Dov’è la Vittoria al teatro Sannazaro

Vittoria

Il 28 e il 29 novembre il teatro Sannazaro ospita Dov’è la Vittoria, uno spettacolo di A. Ferro, G.M. Martino e D. Postiglione. Al centro della scena Vittoria Benincasa, personaggio di fantasia spaventosamente realistico. Assurdità e contraddizione si fondono in una sola persona, che fatica tanto a costruirsi ed affermarsi da diventare la caricatura di se stessa.

Il progetto è a cura del Collettivo BEstand, la regia è di Giuseppe Maria Martino, con aiuto regia di Dario Postiglione. Tre soli attori sul palco (Martina Carpino, Luigi Bignone, Antonio Elia) smascherano l’incoerenza e l’arte della demagogia che si nasconde dietro la propaganda politica, interpretando se stessi nell’atto di ricostruire la finzione scenica, che diventa, minuto dopo minuto, sempre più vera e tangibile.

Vittoria: quando anche i cattivi hanno un cuore. Non in petto, ma tra le mani e, soprattutto, non il loro

È risaputo che prima di occupare il posto in prima fila, prima di arrivare al centro della scena, bisogna fare tanta gavetta, subire diverse umiliazioni, strisciare a terra come serpenti. Così la messinscena si apre con tre giovani militanti ancora senza identità che indossano gli abiti neri dell’anonimato, senza etichetta alcuna. Le luci rosse preannunciano il pericolo: non ci sarà nessuno spargimento di sangue, ma l’assassinio crudele di ogni ideologia politica, di ogni valore umano, che saranno sostituiti dal mero calcolo statistico, dal freddo mortifero della parola potere.

Vittoria è una leader di estrema destra, la cui ombra si nasconde dietro un finto sipario, senza mai sfuggire alla luce dei riflettori. Non a caso, l’intera scenografia riproduce anche il retroscena, in una maniera così ingegnosa da far in modo che la protagonista non si senta in nessun momento messa da parte, dietro le quinte. Ma chi è davvero Vittoria? Qual è la sua storia? Come arriva ad inserirsi nel quadro più grande della nostra Storia?

Doveroso è fare un tuffo nel passato, osservare da vicino chi è questa piccola bambina che un giorno sarà il primo capo politico donna in Italia. Vittoria ha solo tredici anni quando comincia a intrufolarsi nei centri sociali, a frequentare le “zecche” del suo quartiere popolare, si confonde tra i sostenitori del libertinismo, dell’accoglienza, della comunanza di beni e di idee.

L’incongruenza emerge anche in questi ambienti, nei quali, allora come adesso, rappresentare un insieme di valori non sempre trova un corrispettivo nell’agire pratico. Professare la libertà di pensiero, rivendicare il diritto di esprimere la propria identità e il proprio orientamento sessuale, senza sentirsi giudicati, sono azioni che devono comportare necessariamente una consapevolezza salda- innanzitutto- di cos’è il rispetto nei confronti dell’altro. Elio, uno dei compagni, non mostra di averne nei confronti della piccola Vittoria che, ancora troppo ingenua, subisce i suoi scherzi e le sue prese in giro. Il trauma della ragazzina è, però, più profondo. Lei è cresciuta in un ambiente ristretto e limitato con una madre sigle obbligata a portare avanti la famiglia a qualsiasi costo, e un padre che l’ha abbandonata quando era solo una bambina, quando è scappato alle Canarie: così il destino di Vittoria sembra già segnato. L’attaccamento alla sua patria nasce forse dal desiderio di rivendicare le proprie radici, che sin dalla tenera età sente così poco salde?

Vittoria è costretta a crescere in fretta, a scrollarsi di dosso quell’aria da vittima innocente di un futuro già prescritto, comincia a rimboccarsi le maniche e a scrivere la sua vicenda privata e pubblica con annessi amici e nemici, collaboratori e, soprattutto, sudditi. Anche Martina si mette al lavoro, insieme ai suoi colleghi attori, per interpretare il suo controverso personaggio, dando il via a un processo metadiegetico, attraverso il quale emergono, al contempo, seria professionalità e spassosa satira. Così i tre in scena si dimostrano perfettamente in grado di entrare nei panni di attivisti politici e nel frattempo di rappresentarne la controparte: quella dei comuni cittadini, ignari delle dinamiche interne e pericolose che si celano dietro la costruzione di una figura conservatrice, estremista e nazionalista.

