso è” va in scena per il centesimo anniversario della morte del tenore napoletano
La Compagnia Teatrale Cercamond debutta con lo spettacolo inedito “Caruso è“, scritto dal drammaturgo Elia Capaccio, al Chiostro di San Domenico Maggiore il 30 settembre 2021, nell’ambito dell’iniziativa “Estate a Napoli – Do Maggiore” organizzata dal Comune di Napoli.
Incontrare Caruso
“Caruso è” celebra i 100 anni dalla morte del grande tenore napoletano, che con la sua voce risonante e soave ha emozionato tante generazioni e ancora ci riesce. Una delle frasi più celebri del cantante era “Chi non ha patito sofferenze e sacrifici non potrà mai cantare” e la sua voce riecheggia una certa malinconia capace di penetrare nell’intimità di ognuno. Succede proprio questo ai tre protagonisti dello spettacolo: un magazziniere (Davide Mazzella) intrappolato in una routine monotona, una ragazza (Sara Guardascione) piena di sogni e di passioni ed un vecchio (Andrea Cioffi) rimasto solo.
Tre monologhi, tre storie moderne in cui i protagonisti ascoltano la voce di Caruso, testimoniando le emozioni che questo incontro ha suscitato in loro. Il primo a parlare è il magazziniere, un personaggio dall’animo semplice e spontaneo, interpretato da Mazzella con cura e con fresca simpatia: la sua quotidianità è fatta di pacchi ammassati in una stanza dove il sole non entra. Ma poi incontra una ragazza sul posto di lavoro e se ne innamora. Una ragazza piena di sogni e di passioni – riempita da Sara Guardascione con una presenza scenica straordinaria – che ama la musica, in particolare quella napoletana classica e canta nonostante non rientri nelle sue doti naturali.
I due vanno a convivere e la loro è una storia d’amore da favola. Lui finalmente scopre il sole, lei il sole glielo dipinge. Ma alla fine, se lui ha cantato con entusiasmo “O’ Sole Mio“, lei canterà “Core ‘Ngrato” e la sua sentenza sarà: “tradita”.
Infine è il vecchio a raccontarsi, animato da un magistrale Andrea Cioffi, che tra l’altro è il regista della pièce teatrale con l’assistenza di Gennaro Esposito. In un monologo che tocca punti di pathos intenso, confessa di avere commesso tanti errori nella sua vita e adesso ne paga le conseguenze abbandonato dalla moglie e soprattutto dai figli. Questa è la sua sofferenza più grande: in solitudine ripensa alle estati con i suoi figli e con Anita, la figlia maggiore che ormai non gli rivolge neanche più una parola. Il suo pianto diventa quasi una preghiera affinché tutto torni come un tempo, mentre “Torna a Surriento” incede nostalgica e maestosa.
Tre storie accompagnate dall’abile musicista Emanuele Petroni. Gli attori, per quanto debbano interpretare personaggi stonati, danno prova di grandiose qualità canore, riproducendo quell’atmosfera dalle mille sfumature che solo il celebre tenore riusciva a creare. La scenografia, fatta di costruzioni minimali in cartone, rende la mutevolezza e la fragilità delle emozioni. Non ci sono spazi nettamente divisi, restituendo così quel senso di unità sotto l’inconfondibile voce di Caruso.
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