Cose che so essere vere (Things I know to be true) di Andrew Bovell in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 4 dicembre all’8 dicembre
Va in scena in tournée al Teatro Bellini di Napoli Cose che so essere vere (Things I Know to Be True) di Andrew Bovell, nella traduzione di Micol Jalla, per la regia di Valerio Binasco. Lo spettacolo, primo allestimento italiano del testo di Bovell, è coprodotto dal Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, dal Teatro Stabile di Bolzano e dal Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, in accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di HLA Management Pty Ltd.
Cose che so essere vere ha debuttato in prima nazionale al Teatro di Carignano di Torino, il 7 ottobre 2024 e in questa stagione sarà in tournée dal 29 ottobre 2024 al 2 febbraio 2025 nelle principali città italiane.
Cose che so essere vere, la sinossi
Rosie (Giordana Faggiano) è di ritorno dal viaggio in Europa che tanto aveva desiderato, con il cuore infranto e colmo di delusione. Credeva di aver incontrato l’amore della sua vita ma scopre di aver vissuto un’illusione, ritrovandosi senza più certezze dopo essersi fidata di un ragazzo spagnolo conosciuto una sera.
Per non crollare emotivamente, stila una lista di cose che sa essere vere. L’elenco è molto scarno e il primo pensiero va alla sua famiglia, l’unico porto sicuro in cui tornare dopo la burrasca, la certezza inespugnabile della sua vita. Suo padre Bob (Valerio Binasco), sua madre Fran (Giuliana De Sio), sua sorella Pip (Stefania Medri), i suoi due fratelli Mark (Giovanni Drago) e Ben (Fabrizio Costella), la loro villetta con giardino a Hallet Cove, nel sud dell’Australia: sono queste le solide radici a cui sa di potersi aggrappare.
Cose che so essere vere: ritratto di una famiglia disfunzionale
La pièce si sviluppa nell’arco di un anno, raccontando la vita della famiglia Price. Ogni stagione – autunno, inverno, primavera, estate – segue i drammi personali di ciascuno dei quattro fratelli: il divorzio di Pip, il cambio di sesso di Mark, la precaria situazione economica di Ben e il futuro ignoto di Rosie, ancora da costruire.
Le aspettative di Bob e Fran, modellate su radicate convenzioni sociali, sono ampiamente deluse. I due speravano di aver cresciuto i figli con dei valori allineati ai propri, desiderando per loro una strada strutturata che culminasse con matrimonio e figli. In cosa avevano sbagliato? Li avevano forse viziati, facendo credere loro “di poter essere tutto e avere tutto”?
Il dramma mette in scena non solo la storia di una famiglia imperfetta ma esplora anche le profondità di un matrimonio che forse va avanti solo per necessità di tenere unita la famiglia. Fran mostra con tanta umanità sentimenti contrastanti, da un lato l’amore per i figli e la preoccupazione per il loro futuro, espresso con una tendenza al controllo, dall’altro non nasconde l’insoddisfazione per la sua condizione e la rabbia verso l’imposizione della maternità:” mi hanno detto che dovevo essere madre”.
Nel corso del tempo la facciata di perfezione di una famiglia disfunzionale come tante altre rivela le sue crepe. Emergono segreti, non detti e verità nascoste che disintegrano a poco a poco la fragile coesione tra tutti i membri. Emblematiche le parole di Fran: “Siamo un disastro, come tutte le famiglie”.
Cose che so essere vere, scenografia e musica
Il sipario è già alzato e la scena è ben visibile sin dall’inizio dello spettacolo: il giardino della villetta dei Price, colmo di piante di ogni tipo, pare essere proprio il nucleo vitale della famiglia. Come scrive Binasco nelle note di regia, “il tema del giardino è legato all’idea di paradiso o giardino dell’Eden, quella famosa parola che si abbina sempre (volontariamente o no) all’aggettivo “perduto”. […] Cose che so essere vere è la storia di un Eden che si rivela, ancora una volta, perduto. In putrefazione.”
Tanti episodi rilevanti della vita dei Price hanno avuto luogo lì, dal matrimonio di Pip alla crisi di Fran, colta proprio dalla figlia Pip intenta a sbattere la testa sull’albero in un momento di crisi. Sotto le note di Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen, comprendiamo che “Fran ha metaforicamente preso a testate l’albero di Eva, si è fatta abbastanza male per sacrificarsi alla famiglia”. E Bob, ex operaio di una fabbrica di automobili ormai fallita, pareva “rifugiarsi nel giardino come scusa per evitare di vivere”, dedicando tutto il suo tempo alla cura delle rose.
La scena rotante evoca il susseguirsi delle stagioni, che si fa metafora del passare del tempo e dei cambiamenti che investono inevitabilmente la vita di ogni essere umano. Ma proprio perché la vita va avanti, ecco l’idea di Fran: perché non costruire un giardino diverso, “pieno di caos e posti in cui perdersi e nascondersi”?
Le scene e le luci sono di Nicolas Bovey, i costumi di Alessio Rosati, il suono di Filippo Conti, video e pittura di Simone Rosset.
Perdita e resilienza
La famiglia di Bovell è un posto da cui scappare ma anche il luogo in cui tornare. La pièce, con la circolarità che la caratterizza, termina così come era iniziata, con lo squillo di un telefono, presagio di brutte notizie. Dopo l’anno appena trascorso, Rosie matura nuove consapevolezze e ha nuovi elementi da aggiungere alla sua lista di cose che sa essere vere: le persone non sono perfette, a volte non basta l’amore, niente resta uguale. E se un ragazzo ti spezza il cuore non è la fine del mondo, perché la vita continua, nonostante le inevitabili perdite.
Cose che so essere vere è un inno alla resilienza, una pièce di grande impatto emotivo che colpisce dritto al cuore degli spettatori per l’universalità dei temi toccati.
Fonte immagini: fotografie dello spettacolo “Cose che so essere vere” di Andrew Bovell, regia di Valerio Binasco. ©Photo Virginia Mingolla