C’è ancora domani: lo straordinario esordio alla regia di Paola Cortellesi

C’è ancora domani. Lo straordinario esordio alla regia di Paola Cortellesi

Il 26 ottobre 2023 irrompe nelle sale cinematografiche C’è ancora domani, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi, qui anche protagonista e co-sceneggiatrice.

Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023, il film costituisce uno straordinario e prezioso debutto per la Cortellesi, già attrice amatissima per la sua vena acuta ed ironica, ed ora, in veste di regista, divina, rigorosa, geniale.

Il titolo del film contiene già in sé un senso pieno di ciò che la narrazione man mano mostrerà allo spettatore, alludendo alla speranza, così come alla certezza di prese di coscienza acquisite grazie all’amore e a determinati eventi che sorprenderanno in positivo il pubblico.

C’è ancora domani: la trama

Ambientato nella Roma del primo dopoguerra, iniziando la narrazione nel maggio 1946, C’è ancora domani si innesta ed intreccia ad un tessuto storico, sociale ed emotivo determinante per l’Italia di quel tempo, quello in cui si respira aria di cambiamento e possibilità.

È l’anno del referendum istituzionale per decidere tra monarchia e repubblica. È l’anno del primo suffragio universale, dove finalmente le donne accorrono in massa ai seggi grazie alla sudata conquista del diritto al voto.

La protagonista è Delia (Paola Cortellesi), nei panni della “brava” donna di casa, “brava” moglie, “brava” madre, “brava” nuora. Delia è una donna semplice, umile, che conduce la sua esistenza con dignità, riverenza, rigore ed altruismo. Le sue giornate trascorrono grigie tra le faccende domestiche, la cura dei suoi tre figli, le angherie e violenze mentali e fisiche subite per mano di un marito-padrone, Ivano (Valerio Mastandrea), che infierisce quotidianamente sulla moglie, umiliandola verbalmente e percuotendola per le sue “mancanze”. Delia contribuisce inoltre alla modesta economia domestica svolgendo diversi mestieri, e per di più sottopagata, in quanto donna: esegue iniezioni a domicilio, ripara ombrelli, rammenda biancheria intima e sistema lenzuola. Sembrerebbe una donna “multitasking”, ma Delia, così come le altre donne, non vale più di uno zerbino agli occhi della società misogina e maschilista. Non è padrona della sua vita. E ciò che la ferisce ancor più delle percosse del marito è il giudizio di sua figlia adolescente, Marcella (Romana Maggiora Vergano), che non riesce a stimarla, per la debolezza che attribuisce giorno dopo giorno a sua madre, incapace di reagire a tanto sopruso.

Delia ha comunque degli amici pronti a sostenerla e infonderle coraggio: l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), la sua ex fiamma Nino (Vinicio Marchioni) e il soldato afroamericano William, intenzionato a darle una mano concreta.

Ma la vita di Delia viene felicemente sconvolta dall’arrivo di una lettera, a lei e solo a lei indirizzata, il cui contenuto resterà ammantato di mistero fino alla scena finale del film. Ebbene, quella lettera, insieme alla scoperta che il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), non si rivela poi essere quel ragazzo in grado di risollevare le sorti della vita di sua figlia, emotivamente ed economicamente, quanto piuttosto l’ennesimo esempio di maschio desideroso di assoggettare la “sua” donna alla sua volontà, come se valesse meno di zero, da trattare come un soprammobile e come sguattera, al servizio del suo “signore”: «Non ce devi annà più a lavorà. Tu sei mia».

Ebbene, in seguito a tali eventi, Delia non può più permettersi di calpestare la propria dignità, il rispetto per se stessa. E non può assolutamente permettere che sua figlia riviva ciò che ha vissuto lei per anni. Pertanto, l’amore assoluto per Marcella e il desiderio di agire, contribuendo a donarle un futuro davvero migliore, insieme a quella lettera, emblema di sano sconvolgimento socio-emotivo, costituiranno per Delia una molla a reagire, vomitando fuori quel coraggio che, in maniera sottesa, l’ha sempre in realtà caratterizzata. Delia non è una donna debole, ma una donna che ama, ligia al dovere e che ingoia per troppo tempo veleno, senza però perdere dentro quella scintilla di speranza, destinata a divenire vittoria.

