Gianfelice Imparato torna a teatro con Ditegli sempre si

Gianfelice Imparato riporta De Filippo a teatro. L’attore di Castellammare, al culmine del suo successo con le fiction televisive, torna in palcoscenico. La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo porta dal 9 al 19 dicembre nella casa di Eduardo, il San Ferdinando, Ditegli sempre di sì con la regia di Roberto Andò con protagonisti Carolina Rosi e Gianfelice Imparato.

Ditegli sempre di sì, tra i primi testi di Eduardo

Uno dei primi testi scritti da De Filippo, Ditegli sempre di sì è un’opera vivace il cui protagonista è un pazzo metodico con la mania della perfezione, una commedia in bilico tra la pochade e un vago pirandellismo, un congegno bizzarro in cui Eduardo si applica a variare il tema della normalità e della follia, consegnando al personaggio di Michele Murri, il protagonista, i tratti araldici della sua magistrale leggerezza.

La prima versione della commedia risale al 1925 e dunque è la prima volta che in un lavoro di Eduardo compare la follia. Nonostante il grande successo tributatole negli anni della compagnia Scarpetta e poi nelle stagioni del Teatro Umoristico, come altre commedie dei “giorni pari”, Ditegli sempre di sì a un certo punto venne messa da parte. Probabilmente, per attenuare, dopo la separazione artistica dei due fratelli De Filippo, il ricordo dell’interpretazione di Peppino nei panni di Luigi Strada, il personaggio dell’attore, lo studente pazzo di teatro.

Come il Bernhard di Minetti, anche Eduardo crede infatti che il rapporto tra l’attore e la pazzia sia consustanziale all’arte drammatica. E’ da notare come, pur facendo molto ridere, a partire da certi anni, Ditegli sempre di sì sia stata sempre definita una “commedia dolorosa”.

Frutto di successive elaborazioni, e per un certo tempo, nel suo derivare dalla farsa scarpettiana, lasciata aperta all’improvvisazione, Eduardo provvide a darne una versione definitiva e italianizzata in occasione della sua regia televisiva del 1962, in cui, a mio parere, rivestendo ancora una volta i panni del protagonista, si produsse in una delle sue più grandi interpretazioni.

Il tema della pazzia ha sempre offerto spunti comici o farseschi, ma di solito è giocato a rovescio, con un sano che si finge pazzo. Invece, in Ditegli sempre di sì il protagonista è realmente pazzo, da cui il dolore, e il senso di minaccia che pervadono l’opera. Tra porte che si aprono e si chiudono, equivoci, fraintendimenti, menzogne, illusioni, bovarismi, lo spettatore si ritrova in un clima sospeso tra la surrealtà di Achille Campanile e un Pirandello finalmente privato della sua filosofia, irresistibilmente proiettato nel pastiche.

Gianfelice Imparato, l’interprete eduardiano per eccellenza

In Ditegli sempre di sì la pazzia di Michele è vera, infatti è stato per un anno in manicomio e solo la fiducia di uno psichiatra ottimista gli ha permesso di ritornare alla vita normale. Michele è un pazzo tranquillo, socievole, cortese, all’apparenza l’uomo più normale del mondo, ma in verità la sua follia è più sottile perché consiste essenzialmente nel confondere i suoi desideri con la realtà che lo circonda; eccede in ragionevolezza, prende tutto alla lettera, ignora l’uso della metafora, puntualizza e spinge ogni cosa all’estremo.

Tornato a casa dalla sorella Teresa si trova a fare i conti con un mondo assai diverso dagli schemi secondo i quali è stato rieducato in manicomio; tra equivoci e fraintendimenti alla fine ci si chiede: chi è il vero pazzo? E qual è la realtà vera?

L’intreccio è di una semplicità disarmante e si direbbe che l’autore si sia programmaticamente nascosto dietro la sua evanescenza per dissimulare l’inquietudine, e la profondità, che vi stava insinuando.

Come se ne avesse pudore, o paura. Il luogo dove siamo convocati è il tipico interno piccolo-borghese di Eduardo, il salottino, e subito diviene lo specchio scheggiato della follia del protagonista, l’antro in cui la sua mente può elaborare, manipolare, e distorcere, i ragionamenti e i sofismi di chi gli viene a tiro, scardinandone la fragilità e la vanità. Sarebbe facile dire che Michele Murri ci è vicino, e affermare che il suo continuo attentare alla logica, il suo modo di vigilare sullo sguardo degli altri, il suo deviare continuo dal senso delle parole e delle intenzioni, assumendone la letteralità, è un filtro che, prima o poi, ognuno di noi ha temuto o desiderato. Come sarebbe anche facile dire che Michele, come ogni pazzo che si rispetti, è un forsennato contestatore della vita e del suo senso.

Via via che si avvicina al finale, il fantasma delle apparenze assume in Ditegli sempre di sì un andamento beffardo, sino a sfiorare, nel brio del suo ambiguo e iperbolico disincanto, una forma spiazzante, la stessa che, anni dopo, il genio di Thomas Bernhard riassumerà in una scarna, e micidiale, domanda: “È una commedia? È una tragedia?”

L’attenta e misurata regia di Roberto Andò riesce a tenere il perfetto equilibrio tra i due registri della commedia. Geniale l’intuizione di trasformare la bella scenografia di Gianni Carluccio da una corsia di ospedale psichiatrico a salone della casa di Teresa Murri con un semplice cambio luci, a sottolineare la sostanziale identità fra i due luoghi. Luci che evidenziano anche i momenti di black-out della mente del protagonista, forieri di nuove trovate comiche, il tutto sulle note verdiane dell’ouverture de La Forza Del Destino.

Gianfelice Imparato si conferma l’interprete eduardiano per eccellenza, col suo fare stralunato e la sottile ironia che lo rende comico anche nella controscena. Carolina Rosi è una perfetta Teresa, con la sua forte tempra ma anche le sue fragilità. Il giovane Edoardo Sorgente è la vera rivelazione dello spettacolo, che con la sua energia fisica e la puntualità nel gesto e nella parola ridà vita al personaggio di Luigi Strada che fu di Peppino.

Uno spettacolo esilarante, da godersi e amare.

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