L’Empireo (The Welkin) di Lucy Kirkwood, diretto da Serena Sinigaglia, arriva al Teatro Bellini dal 4 al 9 novembre. Il testo ambizioso e tagliente della grande drammaturga inglese è stato tradotto da Monica Capuani e Francesco Bianchi. Lo spettacolo porta sul palco un cast quasi interamente al femminile.
L’empireo (the welkin): uno spettacolo al femminile plurale

Chi ha detto che non sono sufficienti un copione e una dozzina di sedie per realizzare uno spettacolo?
L’Empireo (The Welkin) crea un tempo sospeso, etereo, in cui dodici donne si raccontano in semicerchio come una schiera di angeli del Paradiso, ma di angelicato non hanno nulla – persino la più casta, alla fine, si sbugiarda.
Nel 1759, in un tribunale di un piccolo paese dell’Inghilterra rurale, dodici matrone sono chiamate a testimoniare: devono decretare la veridicità di una presunta gravidanza. Una giovane condannata a morte, con l’accusa di essere complice di un omicidio, ha dichiarato di essere incinta. La giuria femminile dovrà confermare o smentire questa affermazione. Queste donne hanno, dunque, potere di vita o di morte sull’imputata.
«Per le donne non esiste storia, tutte le donne sono tra loro contemporanee»
L’Empireo (The Welkin) è uno spettacolo metateatrale. Le attrici in scena sono abilissime nel passare dal racconto descrittivo – così da consentirci di immaginare le ambientazioni e i movimenti scenici – all’interpretazione del proprio personaggio. Ogni donna ha caratteristiche singolari, è un piccolo microcosmo, porta con sé una storia personale. Eppure, tutte sono madri, generatrici di nuove vite. Pertanto, forse l’ambizione di questa audace drammaturgia potrebbe essere quella di provare a farci percepire queste donne non solo come madri biologiche, ma anche come madri intellettive, gravide di idee e desideri – almeno per il tempo sospeso di una messinscena, in cui realtà e finzione si sovrappongono.
Le dodici matrone dell’Empireo voltano le pagine del copione con gesti rapidi e sincronici, gli occhi seguono riga dopo riga ogni parola. La loro è una lettura collettiva, che generosamente condividono con il pubblico. Ma, poiché ogni lettura in chiave critica è, insieme, una forma di scrittura, leggendo stanno scrivendo anche una nuova Storia. Una Storia che si compone, appunto, di tanti frammenti di storie particolari.
Una domestica si finge moglie di un generale per darsi un tono con le sue compaesane. Una levatrice, che ha fatto partorire tutte le donne presenti in tribunale, ha mentito sulla propria maternità. Tra menzogne, paure e fragilità nascoste, L’Empireo (The Welkin) si dipana come uno svelamento, una messa a nudo obbligata.
L’unico uomo sulla scena viene messo a tacere. La sua voce viene sovrastata da un brusio ininterrotto: smorfie, ghigni e grida non lasciano spazio agli ordini maschili. Per affermarsi, all’uomo non resta, quindi, che la violenza. Una violenza brutale e gratuita che interrompe la possibilità di mettere al mondo una nuova vita.
Una sola voce si leva dal palcoscenico del Teatro Bellini: quella delle matrone inglesi, vestite a lutto.
In un lasso temporale breve, in bilico tra la vita e la morte di una donna – alla quale sono accomunate dalla medesima storia di oppressione –, le dodici scrivono un racconto corale e la trasmettono oralmente. Il racconto è crudo e non usa mezzi termini. Con parolacce e imprecazioni, il sentire femminile si teatralizza: L’Empireo è sceso sulla terra e ha voce di donna.
Fonte foto di copertina: ufficio stampa

