La Distance di Tiago Rodrigues (Mercadante) | Recensione

La Distance di Tiago Rodrigues (Mercadante) | Recensione

La stagione 2025/2026 del Teatro Mercadante si apre con un importante debutto italiano in lingua originale sottotitolato: La Distance di Tiago Rodrigues, in scena dal 22 al 24 ottobre.

È il 2077, una parte dell’umanità vive sulla Terra in condizioni sempre più precarie, sull’orlo di una fine in preda alle guerre e alla fame di vita; un’altra parte, invece, si è trasferita su Marte: i Dimentichi, quella che in poche parole può essere definita una setta, è lì su quel pianeta per ricercare nuove possibilità di vita con l’obiettivo di premere il pulsante “resetta” e riformulare daccapo gli esseri umani. In questa dinamica, padre (Adama Diop) e figlia (Alison Dechamps) comunicano a milioni di chilometri di distanza, l’uno sulla Terra e l’altra su Marte. La Distance di Tiago Rodrigues offre al pubblico uno scenario di complessa distopia, una possibilità nell’impossibilità data da un gioco di distanze durante il quale si intrecciano memoria, politica, visibilità e percezione del contemporaneo, speranze e consapevolezze.

Di tempi sospesi e cruda realtà: quando il teatro si fa visibilità democratica

La Distance di Tiago Rodrigues (Mercadante) | Recensione
La figlia (Alison Dechamps)

La Distance di Tiago Rodrigues si sviluppa scenograficamente attraverso un meccanismo sublime, che dialoga con il contenuto secondo un sistema ricercato. Al centro del palcoscenico ruota una piattaforma ellittica, che evoca il movimento dei pianeti, divisa a metà: su un lato, è allestito l’interno di una casa dove un padre si chiede disperato una raffica di perché circa la lontananza della figlia; su un altro lato, invece, quella stessa figlia è distante più di duecento chilometri dalla figlia e poggia la sua leggerezza gravitazionale su un terreno spoglio, vergine, sul quale è quasi pronta a fare nascere un’umanità completamente riformulata. I due sono di spalle, non hanno mai possibilità di contatto né di guardarsi negli occhi, divisi da una distanza che, se nell’effettivo sul palco sembra minima, nel funzionamento della scena è percepita come esorbitante.

Ecco, se il teatro è un luogo dove la vista ha un ruolo sensoriale importante, si spiega la necessità di partire dalla scenografia, la quale appare come un punto nevralgico, ovvero come l’accesso a un pensiero profondo che muove le redini dello spettacolo. Ciò che scaturisce dall’allestimento impeccabile di La Distance di Tiago Rodrigues è una concezione di visibilità democratica del palcoscenico e, dunque, del teatro. Al netto di come quelle tavole di legno vengono gestite e del contenuto posto in precedenza del testo, è immediatamente chiaro il collegamento indissolubile, una struttura costruita ad hoc perché funzioni lo scontro tra le idee, l’opposizione netta e altrettanto intima di due modi di pensare il contemporaneo, una più amorevole e l’altra più radicale senza ritorno. Allora, la visibilità della messinscena si fa democratica nel senso di una visione d’insieme complessa, dove il contrasto è riflessione, dove quella dinamica di assenza di contatto è in realtà un tangibile ritrovarsi in un catartico sfiorarsi.

La Distance di Tiago Rodrigues e il logos tra lirismo e prosaicità

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Il padre (Adama Diop)

Se il dato visibile è un tassello di partenza ponderante, diventa altrettanto grave anche quello della parola. La Distance di Tiago Rodrigues si fonda su un persistente utilizzo del logos, capace di inerpicarsi sui lirismi della necessità di memoria, sui sentieri abissali dell’esigenza di una riformulazione irreversibile, ma altrettanto capace di inquadrare il tutto entro i contorni di una suggestiva prosaicità. Quel logos svolge una funzione di descrizione, di narrazione e soprattutto di espressione astratta e realistica allo stesso tempo. Non a caso, il linguaggio utilizzato riesce a toccare vette di un romanticismo poetico e, talvolta, riesce a restituire allo spettatore una caustica pragmaticità della realtà descritta, volendo quasi cinica. Ed è questa stessa doppia natura del linguaggio, astratta e concreta, che rende lo spettacolo assolutamente ipnotico.

Da quel linguaggio visibile, si dipana un gioco di doppi: visibilità e ascolto, lirismo e prosaicità, astrazione e concretezza. Attraverso ciò, La Distance di Tiago Rodrigues affronta tematiche complesse, con una modalità per la quale si prende i propri tempi. A sipario aperto e luci soffuse che a mano a mano si spengono, sembra di entrare progressivamente in uno spazio temporale dilatato. L’idea, appunto, è di ritrovarsi in una dimensione distante. Eppure, la vicinanza al presente è fornita da una capacità ipnotica, da quel tenere incollata l’attenzione del pubblico. Nel frattempo della pièce, non succede niente, nel senso che si tratta per certi aspetti di una monotonia in cui non si verifica nessun evento di distacco, almeno non prevedibile. Ma è altrettanto irresistibile seguire il rapporto a distanza tra padre e figlia, l’opposizione di idee e politiche diverse, l’aspettativa di ciò che può essere e ciò che sarà.

Luoghi di memoria e squarci di dimenticanze

La Distance di Tiago Rodrigues (Mercadante) | Recensione
Il padre legge la lettera alla figlia

La Distance di Tiago Rodrigues è uno spettacolo scritto e diretto da quest’ultimo, ovvero da un artista poliedrico che si è sempre posto lo scrupolo di rivolgere uno sguardo al presente. Nei suoi lavori, non manca mai di fare intrecciare realtà, memoria, invenzione, politica e poesia, come d’altra parte si è visto fin qui per la messinscena in questione. Come si è detto, il palcoscenico secondo l’idea di Rodrigues non sono soltanto tavole di legno sulle quali allestire una rappresentazione, bensì è un luogo di democrazia, di ascolto e visione di idee. Con lui il teatro assume i tratti di un evento attivo, di un qualcosa che il pubblico non subisce, anzi, la sua coscienza è chiamata sotto ipnosi a partecipare. D’altra parte, è anche un po’ quel senso di politica che l’artista dà al Festival d’Avignon, una delle rassegne più importanti al mondo e più di impatto, di cui ha la direzione fino almeno al 2030.

Nel caso di La Distance di Tiago Rodrigues, viene chiamata in causa la memoria, nonché il suo opposto che è la dimenticanza. La figura del padre incarna quella necessità di ricordare, di tenere sempre conservato il passato perché è su quest’ultimo che si fonda la promessa di un futuro di speranza. La sua memoria significa identità, disegnarne i contorni, ma più di tutto è un atto di invincibile amore. In un futuro che sembra non potere esistere, il ricordare diventa un atto di resistenza affettiva. Così, finanche l’amore paterno è una forza che attraversa il tempo e lo spazio, capace di unire due corpi lontani e di salvare l’essere umano dalla deriva dell’oblio. Dal canto opposto, la figlia dà voce e corpo all’esigenza di dimenticare affinché ci sia un inizio veramente nuovo. Ella, su Marte, tenta di fondare un’umanità priva del peso dei fallimenti terrestri. Allora, diventa una dinamica in cui il ricordo richiama come un’eco d’amore e contemporaneamente il desiderio viscerale di ricominciare si alterna come rottura e punto di riequilibrio. Qual è la strada vincente?

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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