Peppe Barra, intervista all’attore

La Cantata dei Pastori, di Peppe Barra al Teatro Giuffré | Intervista

Peppe Barra riporta il Natale partenopeo con La Cantata dei Pastori

Una data sicuramente da segnare: il 10 dicembre andrà in scena al Teatro Aldo Giuffré di Battipaglia La Cantata dei Pastori, lo spettacolo di Peppe Barra che conta ormai anni di successi. Sarà un’edizione rinnovata, con attori conosciuti e altrettanti giovani, diversi, con le nuove scene di Carlo De Marino, i nuovi costumi di Annalisa Giacci e le nuove musiche di Giorgio Mellone. Inoltre, la regia sarà di Lamberto Lambertini e accompagnerà Peppe Barra nei panni di Razzullo e Lalla Esposito in quelli di Sarchiapone.

Di seguito, l’intervista a Peppe Barra!

L’intervista

Dopo tanto tempo, ormai, che lei porta in scena La Cantata dei Pastori, credo che sia interessante chiederle: com’è entrato in contatto con questo testo, che di base conta secoli? Cioè, cos’è stato a farle accendere l’idea di portarlo in scena e la determinazione a ripresentarlo tutt’oggi?

Allora, prima di tutto, ormai sono cinquant’anni che io porto in scena La Cantata dei Pastori. Io amo il presepe e La Cantata non è altro che il presepe in movimento, per cui il mio amore risale a molti, molti anni fa. Inoltre, lo spettacolo in origine aveva un solo comico che è Razzullo, scritto dai gesuiti, poi il popolo napoletano crea Sarchiapone. E il primo Sarchiapone, possiamo dire pure in assoluto, che è un po’ quello che determina tutta la comicità de La Cantata, fu interpretato da mia madre Concetta. Per cui, il mio amore per La Cantata è anche per questa ragione.

Una piccola curiosità: lei si è un po’ abituato alla messa in scena de La Cantata dei Pastori o trova sempre un nuovo entusiasmo?

È talmente attuale, perché è un calderone: troviamo il melodramma, l’avanspettacolo, la prosa, la favola, il barocco, troviamo tante cose. Proprio per questo rimane a galla e rimane, perde, sfidando i secoli. Di conseguenza, ogni volta che viene rappresentata, La Cantata non è mai uguale all’altro giorno.

Ci saranno sicuramente delle variazioni in questa edizione nuova de La Cantata dei Pastori. Come ci avete lavorato, lei e la sua compagnia, per far sì che lo spettacolo sia in qualche modo sempre rinnovato?

In prova, si lavora in prova. Questo è il secondo anno che abbiamo cambiato anche tutti gli attori, non sono più quelli di una volta, sono tutti attori giovani e diversi; solo io interpreto Razzullo ormai da cinquant’anni. E poi quest’anno, come l’anno scorso, c’è anche Lalla Esposito che è questo splendido Sarchiapone. Per cui, si lavora in prova, si mette in prova e in prova se la gag diverte si lascia, se no si cambia. Tutto nasce dalla prova.

Adesso, Peppe Barra, vorrei proporle due riflessioni più ampie rispetto alla rappresentazione in sé per sé. Si parla spesso del fatto che a teatro le varie programmazioni propongono spettacoli quasi sempre triti e ritriti, lamentando di conseguenza la poca vicinanza di un pubblico, soprattutto, giovanile. Secondo lei, se c’è, in cosa consiste quell’elemento sempreverde de La Cantata dei Pastori che dà una certa importanza, diciamo pure necessaria, a un teatro accusato di essere arido?

Quel teatro come lo intendo io, ce ne sono pochi che lo fanno, perché oggi si fanno tutti spettacoli che ammiccano alla televisione. Perciò, il mio spettacolo viene amato dal pubblico: è teatro totale, c’è tutto il vero teatro con scene, con costumi, con luci, con poesia. Cose che adesso nel teatro moderno non ci sono più, tranne che in qualche rara occasione. Ecco perché La Cantata viene seguita ancora così tanto dal pubblico.

Ancora, si parla altrettanto di riportare il teatro a una sua misura di vicinanza e di condivisione, gli uni con gli altri, immaginando, certamente, ma anche riconoscendosi. Ecco, lei pensa che riproporre La Cantata dei Pastori sia un modo per far sì che il teatro riacquisti questa sua identità? Si può parlare di uno spettacolo che, in questo senso, avvicina?

Beh, La Cantata dei Pastori stimola tantissimo l’immaginario e il pubblico ne ha bisogno. Adesso l’immaginario sta scomparendo da tutte le cose. Vediamo i bambini che non amano più i libri, mentre io da bambino avevo l’amore per i libri, di favole, di racconti, di avventure, tant’è che li chiedevo alla befana. Adesso, ci sono i tablet che regalano i genitori ai bambini e il tablet o il cellulare ammazzano l’immaginario.

Immagine di copertina per l’intervista a Peppe Barra: Ufficio Stampa

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A proposito di Francesca Hasson

Francesca Hasson è giornalista pubblicista, iscritta all’Albo dal 2023. Appassionata di cultura in tutte le sue declinazioni, unisce alla formazione umanistica una visione critica e sensibile della realtà artistica contemporanea. Dopo avere intrapreso gli studi in Letteratura Classica, avvia un percorso accademico presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e consegue innanzitutto il titolo di laurea triennale in Lettere Moderne, con una tesi compilativa sull’Antigone in Letterature Comparate. Scelta simbolica di una disciplina con cui manifesta un’attenzione peculiare per l’arte, in particolare per il teatro, indagato nelle sue molteplici forme espressive. Prosegue gli studi con la laurea magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, discutendo una tesi di ricerca in Storia del Teatro dedicata a Salvatore De Muto, attore tra le ultime defunte testimonianze fondamentali della maschera di Pulcinella nel panorama teatrale partenopeo del Novecento. Durante questi anni di scrittura e di università, riscopre una passione viva per la ricerca e la critica, strumenti che considera non di giudizio definitivo ma di dialogo aperto. Collabora con il giornale online Eroica Fenice e con Quarta Parete, entrambi realtà che le servono da palestra e conoscenza. Inoltre, partecipa alla rivista Drammaturgia per l’Archivio Multimediale AMAtI dell’Università degli studi di Firenze, un progetto per il quale inserisce voci di testimonianze su attori storici e pubblica la propria tesi magistrale di ricerca. Carta e penna in mano, crede fortemente nel valore di questo tramite di smuovere confronti capaci di generare dubbi, stimolare riflessioni e innescare processi di consapevolezza. Un tipo di approccio che alimenta la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo e che la orienta in una dimensione catartica di riconoscimento, di identità e di comprensione.

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