Gemito, l’arte d’ ‘o pazzo di e con Antimo Casertano

Gemito

Il ventre di Napoli è da sempre fecondo di arte e bellezza, talvolta sconosciuta, talvolta dimenticata. Il 16 luglio del 1852, viene al mondo Vincenzo Gemito, un artista che già dai primi giorni di vita, in cui gli fa da culla la ruota degli esposti dell’Annunziata, ricovero di trovatelli, impara il significato della solitudine e del tormento, due parole che saranno le coordinate, le croci della sua esistenza.  

Figlio di una formazione, perlopiù, da autodidatta, trova il soggetto prediletto delle sue creazioni in scugnizzi e scene popolaresche: terracotte, bronzetti raffiguranti, con tendenze fortemente realiste, adolescenti e bambini nudi e seminudi. Il suo genio lo porta ad essere reclamato da una clientela sempre più importante. Tuttavia, la sua ossessione per la perfezione e la sua concezione dell’arte, messa al servizio della verità e non del guadagno o del successo, portano Gemito alla follia, prima contenuta nelle mura di un manicomio, poi in una volontaria reclusione domestica, durata oltre vent’anni.  

Cosa porta un artista alla rovina o alla sua gloria? Cosa spinge un artista al blocco emotivo, psichico e professionale?

È dal tentativo di dare una risposta a queste domande che nasce Gemito, l’arte d’ ‘o pazzo, spettacolo debuttato la scorsa estate al Campania Teatro Festival, in scena al Piccolo Bellini di Napoli dal 26 aprile al 1 maggio, di e con Antimo Casertano, attore e drammaturgo napoletano

In una scenografia scarna, domina un blocco di marmo. Ai suoi piedi un uomo in pena: è Vicienzo, pazzo in latitudine e longitudine, recluso in un manicomio, prigioniero dei suoi demoni interiori. A dare carne e voce ai suoi tormenti è un sorprendente Antimo Casertano, che pennella sul palco le passioni incandescenti della vita fatta di eccessi di un uomo fuori di sé, malato di quella putente frèva di chi titanicamente lotta per affermare la propria identità e il suo unico credo, l’arte. Al suo capezzale la moglie Nannina, una figlia del popolo che, con amore e devozione, abbraccia la sua croce, facendo a pugni, in giorni tutti uguali, con il genio e la follia del marito. A vestire i panni e la forza di Nannina, Daniela Ioia che, con grande pathos, riesce a declinare, in tutte le sue sfaccettature, l’amore di cui una donna è capace e a portare sulla scena il dramma quotidiano che si consumava in quella casa al civico 124 di Via Tasso. Nannina, porto sicuro in cui tornare ed essere accolto dal suono di una dolce nenia, e, tuttavia, nemica odiata e temuta, come Salvatore, amico dell’artista, interpretato da Luigi Credendino. Quarto attore in scena, Ciro Kurush Giordano Zangaro, spettro della statua marmorea di Carlo V d’Asburgo, commissionata a Gemito per la facciata del Palazzo Reale di Napoli. Una creazione che acuisce il suo malessere interiore, incapace di perdonarsi per quell’opera che considera sproporzionata, quella figura imponente il cui dito poteva puntare in alto, a destra, a sinistra e, invece, punta n’terra.

Attraverso la vicenda di Gemito – si legge nelle note di regia – cercheremo di esplorare la materia intima che muove un artista, sperando di porre le domande giuste. Sperando di poter aprire le giuste fessure nei meandri delle nostre anime.

Impossibile non lasciarsi scuotere dall’inquieta e intensa interpretazione di Casertano, dalla disperazione di Gemito, che inevitabilmente è anche la sua, come di tutti quegli artisti che credono nella potente verità di ciò che fanno e che perseverano, rischiano, camminando come funamboli per non cadere nel baratro della mercificazione; che preferiscono annaspare in un mare incerto, ma incontaminato, piuttosto che stare a guardare, da una riva sicura, una realtà che, spesso, cerca nei lustrini e nella vanità la via della successo.  

Gemito, l’arte d’ ‘o pazzo è uno spettacolo ricercato, studiato, voluto. Uno spettacolo intriso della napoletanità dei vicoli in cui l’artista vagava alla ricerca della bellezza spietata e che, tuttavia, merita  di uscire dal perimetro teatrale di Napoli, perché l’arte e il talento non conoscono geografie.

Testo e regia Antimo Casertano

con Antimo Casertano, Daniela Ioia, Luigi Credendino, Ciro Kurush Giordano Zangaro

assistente regia Lella Lepre
scene Flaviano Barbarisi
costumi Antonietta Rendina
assistente costumista Angela Froncillo
musiche originale Marco D’acunzo e Marina Lucia
disegno luci Paco Summonte
audio Mariano Penza
foto di scena Nina Borrelli
ufficio stampa Gabriella Galbati e Milena Cozzolino
comunicazione Rosa Lo Monte

uno spettacolo di Compagnia Teatro Insania e Associazione Culturale NarteA

 

A proposito di Rossella Capuano

Amante della lettura, scrittura e di tutto ciò che ha a che fare con le parole, è laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico. Insegna materie letterarie. Nel tempo libero si diletta assecondando le sue passioni: fotografia, musica, cinema, teatro, viaggio. Con la valigia sempre pronta, si definisce “un occhio attento” con cui osserva criticamente la realtà che la circonda.

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