Lo spettacolo fa ridere se si riesce a entrare appieno nella dimensione illusionistica del teatro e , soprattutto, se si è disposti a servirsi della finzione dell’arte per sfuggire alla realtà minacciosa e profondamente drammatica che stiamo vivendo. Acute sono le riflessioni che innesca circa l’aspetto semplicistico e banale della comunicazione portata avanti da una leader politica che, almeno teoricamente, dovrebbe essere un modello culturale ed educativo da cui il popolo si sente rappresentato. Dov’è la Vittoria fa piangere, se si pensa che questo scenario è diventato ormai vita vera. Pertanto, un pubblico pienamente in grado di abbracciare il compromesso della simulazione drammatica fa fatica a capire dove si trova realmente. Siede sulla poltrona di un teatro o si trova nella piazza della Capitale per partecipare a un comizio?

I due “fasci”, che accompagnano Vittoria – regina indiscussa – sono interpretati da due giovani attori dinamici ed eclettici e sono indispensabili per la buona riuscita della commedia drammatica. La coppia ride, scherza e gioca, passando da un ruolo all’altro, senza neppure cambiare di abito: ad essere sostituita è solo la scritta sulle loro magliette a tinta unita. Ingegnosi sono questi due diavoletti, che, a un certo punto, sembrano trasformarsi nella coscienza di Vittoria, e suggerirle le scelte giuste e quelle sbagliate. La proteggono come bodyguards e, come piccoli angeli custodi, la mettono in guardia di fronte al pericolo. Il Presidente del Consiglio le sta offrendo la tanto attesa possibilità di compiere la sua scalata sociale, mettendo per la prima volta piede in Parlamento, in veste di ministro per la gioventù. Vittoria è, però, ambiziosa, assetata di potere e spinta dal senso di rivalsa. Lei vuole fondare un partito tutto suo, essere riconosciuta come la prima e l’unica donna a ricoprire la carica più importante. Come ci riuscirà? Qual è la strada che sceglie di percorrere?

Essenziale è tracciare un’immagine di sé chiara e semplice, non troppo lontana dalla gente comune: Vittoria è  donna, moglie, madre, casalinga, ma anche una lavoratrice. È un’icona in grado di ipnotizzare tutti. Sa esercitare il suo fascino magnetico e la sua superiorità sul mondo maschile, a partire proprio dal suo compagno, che è qui ironicamente rappresentato nella parte di schiavo subalterno. Sa essere da esempio e ispirazione per l’universo femminile. Vittoria si delinea, dunque, come una cattiva da fumetto, crudele e spietata perché spinta dalla necessità che le sue condizioni di vita le hanno imposto, stronza fino all’osso, un po’ per inclinazione naturale, un po’ per l’irrefrenabile bramosia di sedere sul trono, tanto ambito da altri milioni di lupi.

L’obiettivo è arrivare al cuore degli italiani, anzi restituire passione e sentimento all’Italia, che, ormai delusa da anni di promesse e progetti mai effettivamente realizzati, si è trasformata in un paese freddo, senza più desideri né sogni. Bisogna parlare alla pancia degli elettori, ridisegnare un cuore enorme al centro dello stivale, per poi poterselo mangiare. La leader riesce ad essere eletta grazie all’enorme fiducia riposta nella parte più viscerale, e – si può osare dire – bestiale e rabbiosa dei suoi concittadini. La sua immagine grottesca, sul finire del dramma comico, si innalza come un’enorme ombra: una cannibale, affamata di voti e di vittoria.

Vittoria ha vinto, è riuscita a rivendicare il suo nome, ma a noi, oltre il riso amaro, cosa rimane?

 

A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l'università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna. Si nutre di libri e poesia. I viaggi più interessanti li fa davanti al grande schermo.

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