Furore di Massimo Popolizio debutta al Teatro Bellini

Furore

Furore arriva al Teatro Bellini di Napoli e ottiene un grande successo. Lo spettacolo è tratto dal romanzo di John Steinbeck, dove un potentissimo Massimo Popolizio ha prestato la sua voce e il suo corpo alla lettura del testo, con immagini proiettate alle sue spalle ideate da Igor Renzetti e Lorenzo Bruno,  che hanno fatto navigare il pubblico in un’emozionante viaggio.

Nell’adattamento, firmato da Emanuele Trevi, Popolizio, così come nel suo fortunato Ragazzi di vita, andato in scena nel 2019 al Teatro Bellini, diventa narratore onnisciente per raccontare la più devastante migrazione di contadini della storia moderna, dando vita a un one man show epico e lirico, realista e visionario, drammatico e ironico.

Nell’estate del 1936, il San Francisco News chiese a John Steinbeck di indagare sulle condizioni di vita dei braccianti spinti in California dalle regioni centrali degli Stati Uniti, soprattutto dall’Oklahoma e dall’Arkansas, a causa delle terribili tempeste di sabbia e dalla conseguente siccità che avevano reso sterili quelle terre coltivate a cotone. Il risultato di quell’indagine fu una serie di articoli da cui l’autore americano generò, tre anni dopo, nel 1939, e in soli cento giorni, il romanzo Furore, divenuto poi una delle pietre miliari della letteratura americana.

A fare da intermezzo musicale, ma accompagnando anche Massimo Popolizio lungo il suo monologo, Giovanni Lo Cascio che con la sua musica dal vivo ha traghettato il pubblico in sala, rendendo ancora più incisive le parole del testo e creando un  interessante effetto cinematografico.

Il risultato è un lavoro senza tempo, che racconta le dinamiche dell’ingiustizia sociale attraverso le storie e le emozioni dei singoli. Tutto, nel suo lungo racconto, sembra prendere vita con i contorni più esatti e la forza d’urto di una verità pronunciata con esattezza e compassione.

Tutta la messa in scena è un racconto con un ingranaggio perfetto che ci fa vivere l’avventura di questi personaggi come se fossimo anche noi migranti, al punto da sentire sulla pelle il disagio e le difficoltà che queste persone dovettero provare nel dover sradicare le proprie radici e cercare casa altrove.

Un monologo-manifesto-reportage dello Steinbeck scrittore e cronista – premiato nel 1940 col Premio Pulitzer e con l’American Booksellers Book of the Year Award– sulla grande depressione americana del 1929 e sulla conseguente condizione economica, sociale ed umana dei lavoratori agricoli e dei cittadini americani.

Una fusione così ben amalgamata tra immagine, musica e parola, tra realismo e cronaca, tra passato e presente, di cui il protagonista e narratore impeccabile è lui, Massimo Popolizio, con le sue sferzanti tonalità di voce alle prese con carte e giornali, e con altri personaggi a cui dà voce e sostanza. Protagonista di Furore è questo personaggio senza nome che muove i fili della storia. Nulla gli è estraneo: conosce il cuore umano e la disperazione dei derelitti come fosse uno di loro, ma a differenza di loro conosce anche le cause del loro destino, le dinamiche ineluttabili dell’ingiustizia sociale, le relazioni che legano le storie dei singoli al paesaggio naturale, agli sconvolgimenti tecnologici, alle incertezze del clima.

Con la sua carica scenica rappresenta in modo esemplare la partitura evocatrice di una condizione umana e sociale più che mai contemporanea e di grande attualità, ripercorrendo le sofferenze e la deprivazione umana in nome della proprietà. Il testo, suddiviso in capitoli, tra cui alcuni davvero emblematici, riguardano “l’odio, gli emigranti, la polvere, la terra, il trattore”. Temi e argomenti che richiamano fortemente le storie dei popoli, di uomini, donne e bambini dai capelli biondi “come il mais”, di contadini che trasmigrano da un paese all’altro, stipati, accovacciati nella polvere sollevata dal trattore mentre grassi proprietari terrieri difendono i loro averi.

Immagine in evidenza: Teatro Bellini

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