L’Elettra al Teatro Arcobaleno | Recensione

L'Elettra al Teatro Arcobaleno | Recensione

Giuseppe Argirò porta in scena l‘Elettra di Sofocle al Teatro Arcobaleno di Roma, in programma fino al 23 marzo

Elettra è un problema, commentava Francis Dunn.

Un dramma problematico da mettere in scena nel V a.C., anche per via dell’inevitabile confronto con le Coefore di Eschilo e la forse coeva Elettra di Euripide.

Altrettanto problematico è riportarlo sulla scena due millenni dopo.

Giuseppe Argirò ha raccolto la sfida, proponendo una versione dell’Elettra di Sofocle che in realtà è il frutto del confronto e dell’incrocio di più elaborazioni del mito di Elettra e di Oreste, i due figli di Agamennone destinati a scontare le colpe degli avi.

Una potente Micol Pambieri – già Antigone nell’Edipo a Colono sempre di Argirò – si misura con il ruolo della protagonista, centro nevralgico della vicenda ed emblema del conflitto inconciliabile tra stato di diritto e stato di natura. Nel cast, oltre a Micol Pambieri, Elisabetta Arosio, Melania Fiore e Vinicio Argirò.

L’Elettra di Sofocle

Un dramma intenso costruito attorno al personaggio femminile della sorella di Oreste che conquista il centro della storia, da marginale che era, tanto da relegare il fratello al ruolo di complice e mero esecutore del matricidio.

Più indizi concorrono a collocare la tragedia nella fase più matura della produzione sofoclea, in un periodo in cui il tragediografo risponde alla crisi politica dell’Atene in piena Guerra del Peloponneso con un ripiegamento sull’individuo; lo scopo, però, resta quello di scandagliare il singolo per analizzare la pluralità degli uomini e le forme della loro convivenza.

L’individuo al centro del mondo, in conflitto con la società e in perenne dissidio interiore: questo il grande “problema” di Sofocle. E anche nell’Elettra la problematicità del dramma risiede anche nella centralità dell’uomo, nel tentativo di osservarlo da vicino in tutta la sua complessità e in tutti i contrasti insanabili che lo connettono con l’esterno.

L’Elettra al Teatro Arcobaleno

Ossessionata dalla volontà di onorare la memoria del padre e di vendicarne la morte avvenuta per mano della moglie Clitemnestra, Elettra si risolve a portare a termine i propositi matricidi dopo il ritorno del fratello Oreste, da anni lontano da casa per volere dell’oracolo di Apollo; per volontà degli dèi tocca a lui ripristinare la giustizia e uccidere la madre e il nuovo amante Egisto, usurpatore del trono di Agamennone. L’anagnorisis (l’agnizione) tra i due fratelli è la chiave di volta all’interno della storia e ne determina lo sviluppo.

La messinscena riproduce il ritmo intenso del dramma sofocleo, anche se in alcuni punti sembra preoccuparsi più di ricrearne il pathos che di sviluppare coerentemente la storia o di sondare le profondità dell’animo umano. E se nelle tragedie di Sofocle l’elemento più rilevante è la grandezza del dolore del singolo al cospetto della giustizia divina, nella rappresentazione diretta da Argirò la catena dei sanguinosi eventi e la necessità con cui si susseguono prevalgono sulla caratterizzazione dei personaggi.

Nel caso dell’Elettra il conflitto è interamente femminile.

È intorno a questo vorticoso confronto di voci che si sviluppa la scrittura e la direzione di Argirò, che ambienta la vicenda intorno a un tavolo da pranzo in legno posto al centro del palcoscenico; da una parte una provocante e maliziosa Clitemnestra vestita di rosso dall’altra una addolorata Elettra vestita a lutto e una rigorosa Crisotemi; tutte e tre sono foriere di un dolore atavico, ancestrale, che nasce dallo stesso seme ma trova compimenti diversi.

La conflittualità intima e parentale cela un conflitto politico e universale tra lo stato di natura e lo stato di diritto, tra le leggi scritte dagli uomini e le leggi assolute: è necessario rispondere al sangue con il sangue e vendicare la morte di Ifigenia, la giovanissima figlia che Agamennone sacrificò per permettere alle navi achee di salpare verso Troia con il favore degli dei, ma la giustizia degli uomini è molto spesso iniqua.

Alla fine, non resta che l’azione. Giustizia – o volontà? – è stata fatta. Non resta che guardarsi le spalle dalle Erinni.

Fino al 23 marzo al Teatro Arcobaleno.

 

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