Delia simboleggia la lotta al bigotto patriarcato e il desiderio di rivalsa, per sé, per sua figlia, per le donne, in nome proprio di quell’amore, della tenacia e di un coraggio che esplode finalmente a gran voce, seppur in silenzio. Un coraggio che serpeggia tra labbra serrate, ma che scuote la società maschilista dell’epoca con il solo guizzo di uno sguardo consapevole ormai di poter rischiare, osare e vincere più di quanto finora sperato. E la crescente consapevolezza della propria condizione di vita si esprime in Delia anche nella volontà di abbandonare quegli abiti dimessi, quel grembiule da cucina, acquistando una nuova camicia (usando il denaro guadagnato, e in parte nascosto al marito, proprio per far fronte alle future esigenze personali e familiari) e indossandola fiera, insieme al rossetto sulle labbra, pronta a cambiare la sua vita e non solo, nell’evolversi di un gran finale che inumidirà gli sguardi attoniti degli spettatori di emozione, senso di liberazione e vittoria.

C’è ancora domani. Inno al femminismo, tra speranza e consapevolezza

C’è ancora domani è un inno al femminismo, che non sfocia mai in eclatante ed esagerata esasperazione, e al ritrovato rispetto di sé. Satira del vittimismo della donna, che trova la forza per reagire all’ingombrante patriarcato misogino, che la società del tempo impone come modello standardizzato ed accettato, e conquistare finalmente una grande vittoria, determinante per Delia, come per tutte le donne.

C’è ancora domani è un film che lascia il pubblico col fiato sospeso fino alla fine, in un’escalation emotiva per cui gli spettatori sono abbastanza sicuri di attendersi un finale degno della rivalsa di Delia, che invece punterà a sorprendere letteralmente, in quanto migliore delle aspettative, più sublime, catartico ed appetibile di quanto immaginato. Qualche segnale è lanciato qui e lì in prossimità della fine. Ma, rapiti dalla cornice romantica connotata dalla speciale amicizia che dopo tempo lega ancora Delia e Nino, gli spettatori propenderanno per lo svolgersi di altri eventi, sempre positivi, ma diversi da come la storia effettivamente evolverà. Commovente a tal riguardo la scena in cui Marisa cerca di consigliare Delia, spronandola a fare la cosa giusta per i suoi figli, per Marcella. Ed emblematica è la sua risposta: «È a lei che penso!».

C’è ancora domani costituisce una denuncia al perverso e deleterio maschilismo, non circoscritto alla famiglia di Delia, bensì sapientemente ed elegantemente dipinto anche fuori da quelle mura domestiche, mostrandone al pubblico le diverse vesti e forme: si passa dalla misoginia volgare ed aggressiva espressa da Ivano, all’imperante maschilismo patriarcale ammantato di perbenismo e falso buonismo, più tipici dello status benestante, ma sempre e comunque indice d’ignoranza, di cui la misoginia si nutre. Insomma, cambiano la classe, i gesti, alcune espressioni, ma la mostruosa sostanza resta viva in un’aberrante ricerca di sopraffazione maschile pronta a ledere diritti e sogni della donna, vittima di uno status e di un modus operandi socialmente approvato e condiviso.

E proprio qui si insinua in maniera pungente e sinuosa C’è ancora domani. Il capolavoro di Paola Cortellesi vuole essere un monito non solo di lotta e di sprone a non arrendersi, bensì un ammonimento a ricordare che le conquiste femminili non recano l’etichetta del “per sempre” Queste vanno protette, difese, con le unghie e con i denti, perché la libertà e i diritti a fatica conquistati non sono scontati, e vanno tutelati e preservati. Basta uno schiocco di dita per perdere tutto. E questo triste pensiero non può che raggiungere la condizione meschina in cui ancor oggi versano le donne iraniane ed afghane.

C’è ancora domani mostra come una rivoluzione possa cominciare da piccole e semplici azioni, impregnate e nutrite di immenso coraggio. Agire, decidere, esprimere la propria opinione costituiscono piccoli grandi germogli per costruire un futuro migliore, un futuro degno di vita e non mera esistenza.

C’è ancora domani è speranza, certezze acquisite e conquistate. È cominciare a fare qualcosa, prendere in mano la propria vita per salvarla, per salvare quella di tua figlia, di tua sorella, di tua madre, della tua amica. Perché la dignità non è una concessione, ma un diritto. Perché affermare se stesse equivale a spodestare il “si è sempre fatto così” e il “tanto non conta nulla”. Perché la rozza tracotanza maschile non è figlia della donna, e come tale non può sussistere in nessuna possibile dimensione. Deve piuttosto chiedere scusa e annullarsi di fronte alla meravigliosa bellezza che tali fantasmagoriche creature recano in sé ed emanano tutt’intorno.

C’è ancora domani. Espressione dei codici autoriali, etici e umoristici di Paola Cortellesi

È in punta di piedi che la Cortellesi costruisce la sua prima regia? Niente affatto! Paola sfonda teli, veli, misure ed effetti speciali. Paola arriva a squarciare le aspettative degli spettatori. Ma Paola, in C’è ancora domani, il pubblico non lo delude. Paola supera se stessa.

Il tema frustrante, forte e delicato della violenza arrecata alla donna, tra le mura domestiche e fuori di esse, viene da Paola trattato con leggerezza, saggezza e maestria.

La sua sceneggiatura, ideata insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti, parla ad un pubblico vasto. È vero, le donne sono protagoniste indiscusse e destinatarie impeccabili, ma gli uomini non sono certo esclusi da tale meraviglioso spettacolo di recitazione, parole, gesti e musica.

Intanto, traspare in C’è ancora domani la vocazione autoriale di Paola Cortellesi, che si manifesta in scelte precise e attente di colore e musiche.

Paola propone l’intera pellicola in bianco e nero, mostrando attenzione e passione per la cinematografia d’epoca. In questo modo i personaggi e l’evolversi delle loro storie appaiono al pubblico ancor più rigorosi e solenni, sentendo quasi la necessità di provare una certa riverenza e ulteriore maggior rispetto per la tematica trattata. Tuttavia la scelta del bianco e nero non costituisce un mero abbandono ad un passato lontano, quanto piuttosto un monito a tener presente quel passato, per non dimenticare che i più preziosi diritti conquistati non possono e non devono essere considerati acquisiti per l’eternità.

Magnifica la scelta delle canzoni, alternando brani dell’epoca ad altri più recenti: Dalla, Nada, Concato… E quanta emozione e commozione nell’ascoltare La sera dei miracoli di Lucio Dalla!

Ma l’acume più entusiasticamente sorprendente ed accattivante si esprime attraverso la vena che più caratterizza in assoluto il lavoro della Cortellesi: umorismo e ironia, adoperati senza goffi estremismi e mai apparendo fuori luogo. Ebbene, come già anticipato, un tema fortemente trattato in C’è ancora domani è la violenza fisica e mentale consumata tra le mura domestiche. Unendo ironia e leggerezza, Paola riesce con delicatezza a trasmettere al pubblico la drammaticità di quella violenza, provvedendo a sostituire il sensazionalismo scottante delle botte, di cui spesso sono intessute diverse trame cinematografiche, con danza e canzoni. Più che una lotta tra marito e moglie, sembra di assistere ad una sorta di musical, facendo eseguire alla coppia protagonista una specie di danza del terrore, straziante e mai incline a mostrare l’autentica brutalità che nella realtà si consuma. Il terrore acuto si legge tutto negli occhi dei figli, che ogni volta si preparano psicologicamente al peggio.

Dunque lo squallore deturpante di tale violenza viene da Paola raccontato attraverso il filtro dell’estrema gentilezza e rispetto di cui il suo animo è imbevuto, raccontando il martirio di Delia, che si districa tra l’ipocrisia del marito che la umilia (si appresta a chiudere le finestre ogni qual volta intende fargliela pagare per quelle che lui reputa “mancanze”) e l’omertà del vicinato che sa e tace, in una comune e macabra scelta condivisa ed accettata.

C’è ancora domani è una pellicola alimentata dall’amore, quello di Paola per sua figlia, a cui è ispirata e dedicata, quello di Delia per Marcella. Quell’amore diviene carburante di reazione, insieme alla raggiunta consapevolezza dell’umiliante e claudicante condizione esistenziale che merita ad ogni costo un viraggio, una sterzata, una rivoluzione. E la lettera ricevuta da Delia costituirà, insieme a quell’amore e alla speranza mai accantonata davvero, l’emblema di un finale liberatorio, catartico, geniale, entusiasmante, emozionante, coinvolgente. Quella lettera muoverà il timone di Delia verso la salvezza, personale, collettiva. Delia riuscirà ad essere paladina di se stessa e di un futuro più roseo e concreto per sua figlia.

Non importa quante volte sarà necessario provarci. Perché, in fondo e sempre, c’è ancora domani.

Fonte immagine in evidenza: Domani (giornale)

A proposito di Emilia Cirillo

Mi chiamo Emilia Cirillo. Ventisettenne napoletana, ma attualmente domiciliata a Mantova per esigenze lavorative. Dal marzo 2015 sono infatti impegnata (con contratti a tempo determinato) come Assistente Amministrativa, in base alle convocazioni effettuate dalle scuole della provincia. Il mio percorso di studi ha un’impronta decisamente umanistica. Diplomata nell’a.s. 2008/2009 presso il Liceo Socio-Psico-Pedagogico “Pitagora” di Torre Annunziata (NA). Ho conseguito poi la Laurea Triennale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nel luglio 2014. In età adolescenziale, nel corso della formazione liceale, ha cominciato a farsi strada in me un crescente interesse per la scrittura, che in quel periodo ha trovato espressione in una brevissima collaborazione al quotidiano “Il Sottosopra” e nella partecipazione alla stesura di articoli per il Giornalino d’Istituto. Ma la prima concreta possibilità di dar voce alle mie idee, opinioni ed emozioni mi è stata offerta due anni fa (novembre 2015) da un periodico dell’Oltrepo mantovano “Album”. Questa collaborazione continua tutt’oggi con articoli pubblicati mensilmente nella sezione “Rubriche”. Gli argomenti da me trattati sono vari e dettati da una calda propensione per la cultura e l’arte soprattutto – espressa nelle sue più soavi e magiche forme della Musica, Danza e Cinema -, e da un’intima introspezione nel trattare determinate tematiche. La seconda (non per importanza) passione è la Danza, studiata e praticata assiduamente per quindici anni, negli stili di danza classica, moderna e contemporanea. Da qui deriva l’amore per la Musica, che, ovunque mi trovi ad ascoltarla (per caso o non), non lascia tregua al cuore e al corpo. Adoro, dunque, l’Opera e il Balletto: quando possibile, colgo l’occasione di seguire qualche famoso Repertorio presso il Teatro San Carlo di Napoli. Ho un’indole fortemente romantica e creativa. Mi ritengo testarda, ma determinata, soprattutto se si tratta di lottare per realizzare i miei sogni e, in generale, ciò in cui credo. Tra i miei vivi interessi si inserisce la possibilità di viaggiare, per conoscere culture e tradizioni sempre nuove e godere dell’estasiante spettacolo dei paesaggi osservati. Dopo la Laurea ho anche frequentato a Napoli un corso finanziato da FormaTemp come “Addetto all’organizzazione di Eventi”. In definitiva, tutto ciò che appartiene all’universo dell’arte e della cultura e alla sfera della creatività e del romanticismo, aggiunge un tassello al mio percorso di crescita e dona gioia e soddisfazione pura alla mia anima. Contentissima di essere stata accolta per collaborare alla Redazione “Eroica Fenice”, spero di poter e saper esserne all’altezza. Spero ancora che un giorno questa passione per la scrittura possa trovare concretezza in ambito propriamente professionale. Intanto Grazie per la possibilità offertami.

Vedi tutti gli articoli di Emilia Cirillo

Commenta