Gennareniello al Teatro San Ferdinando | Recensione

Gennareniello Lino Musella

Gennareniello va in scena al Teatro San Ferdinando dal 20 dicembre al 5 gennaio.  Dopo il successo di Tavola Tavola, chiodo chiodo Lino Musella torna ad Eduardo De Filippo insieme a Tonino Taiuti. Si tratta di un debutto assoluto prodotto dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale che va scena nel periodo natalizio nella casa di Eduardo, il Teatro San Ferdinando.

Lino Musella in una nota di regia commenta: «Gennareniello è nato nel 1932, un anno dopo l’atto unico Natale in casa Cupiello. A differenza del fratello maggiore non è mai cresciuto del tutto, negli anni è restato identico, quasi abbozzato, anche se perfetto nelle sue dimensioni, non si è mai sviluppato in altri due o tre tempi, è rimasto piccolo, isolato, escluso, Unico come Atto
Gennareniello è un diminutivo, vezzeggia il nome del santo patrono e fa rima col fratello famoso, quello di Casa Cupiello.»

Gennareniello di Lino Musella è ambientato nella Napoli degli anni 80 e mette in mostra come in questa città il tempo procede stando fermo e anche il punto di partenza e di arrivo si invertono di senso

In Gennareniello, prima dell’apertura ufficiale del sipario, l’autore si presenta davanti al pubblico vestito di nero e ci preannuncia che quello che sta per accadere sul palcoscenico è il tentativo di dare forma teatrale all’ultima lezione del maestro, di invertire lo scorrere consueto del tempo.

Nelle sue parole si coglie la necessità della messinscena teatrale come atto rivitalizzante e la sua urgenza di farsi mezzo di rappresentazione delle partenze, affinché anche i capolavori del passato possano essere sempre attuali. Ci si augura che queste partenze possano figurarsi come forme di morte che lasciano spazio al nuovo senza lasciare indietro il vecchio, la tradizione.

Lo spettacolo Gennareniello mette in atto questa pratica di unire tradizione e tradimento, a partire dalla scelta di ambientare la commedia di De Filippo nel 1984, dopo il terremoto dell’ottanta, di cui sulla scena si rendono visibili le conseguenze disastrose per mezzo di pedane e impalcature precarie.

La scenografia è realizzata, infatti, in maniera impeccabile, lo spazio piccolo e chiuso della casa – dove non arriva neanche un raggio di sole – è ampliato dalla presenza di un terrazzo e dall’aggiunta moderna di una piccola protesi, un affaccio sul pubblico posto all’estremità del palco. Quest’ultimo è un non-luogo, o il luogo della fantasia, dei giochi d’infanzia, dove la pittrice può dare libero sfogo alla sua creatività e dipingere la sua natura morta (che nessuno riconoscerà), dove Gennareniello può far girare le sue girandole e intonare i suoi versi.

L’angolo della poesia è anche quello di maggior contatto con il pubblico, pensato così in prossimità delle prime file. È forse una delle trovate più originali dello spettacolo.

In Gennareniello il figlio Tommasino è interpretato da Lino Musella. È il personaggio più credibile e comico, fa sbellicare tutti dalle risate, con il suo parrucchino biondo canarino e gli occhialetti storti e appannati. È il figlio «tardivo» che non ha peli sulla lingua e una voragine nello stomaco. Non si è mai messo a fare l’amore ma da buon osservatore si accorge di tutto, anche dell’insoddisfazione di un uomo come suo padre, che è combattuto tra quello che è e quello che avrebbe potuto essere, e pure di fronte ai suoi occhi malconci non può non apparire come un povero Gennareniello..

Uno dei momenti più riusciti dello spettacolo è anche il travestimento di Gennareniello da parte dell’ingegnere e del maestro di disegno. Sentiamo che in fondo Gennareniello è un uomo rimasto immobilizzato nella propria vita, nel proprio ambiente familiare, nella sua piccola realtà costruita con fragili impalcature, invenzioni mai brevettate e desideri insoddisfatti, che nella vecchiaia si sono trasformati in vizi e perdite di tempo.

