Dopo Lo zoo di vetro di Tennessee Williams, Leonardo Lidi ritorna a un altro grande classico dello stesso autore: La gatta sul tetto che scotta.
La società attraverso la lente famigliare: un percorso da Cechov a Tennessee Williams
Dal 13 al 18 maggio presso il teatro Mercadante di Napoli va in scena La gatta sul tetto che scotta, un testo di Tennessee Williams, rappresentato nella traduzione di Monica Capuani, con la regia di Leonardo Lidi e le interpretazioni di Valentina Picello, Fausto Cabra, Orietta Notari, Nicola Pannelli, Giuliana Vigogna, Giordano Agrusta, Riccardo Micheletti, Greta Petronillo e Nicolò Tomassini. Lo spettacolo rientra nell’idea di un progetto teatrale più ampio in cui il regista ha a cuore la lettura della società, con le sue contraddizioni di ruoli, i suoi pregiudizi ed i tabù, attraverso il riflesso allo specchio delle dinamiche famigliari. Seguendo quest’interesse, Lidi ha già messo in scena Lo zoo di vetro dello stesso autore e prima ancora ha affrontato Cechov, drammaturgo per cui è nevralgico più che mai il tema della famiglia.
Infatti: «Mi sorprende sempre pensare che l’ultimo testo di Tennessee Williams, l’ultimo di cui le cronache hanno sentito parlare, sia una sua riscrittura personale del Gabbiano di Cechov, suo autore preferito. The Notebook of Trigorin è infatti una vera e propria dedica di un ammiratore al suo idolo da ragazzo. Questo amore, questa continuità, ha creato nella drammaturgia del secolo scorso un vero e proprio filo rosso che parte da Anton Cechov, passa da Tennessee Williams e si conclude con alcuni film di Woody Allen» – sostiene Lidi nella sinossi sulla sua versione di La gatta sul tetto che scotta ponendo il focus sulle dinamiche tra i componenti della stessa famiglia che consentono di mettere in luce alcune problematiche della società odierna.
La gatta sul tetto che scotta e la denuncia dell’ipocrisia
Ciò che immediatamente risulta interessante del lavoro di regia di Lidi e di traduzione della Capuani su La gatta sul tetto che scotta è proprio che, per quanto si tratti di un testo teatrale andato in scena per la prima volta a Chicago nel 1944, risulta di un’attualità disarmante. L’interpretazione fornita si alimenta di significati che consentono di sviluppare riflessioni vivide, senza limiti temporali né geografici. Già la dimensione scenica, definibile benissimo abbagliante con luci chiare e accese, ne restituisce un primo senso: il pubblico vede una camera da letto, uno spazio-gabbia dove ad ogni personaggio che entra pare decadere la maschera dell’ipocrisia e vengono fuori i disagi, le terribili verità. Fuori, si percepisce soltanto l’aria di una festa in cui tutto sembra essere perfetto e lontano.
Fuori tutto scorre, mentre dentro, al chiuso di quelle mura anonime e accecanti si consuma la tragedia: i personaggi di La gatta sul tetto che scotta vengono trattati come clown tristi, messi a nudo nella loro ridicola borghesia. L’ipocrisia è il leitmotiv, parola non a caso pronunciata spesso da Brick, l’unico che risulta di una terribile autenticità. Ancora una volta non è lasciata alla casualità l’operazione per la quale questo personaggio è l’unico a non uscire mai dalla stanza, quasi relegato lì a scolarsi bottiglie di alcool, come un tentativo di vivere sia nel ricordo del suo amico defunto per il quale probabilmente vi era un amore omosessuale mai esternato, sia lontano da quei sistemi famigliari e sociali logori, falsati. Anche Maggie, sua moglie, è lontana: addirittura è infertile, simbolo di non assimilazione in quelle dinamiche di famiglia. Eppure, da donna che proviene dalla povertà, tenta di riscattarsi, sfrutta la menzogna per questo – ancora un altro tema sociale che si ripresenta da Cechov a Williams.
Dal particolare della famiglia al dramma corale della società occidentale
Questo dramma tragi-comico si apre con quello di Maggie: ella, che si definisce da sola La gatta sul tetto che scotta, si presenta con una bizzarra isteria al netto del mutismo annientato del marito Brick, rinchiusa in un’infertilità che non le consente di accedere al mondo fuori. Da qui, la bugia finale di essere diventata finalmente madre. Ma non solo, perché in questa impossibilità procreatrice, vi si inserisce anche quella della presunta omosessualità. Si tratta di due dinamiche che rimandano a quel sistema odierno di cui fa parte il ruolo della donna angelo del focolare, la cui identità deve essere assimilata alla madre procreatrice, e anche di forzature sulla famiglia tradizionale. Entrambi gli argomenti sono ormai al centro delle discussioni sociali attuali e vengono restituiti nella pièce con cura e sensibile attenzione.
In questo gioco scenico di dentro e fuori tra la stanza e la festa, del cui senso si è parlato prima, ciò che colpisce di più dell’interpretazione teatrale di Lidi di La gatta sul tetto che scotta è la coralità. Sicuramente il personaggio di Maggie mantiene per tutto il percorso della rappresentazione delle redini fondamentali, suscitando risposte e altrettanti movimenti insieme a Brick; ma in fondo un vero protagonista è come se non ci fosse, partecipano tutti a uno stesso dramma irreversibile. L’attenzione del regista è significativamente sulle dinamiche, sui ruoli che comunicano talvolta decadendo i rispettivi contesti imposti all’inizio. Ed è in questa operazione che la rappresentazione arriva dritta all’anima, tocca nervi scoperti scomodi – ma finalmente!
Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa