La Tecnica del pensiero alla Galleria Tiziana Di Caro

la tecnica del pensiero

La Tecnica del pensiero,la nuova mostra collettiva presso gli spazi della  Galleria Tiziana Di Caro nel cuore del centro storico di Napoli.

La mostra La Tecnica del pensiero inaugurata mercoledì 21 giugno 2023, espone le opere di Vincenzo Agnetti, Carl Andre, Tomaso Binga, Henri Chopin, Betty Danon, Maria Adele Del Vecchio, Amelia Etlinger, Teresa Gargiulo e Maurizio Nannucci.

 La macchina da scrivere: il fil rouge

Il percorso espositivo indaga la produzione di artisti diversi ma accomunati da un unico tema relativo all’utilizzo di supporti meccanici e tecnologici, al fine di rappresentare assunti poetici, con particolare attenzione alla produzione con la macchina da scrivere

Per molti artisti la tecnologia ha, come evoca il titolo della mostra, dei risvolti anche sul tema del linguaggio, del pensiero e conseguentemente dell’immagine oltre che su quello del segno; essa può evocare una tensione verso la componente sonora senza mai tralasciare la necessità di una svolta poetica.

La mostra La Tecnica del pensiero: un’idea della gallerista Tiziana Di Caro

«L’idea della mostra è nata un po’ per caso –  dichiara la gallerista Tiziana Di Caro –  collaborando ormai da tempo con l’artista Tomaso Binga, nell’approfondire alcuni temi della sua ricerca tra cui anche la questione della macchina da scrivere, venni a conoscenza di un testo molto interessante: The Art of Typewriting”, il  risultato di un lavoro fatto su una raccolta privata di opere realizzate con la macchina da scrivere in cui compariva sia Tomaso Binga sia Betty Danon, altra artista della mia galleria. Attraverso questo libro mi resi conto che erano tantissimi gli artisti che mi piacevano, molti dei quali avevano avuto rapporti con Napoli e primo fra tutti Henri Chopin che in Peppe Morra, grande mecenate, ha trovato un valido sostenitore.»

«Devo infatti ringraziare il caro amico Peppe Morra, presente qui stasera – aggiunge Tiziana Di Caro – che mi ha prestato i lavori di Chopin per realizzare questa mostra. Quando ho iniziato a indagare il tema della macchina da scrivere  l’ho fatto da un punto di vista filologico, ma anche filosofico, perché volevo capire  perché un artista arriva ad utilizzare un tale mezzo, solitamente da ufficio, nato per velocizzare e rendere più comprensibile la scrittura. Ciò che ho trovato davvero paradossale è stato proprio rilevare il contrasto tra la velocità che offriva il mezzo e la lentezza con cui gli artisti lo hanno utilizzato  per realizzare i loro lavori. Alla fine tra i vari lavori  ho deciso di scegliere quelli che esteticamente mi sembravano più affini al mio gusto oltre al lavoro di Vincenzo Agnetti che mi ha introdotto al tema della macchina drogata e la cui intuizione mi ha completamente affascinata.»

Marshall McLuhan e la sua idea sull’ artista e l’utilizzo della tecnologia

Nella sua straordinaria riflessione sui media, il filosofo e critico letterario  Marshall McLuhan individua nell’utilizzo di ogni nuova tecnologia un pericolo, in quanto essa determina su ogni individuo un’attrazione: il potere seduttivo della tecnologia porta al “narcisistico torpore”. A salvarsi da questo sistema perverso è l’artista. McLuhan ne sottolinea la consapevolezza del presente e la visione del futuro. In tal senso l’artista può interpretare i possibili cambiamenti che la tecnologia impone, senza farsi abbindolare.

La Tecnica del pensiero: gli artisti e le opere

Ciascun artista, scelto accuratamente da Tiziana Di Caro, manifesta nella mostra La Tecnica del pensiero una differente specificità nel trattare il medium, nel risultato formale e nell’attitudine sperimentale.

Henri Chopin, come nel manifesto scritto nel 1967, contesta l’onnipotenza della parola; tutto il suo operato è stato indirizzato alla decostruzione del linguaggio, ritenuto un’entità repressiva e dispotica.  Di conseguenza i suoi Dattilopoemi  rappresentano una sorta di contestazione ad ogni forma di sistema oppressivo e la macchina da scrivere diventa uno strumento artistico, atto alla diffusione e alla produzione del non senso.

I dattiloscritti di Carl Andre sono una risultante di una scomposizione e riorganizzazione di testi che seguono una personale e puntuale logica che non ha a che fare semplicemente con il senso del testo, bensì con la struttura formale che esso genera. Più che la frase, ad essere al centro dei poemi sono le parole: «Nella mia poesia non cerco di trovare le parole per esprimere quello che voglio dire. Nella mia poesia cerco di trovare modi per esprimere ciò che le parole hanno da dire.»

Ai suoi dattilocodici Tomaso Binga  inizia a lavorare già nella seconda metà degli anni Settanta: un giorno per puro caso sovrapponendo due diversi grafemi della macchina da scrivere genera un segno altro che assume un senso nuovo e completamente diverso. Il risultato di tale sovrapposizione seppur non riconoscibile risulta ad ogni modo rivoluzionario, perché rappresenta il recupero-invenzione dell’archetipo linguistico attraverso la tecnologia.

Come lei anche Betty Danon utilizza elementi tipografici per disegnare altro rispetto al valore simbolico che ognuno dei grafemi significa. Questa esperienza con la macchina da scrivere rimane legata in particolare al Codice Migratorio. Quando Rolando Mignani vide per la prima volta questi codici le disse: «Come! Tu fai lavori così e non ti accorgi che sono importanti?». Sono opere di migrazione in cui i segni (le parentesi) perdono il loro significato originario per migrare altrove.

Nel lavoro di Maurizio Nannucci la parola tende invece verso il segno e il significato, configurandosi in una dimensione fisica e nel caso dei lavori al neon anche cromatica. L’artista realizza i suoi dattilogrammi da una indagine, iniziata nel 1964 lavorando con una Olivetti Lettera 22, che ha come fulcro la parola, in quanto entità geometrica.  I dattilogrammi di Nannucci esposti nella mostra La Tecnica del pensiero sono esempi di poesia concreta in cui i grafemi sono utilizzati come elementi singoli o come parole seguendo un andamento geometrico e al contempo lineare e minimale.

È il 1968 quando Vincenzo Agnetti espone per la prima volta La macchina drogata, una calcolatrice Divisumma 14 Olivetti, a cui l’artista sostituisce i numeri con le lettere, come se le parole potessero risultare da operazioni matematiche. Qualunque visitatore poteva sperimentare La macchina drogata ribaltando il proprio ruolo, quindi partecipando, più o meno consapevolmente, ad un’operazione di critica del linguaggio, in cui il codice matematico è sostituito dalle lettere e dalle parole.
Con questa idea Agnetti mette in scena un’azione di “teatro statico” (uno spettacolo senza movimento, senza personaggi e senza testo) in balìa di un’esperienza tecnologica, finalizzata ad una resa artistica, e tesa alla critica del linguaggio.

«Non mi interessa quanto siano belle le poesie. Le parole scritte su una pagina sono prive di significato». Con queste parole Amelia Etlinger introduce la sua poetica. Nella sua produzione infatti la matrice lirica ha un’intensità profonda, ma come per la gran parte degli altri artisti anche per lei l’uso della macchina da scrivere ha avuto un valore fortemente sperimentale dove l’utilizzo della parola assume una funzione innanzitutto segnica.

Tra gli artisti che esponevano le loro opere alla mostra La Tecnica del pensiero abbiamo incontrato Maria Adele  Del Vecchio e Teresa Gargiulo

L’opera di Maria Adele Del Vecchio appartiene alla serie delle Malinconie, e ha come soggetto principale il nastro correttore di una macchina da scrivere che un tempo l’artista prese in prestito per realizzare una sua opera. All’atto di estrarre il nastro correttore dalla macchina per metterne uno nuovo, Del Vecchio decise di conservare quel piccolo oggetto ormai “esausto”, in virtù del suo incredibile potenziale: un supporto che srotolato e letto a ritroso conteneva in sé gli scarti della lingua, i rifiuti del discorso scritto, ma anche  brandelli di vissuto, irrealizzati, ma ancora attivi e divulgativi.

«Mi interessa  l’ oggetto usato – ci spiega Del Vecchio – l’elemento carico di storia che diventa altro; su un supporto di compensato abbino l’oggetto sempre a pietre semipreziose che disposte casualmente formano piccole sculture. Nel caso specifico di quest’opera sul nastro si intercetta la parola “Berlin”, l’assemblaggio può sembrare quindi un paesaggio, un piccolo panorama surrealista, insomma, si lavora su una traccia che poi prende una sua identità.»

Nella sua opera How to train my ear Teresa Gargiulo utilizza alcuni grafemi della macchina da scrivere al fine di indagare quelli che definisce “fonemi sperimentali”

«I fonemi sperimentali – ci spiega l’artista – sono tutti quei fonemi che non sono ancora emersi nell’uso quotidiano del linguaggio; quindi se posso immaginare dei suoni parlati che non sono ancora emersi, non sono stati ancora ascoltati, allora posso immaginare anche una punteggiatura sperimentale che risuona nello spazio sullo spartito come se fossero delle note musicali. Ho selezionato quindi tutti quei segni di punteggiatura che la macchina da scrivere mi permetteva di utilizzare e li ho assemblati ottenendo così dodici composizioni per voce: un esercizio di immaginazione sia per allenare l’orecchio a dei suoni che ancora non sono emersi, sia per immaginare una scansione del tempo differente, diverse modalità di percezione di esso. Utilizzando ciascun segno come se fosse una nota musicale  immagino dunque un diverso spartito del tempo, del tempo della conversazione, della parola parlata; una palestra per allenare l’orecchio e che è la diretta conseguenza di un’altra ricerca che sto portando avanti.»

Ognuna delle posizioni appena descritte è caratterizzata da precise esigenze individuali che generano risultati singolari nonostante la coincidenza del mezzo. Si impongono come esperienze sovversive, che si distaccano o si affiancano alla produzione consueta dei singoli artisti. Si insinuano in un contesto, ma dallo stesso se ne allontanano, senza mai smettere di confermare il pensiero diffuso da McLuhan, secondo cui l’artista non si lascia intorpidire dalla tecnologia, piuttosto la domina rendendola magnifico strumento del pensiero.

Il nostro consiglio è quello dunque di visitare questa mostra interessante e originale, augurandovi di incontrare personalmente la gallerista Tiziana Di Caro che con competenza professionale, garbo e cordialità, qualità che da sempre la caratterizzano, sarà lieta di presentarvi le varie opere esposte.

Ecco alcune opere esposte alla mostra La Tecnica del pensiero:

Fonte immagine in evidenza: www.tizianadicaro.it Typecode, 1978 di Tomaso Binga; altre foto presenti nell’articolo: archivio personale

A proposito di Martina Coppola

Appassionata fin da piccola di arte e cultura; le ritiene tuttora essenziali per la sua formazione personale e professionale, oltre che l'unica strada percorribile per salvare la società dall'individualismo e dall'omologazione.

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