Gennareniello non può che lasciarsi beffeggiare dagli unici amici che gli sono rimasti e lasciar loro decidere i panni che deve indossare, il suo costume di scena per continuare a tirare a campare dove il sole non batte più e l’indolenza è il motore della quotidianità.

Gennareniello: da De Filippo a Lino Musella

Lo spettacolo gode di buona fortuna perché è sorretto da una scrittura forte che è quella della penna di Eduardo De Filippo. Non si può negare, però, che la regia – avendo a disposizione attori noti e talentuosi e una scenografia ben costruita – poteva azzardare di più, soprattutto per dare maggiore credibilità alla scelta dell’ambientazione in un’epoca diversa rispetto alla commedia originale. 

Gennareniello aveva tutte le carte in regola per restituire con maggiore profondità il sentire di una famiglia piccolo borghese e disfunzionale, e ogni personaggio poteva essere costruito con un proprio spessore psicologico, così da avere un suo personale impatto comunicativo e riuscire a mettere in pratica il presupposto iniziale annunciato dal regista, ovvero riattualizzare il passato senza tradirlo.

Certo, la signorina guarda la televisione e le soap-opera, ma questo e altri dettagli non sono sufficienti a ritrarre i caratteri, la cultura e i costumi di uomini e donne del 1984. La scelta di ricollocare storicamente l’opera è ad ogni  modo nobile per l’intenzione dichiarata di omaggiare Eduardo De Filippo, morto in questo stesso anno.

Pino Daniele e Maradona sicuramente arricchiscono la commedia di elementi nuovi e semplici, appartenenti al popolo, nel rispetto di quella semplicità che era caratteristica del grande commediografo. Eduardo De Filippo era, però, pure in grado di rappresentare con semplicità la complessità, l’ambivalenza e la malinconia gioiosa dei suoi personaggi, quell’abilità – senza dubbio difficilissima – di cui forse qui si sente un po’ la mancanza.

Interessante in Gennareniello è, invece, il finale. Dopo aver ricevuto il consenso caloroso del pubblico, che non può fare a meno di sentirsi a casa – avendo visto comunque una buona rappresentazione di De Filippo -, Lino Musella con un gesto gentile fa cessare gli applausi  e la recita continua. 

Gli attori in scena recitano a canone una poesia di Eduardo:

«Io vulesse truvà pace; ma na pace senza morte. Una, mmieze’a tanta porte, s’arapesse pe’ campa’!»

Capiamo così che il teatro è uno strumento vivo, una porta ancora aperta sul presente, un balcone che si affaccia sulla contemporaneità, pur avendo rispetto degli scatoloni che sono in soffitta e che con curiosità bisogna sempre andare ad aprire per ripescare gli immaginari del passato e dargli un nuovo respiro. Sfruttiamo il teatro per respirare una nuova primavera anche in mezzo a tanta morte..

di Eduardo De Filippo
regia Lino Musella
con Tonino Taiuti, Gea Martire, Lino Musella, Roberto De Francesco, Ivana Maione, Dalal Suleiman, Alessandro Balletta, Daniele Vicorito
scene Paola Castrignanò
costumi Ortensia De Francesco
disegno luci Pietro Sperduti
sound design Guido Marziale

aiuto regia Melissa Di Genova
direttore di scena Domenico Riso
assistenti alla regia stagisti Niccolò Di Molfetta, Isabella Rizzitello (allievi della Scuola del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale)
assistente costumista Federica Del Gaudio
capo macchinista attrezzista Marco Di Napoli
elettricista Angelo Grieco
sarta Annalisa Riviercio
foto di scena Ivan Nocera

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale

fonte foto di copertina: ufficio stampa

A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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