Woyzeck di Georg Büchner, regia di Tommaso Tuzzoli arriva al Teatro San Ferdinando dal 26 novembre al 1 dicembre.
Tommaso Tuzzoli dirige il capolavoro di Georg Büchner nell’adattamento e la nuova traduzione di Federico Bellini. Woyzeck è uomo-automa vessato dal potere. Si tratta di un’opera di disarmante attualità, che invita a riflettere sulle eterne dinamiche autoritarie, le ingiustizie sociali, la violenza sulle donne, la sopraffazione e lo sfruttamento.
Woyzeck è il «centro di gravità momentanea» attorno al quale ruotano pianeti fatti di sogni e incubi.
Woyzeck (interpretato da Alberto Boubakar Malanchino) è chiuso a guscio al centro di una piattaforma circolare, una superficie terrestre, metallica e desolata. Sente il vuoto, dentro e fuori di lui. Si contorce e urla. Woyzeck ha sulle spalle un macigno invisibile, che lo costringe a gravare con tutto il suo corpo sulla terra, quasi al punto da causare una crepa per sprofondare nell’oltremondo, e come una bestia gnomica finire nel sottosuolo.
Woyzeck è schiavo del lavoro, della moglie, del figlio e della madre. La madre come uno spettro gli appare nella mente per tormentare il suo presente. La moglie ha bisogno dei suoi soldi, ma si serve del suo fascino per sedurre un altro uomo, all’apparenza meno misero di lui. Woyzeck è una bestia meticolosamente metamorfica che mangia solo piselli, ma ha perso la forza fisica e mentale per reagire. È una bestia che ha smarrito l’innocenza dell’infanzia, perché la bestialità è innocente solo nei bambini.
Dietro di lui compare imperiosa la figura del suo padrone, un personaggio (interpretato da Tony Laudadio) grottesco, a metà tra il serio e il comico, beffardo e dispotico, goffo come un genitore che tenta invano di mostrarsi autoritario. La sua voce si insinua nella testa di Woyzeck come quella di un grillo parlante. Il capo è, infatti, vestito di verde come un fastidioso insetto, ma in giacca e cravatta come i grandi uomini di potere.
Marie (interpretata da Federica Sandrini) trascorre il tempo ammirando la sua immagine nello specchio, dimenticandosi del figlio. Si pavoneggia e si dimena in cerca di piacere, lei che nel peccato ci sguazza, per distrarsi e non guardare in faccia il vuoto, per non finire nell’abisso, sottoterra. Sa bene che «tutti gli uomini e le donne sono una merda», perché tutti vittime impassibili del gioco della prigionia.
«Un uomo deve avere salda la propria morale» afferma con sicurezza il capitano mentre Woyzeck gli fa la barba a suon di insulti. La morale è l’alibi che si utilizza per guardare con giudizio agli errori altrui. È diversa dalla vergogna che, invece, consente di osservarsi con coscienza per decostruirsi.
Così Woyzeck è un personaggio che è costretto a rispondere non alle leggi di natura, ma alle leggi insulse degli uomini create per gli uomini, per l’oppressione dell’umana specie e la sua riduzione a gregge. Si tratta delle medesime leggi che oggi sono alla base del capitalismo, del patriarcato, del caporalato, del colonialismo e dell’imperialismo.
Dentro Woyzeck è nascosto un altro uomo, che con ogni probabilità neppure a lui è dato conoscere, forse un bambino con sembianze a metà tra il lupo e lo gnomo. Nel mondo reale la classe operaia non va così facilmente in paradiso e se anche ci andasse il suo ruolo sarebbe «aiutare il Signore a far tuonare».
Woyzeck sa di essere tradito, che a tradirsi è anche lui stesso, sottostando alle ferree leggi del padrone, rispondendo «signorsì signore». Marie pure lo tradisce con un ufficiale. Woyzeck, però, sente tutto, suo malgrado, e il «centro di gravità momentanea» su cui si mantiene a stento in equilibrio è un non-luogo situato al contempo dentro e fuori dal mondo.
Woyzeck è uno schiavo onnisciente perché costretto a guardare anche ciò che non vorrebbe sapere, ma anche schiavizzato da un potente che dirige il suo sguardo e, soprattutto, non gli consente di sfruttare appieno le sue facoltà.
A quel punto neanche l’amore rimane, solo le luci di pensieri intrusivi e di ricordi traumatici si possono accendere, gravitare attorno al centro di un cuore non più pulsante, ma ferroso, asettico, macchinoso e disumanizzato.
Pure il palcoscenico, se usato male, può diventare una prigione, una piattaforma sulla quale si rimane incollati con i piedi alle doghe di legno. Woyzeck è vittima di una messinscena, quella che si tiene ogni giorno, nella vita vera.
Il palco può trasformarsi in una pista di decollo per spiccare il volo o diventare una finzione senza via d’uscita, finché il sipario non si chiude e tutto finisce. Non esiste, dunque, luogo migliore per rappresentare il gioco dell’oppresso e dell’oppressore.
Con momenti di intensa passionalità alternati ad altri di sconforto e rassegnazione, gli attori in scena si cimentano nell’ardua impresa di fronteggiare un testo complesso, frammentario e ostico.
Tony Laudadio, Alberto Boubakar Malanchino, Federica Sandrini, Edoardo Sorgente reinterpretano Büchner, con l’aiuto prezioso delle luci di scena che illuminano alternativamente le varie possibili incarnazione della fierezza e dell’orgoglio, del peccato e della sensualità, della crudeltà e del delitto perfetto. Lo fanno senza pretese di superamento, di aggiungere significati altri, bensì di togliere, raschiare il volto dell’uomo-attore, scaraventarlo a terra, deformarlo al punto da trasformarlo in maschera.
La scena si chiude con al centro la maschera di un lupo dietro la quale non si nasconde neanche più un volto. E laddove le parole non possono più tradurre l’umano tormento subentra il canto.
L’incubo di Woyzeck è il totalitarismo, si può dire che questo incubo si è avverato. Anche se non siamo costretti a mangiare tutti piselli, oggi siamo comunque cavie di un esperimento che ci sottopone a produrre per consumare tutti gli stessi prodotti, perché abbiamo tutti gli stessi desideri. Totale è la nostra condizione di schiavi.
Questo grillo malefico di büchneriana memoria si insinua così subdolamente nella testa da costringerci a vedere da un solo punto di vista, a sentirci il centro di gravità della Terra, unici e soli al mondo, con attorno gli spettri delle nostre paure.
fonte foto di copertina: ufficio stampa