Un palcoscenico privo di scenografia, invaso da una luce azzurra proiettata sullo sfondo, che tratteggia, attraverso il gioco d’ombre, una figura al centro della scena: una donna, dai capelli legati, con le mani lungo i fianchi, che recita, senza l’esigenza di una dizione perfetta, puntando alla battuta, alla risata, utilizzando l’arma più efficace per ottenere un risultato positivo: il racconto della quotidiana verità. È Geppi Cucciari ad indossare i panni dell’unica monologante dello spettacolo Perfetta, scritto e diretto da Mattia Torre in scena la Teatro Diana di Napoli lo scorso 27 gennaio; la protagonista è una venditrice d’automobili, moglie di un uomo-pianta, apatico e gentile, madre di due figli e sopportatrice di una suocera gastronomicamente invadente, che racconta con straordinaria semplicità quattro martedì del mese, quattro giorni che scandiscono le fasi del ciclo mestruale di una donna, rendendola sempre diversa nel modo di approcciare alla vita privata ed alla vita lavorativa. La stessa comica sarda preannuncia, dopo un breve excursus sul traffico che avvolge i pensieri, quale sarà la modalità di narrazione dell’atto teatrale: sarà la sola a raccontare quattro martedì che compongono un mese, affrontati in misura delle fasi del ciclo, decretando come la macchina perfetta che rende la donna diversa dall’uomo, cambi e regoli gli stati d’animo, le passioni, il raggiungimento degli obbiettivi. Si parte con un cambio di luci, un rosso sempre più fiammante colora lo sfondo, segnando l’inizio della prima fase ciclica: giorno 7, fase: mestruazioni. Sull’onda del “non devo piangere”, “non devo piangere” e “puntualmente piango, ho il ciclo da un’ora”, Geppi Cucciari racconta com’è vivere durante i giorni del mestruo, descrivendo con vivacità e poca attitudine alla sopportazione tutto ciò che la circonda: a partire dal marito, definito un uomo pianta, che non si aspetta più nulla dalla vita, forse per questo a tratti moralmente superiore, rispetto alla nevroticità della moglie, continuando con Carmen, la collaboratrice domestica, in grado di rispondere esclusivamente con un passivo “si signora”, proseguendo con il luogo di lavoro, in cui la difficoltà a concludere la vendita di macchine è data dall’insofferenza dettata dal ciclo stesso, che rende la donna “immersa nell’acqua” senza possibilità di respiro, terminando con la suocera a cena, depressa e ammiratrice della cucina partenopea al punto di propinare una genovese tale da “deprezzare l’immobile”. Fortuna vuole che i giorni passino e il calendario segni il 13 del mese, la seconda fase, chiamata follicolare. Tutto è in rinascita, si apprezza il bello, si aspetta senza batter ciglio, anche il fioraio lento lentissimo nel confezionare i fiori; ogni possibilità di successo è resa possibile: Geppi racconta di vendere macchine su macchine, utilizzando tecniche persuasive che si muovono al motto di “quest’audi ha ucciso la sinistra italiana, tutti hanno iniziato a dire la voglio pur io”; così descrive quella che è la primavera tra le quattro fasi del ciclo: uno sbocciare di desideri, una manciata di sì, che si conclude con un marito-pianta utilizzato come “oggetto sessuale a mio piacimento”. La terza fase risponde al nome di ovulatoria ed è ricordata come l’estate, stando alle parole di Geppi: una connessione controversa con il mondo, costituita di forza e gentilezza, un’alternanza tra l’aggredire il traffico con dinamismo ed il concludere contratti di vendita con estrema semplicità. Ogni percezione è sentita, non avvertita: tutto parla, tutto è in stretta correlazione, proprio come accade di sera: il marito guarda le stelle al telescopio, le racconta di Voyager e nel silenzio assoluto si attua la profonda connessione con l’universo intero; quiete prima della tempesta, scandita dal giorno 27, cerchiato e bollato sul calendario con il nome di fase pre mestruo, la più temuta da donne e uomini. Si descrive come una strega, ricurva su se stessa, stressata dalla presenza di qualsiasi sembianza umana nei 75 metri quadrati di casa, per giunta con un unico bagno. Il terreno perfetto per poter attuare una digressione sui figli e su quanto siano luce dei propri occhi nel passato e nel futuro, ma nel presente incubo invadente. Ritorna come un ritornello la parola incubo, che scandisce una giornata, in cui tutto risuona come una minaccia, eppure allo spuntare della luna, Geppi si guarda a fondo, riscoprendo il centro dell’essere donna: l’armonia della ciclicità, dell’accoglienza, del fluire, dell’intimità, del non aver nulla di cui aver paura nella vita.
Geppi Cucciari e l’energia femminile
“La donna deve essere energia maschile per affrontare il mondo ed energia femminile per dare spazio alla sua natura. Io sono la luna”. Sono queste le ultime parole del monologo recitato da Geppi Cucciari, che sembrano aver compreso a pieno come una donna si senta all’interno della propria organizzazione sociale e privata. Eppure sono parole scritte da un uomo: Mattia Torre è infatti autore del testo teatrale, nonché regista, di quello che sembra essere un monologo da donna a donna. Forse è proprio ciò a destare cortocircuito: un uomo scrive ciò che solo una donna vive, avvalendosi di semplicità, gusto per l’ironia, come si può vedere nell’utilizzo della ciclicità di quattro giornate per affrontare il tema del ciclo. Emozioni e umori ricoprono un posto di riguardo all’interno di un atto teatrale, che non annoia, seppur pieno di luoghi comuni, molti dei quali veri, verissimi per la maggior parte delle donne, come dimostrano i numerosi applausi durante il racconto della fase pre mestruale, spesso in altri contesti enfatizzata e demonizzata. La volontà è quella di far ridere, affrontando un tema, che in realtà non fa ridere per nulla: la volubilità delle donne è da sempre presa di mira, argomentata con forme fisse e rigide, il più delle volte prive di senso. Sta volta, il tentativo attuato è differente ed è un progetto che riesce proprio perché punta su un’attrice che di mestiere è una comica, conoscitrice della risata, del tempo del riso, del silenzio prima della battuta. L’esperimento riesce perché la durata dell’atto unico è breve, a stento un’ora e quindici minuti, Geppi Cucciari mantiene la scena con brio, senza doversi muovere con gesti estremi, senza utilizzare marchingegni o espedienti. La vera forza consiste proprio nella parola pronunciata da Geppi Cucciari, perché forse, se al posto suo ci fosse stata una delle tante attrici del panorama italiano, questo spettacolo sarebbe stato additato come l’ennesimo tentativo di scardinare i luoghi comuni, per giunta mal riuscito, con al centro una donna che parla della donna, senza infamia e senza lode. Se invece a parlare è un’attrice, nota al pubblico come comica, allora la storia è ben diversa: si va a teatro pensando che si riderà, che saranno proprio i luoghi comuni a destare il riso, perché delle volte i luoghi comuni altro non sono che la quotidiana verità e la quotidiana verità, raccontata con la giusta dose di filosofia e umorismo, non può che far tirare entrambi gli angoli della bocca in sù.