L’amore del cuore, dal capolavoro di Churchill | Recensione

L'amore del cuore, dal capolavoro di Churchill |Recensione

L’amore del cuore è il titolo del nuovo spettacolo al Piccolo Bellini di Napoli dal 3 all’8 maggio. La drammaturgia dell’inglese Caryl Churchill è stata tradotta da Laura Caretti e Margaret Rose e messa in scena sotto la regia di Lisa Ferlazzo Natoli, con gli attori Tania Garriba, Fortunato Leccese, Alice Palazzi e Francesco Villano.

Un puzzle mai finito

L’amore del cuore approfondisce lo scarto di identità del testo stesso attraverso la dissacrazione della sua rappresentazione scenica. Lo spettacolo ha un’ambientazione realistica all’interno di un dramma domestico, dove una piccola storia familiare tesse una trama apparentemente come le altre. Ben presto, però, questa superficie di normalità si incrina nella direzione di un testo fatto di interruzioni e ripartenze. Un padre ed una madre impelagati in un rapporto ormai alla deriva, una zia che cerca di mediare ma non fa altro che peggiorare una situazione già critica di suo ed un figlio le cui apparizioni sono sempre disastrose e lo vedono costantemente ubriaco, tutti e quattro recitano i loro ruoli nell’attesa del ritorno della loro figlia, sorella e nipote, che non ritornerà mai veramente, secondo una molteplicità di prospettive in cui si dipana la struttura teatrale, perdendosi e ritrovandosi. Nel tempo dell’attesa, snervante e ignoto, le dinamiche relazionali tra i personaggi si «gettano in scena» letteralmente fino a fare esplodere le convenzionali dinamiche di senso che si associano alle parole ed ai gesti: sotto la supervisione di un regista a cui sfugge inevitabilmente la complessività della resa scenica, gli attori svolgono il loro lavoro intraprendendo diversi inizi, interrompendosi e ripartendo ogni volta con piccole modifiche, che siano aggiunte o tagli. L’amore del cuore, allora, diventa un mosaico in cui ogni ripresa è un vano tentativo, che crea un circuito chiuso in sé stesso dove la verità stenta ad uscire fuori. Non a caso, infatti, l’unico elemento disturbante che prova a spezzare questo svolgimento è il figlio-fratello perennemente ubriaco, al quale è rivolta l’accusa perentoria: «Tu dici sempre la verità».

L’amore del cuore: un teatro epico postmoderno

Tra i dialoghi spezzati in cui i personaggi insieme al regista hanno ripensamenti e cercano di provare ogni volta in un modo nuovo di costruire la rappresentazione scenica, mettendola costantemente in discussione e rielaborazione, risulta un effetto di straniamento: gli attori non si immedesimano nei rispettivi ruoli da interpretare e finanche il regista non è introiettato nell’organico, al contrario, la scissione con i loro personaggi non trova risoluzione. In questo gioco, è chiaro il rimando ad un’eco brechtiano con il suo teatro epico con un influsso postmoderno, secondo cui il confine tra realtà e finzione è labile. L’amore del cuore, dunque, si palesa nella sua forma ambigua di artificio teatrale che si sta costruendo, al quale lo spettatore è chiamato ad assistere partecipando attivamente. Ma qui lo straniamento non diventa una tecnica di resa scenica, bensì l’impossibilità da parte degli attori e del regista di trovare una soluzione concreta. La verità, infatti, è snaturata in una pluralità di possibili realizzazioni ed in questo vortice perde il suo senso e diventa paradosso, sconfinando nell’assurdo. L’amore del cuore, in conclusione, attraverso la sua superficie distorta sottintende una sottile critica all’ipocrisia borghese, giocando con il sovvertimento della sua stessa essenza teatrale denuncia il non detto tra un’interruzione e l’altra, tra una parola scagliata ed un’altra ripensata o sottaciuta.

Fonte immagine di copertina: Teatro Bellini   

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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