La locandiera di Latella, al Teatro Mercadante | Recensione

La locandiera di Latella, al Teatro Mercadante | Recensione

La locandiera di Latella, dall’opera teatrale più riuscita e riconosciuta di Carlo Goldoni, approda sulle scene del Teatro Mercadante di Napoli, dal 12 fino al 17 novembre.

Ancora Goldoni?

Ebbene sì, per quanto quel Cambiare sguardo della stagione 2024/25 del Teatro di Napoli non si manifesti sempre come un evidente stravolgimento che proietti la visione su una storia teatrale non alle spalle, La locandiera di Latella, dal classico goldoniano ormai più che noto, riesce a porsi al cospetto della platea come una rielaborazione e riattualizzazione sorprendente e curiosa. Non rinuncia all’obiettivo di comunicare l’importanza della memoria dei classici, ma al contempo offre spunti di visione interessanti perché, in parte, nuovi, ci parla di una freschezza di cui questa stessa memoria tutto sommato avrebbe bisogno. Ipnotico proprio come Mirandolina, lo spettacolo va in scena al Teatro Mercadante fino al 17 novembre nella rilettura del regista Antonio Latella insieme alla dramaturga Linda Dalisi, con in scena Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Annibale Pavone, Gabriele Pestilli e Marta Pizzigallo.

Una contemporaneità che riguarda La locandiera di Latella della quale è proprio quest’ultimo a sottolinearne la sottile eppure resistente importanza nella sinossi: «Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la Locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro paese si riscriverà, la storia che in qualche modo ci riguarda tutti».

La locandiera di Antonio Latella: una Mirandolina diversa

È chiaro che, nel testo goldoniano, fin dal titolo è indiscussa la centralità della protagonista, Mirandolina, definibile attrice di quella coralità scenica ma finanche regista che tesse e dirige la trama; e di conseguenza questa stessa centralità risulta indubbia in La locandiera di Latella, tanto che a un certo punto, nel momento prima di dichiarare la scelta di sposare Fabrizio, la protagonista si siede di spalle al pubblico osservando i risultati dei suoi inganni dipanarsi sul palcoscenico. A rinforzare ciò, una scenografia statica, ma che viene resa viva proprio da quella componente umana.

Eppure, la Mirandolina in La locandiera di Latella ci viene restituita con un focus diverso rispetto ad altre rivisitazioni. Se la si è sempre vista nei panni di una seduttrice, talvolta ingannevole, qui ella è molto più composta: a spiccare è la sua intelligenza, degna di essere simbolo di quella classe borghese al tempo in ascesa, il suo magnetismo che non ha bisogno di eccessi, una mente che sceglie calcolando. Infatti, è una Mirandolina anche contenuta, che gioca su quel binomio espressione-repressione riguardo ai suoi sentimenti inevitabili per il Cavaliere Ripafratta, mettendo in evidenza una componente psicologica singolare nella riforma teatrale e culturale di Goldoni. Da questo punto di vista è interessante il lavoro di rivisitazione del regista, ovvero, nel non tematizzare questo grande classico in un’unica visione, bensì nel richiamarne i vari elementi che possano dare un senso più ampio di tale grande classico. 

Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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