Chiamatemi Anna: la serie tv che combatte la disparità di genere

Chiamatemi Anna: la serie tv che combatte la disparità di genere

Affondando le sue radici nella lotta femminista, Chiamatemi Anna, distribuita dal colosso mondiale Netflix a partire dal 2017, risulta essere una delle serie tv migliori degli ultimi anni.

Chiamatemi Anna

Dal minuzioso lavoro di Moira Walley-Beckett, sceneggiatrice della famosa serie Breaking Bad, nasce Chiamatemi Anna (originale Anne with an E), una serie televisiva basata sul romanzo Anna dai capelli rossi (Anne of Greengables) pubblicato nel 1908 dalla scrittrice canadese Lucy Montgomery. Il romanzo, nel corso degli anni, ha avuto già differenti adattamenti cinematografici e animati come il famoso cartone giapponese Anna dai capelli rossi (1979) che in tantissimi conoscono.
Composta da sole tre stagioni a causa di un’improvvisa ed ingiusta cancellazione da parte di Netflix, questa serie risulta essere grandiosa e, soprattutto, moderna per le tematiche che si snodano lungo i ventisette episodi ambientati in un contesto ben poco avvezzo alla modernità, quello del XIX secolo.

Trama

Chiamatemi Anna segue le vicende di Anna Shirley (interpretata da Amybeth Mcnulthy), una giovane orfana dai capelli rosso fuoco dotata di una forte immaginazione e di un’anima purissima che, dopo aver vissuto momenti drammatici in orfanotrofio, viene affidata – per caso o per fortuna- ai fratelli Cuthbert, possidenti di una piccola fattoria ad Avonlea, un paesino rurale del Canada che fa da sfondo alle vicende della protagonista. Matthew e Marilla Cuthbert, a causa di un disguido, decidono di accettare riluttanti l’arrivo di Anna, che risulterà essere preziosa per loro. Non sarà facile essere accettata da una comunità così piccola e arretrata come quella di Avonlea, per nulla felice di ospitare una ragazza orfana dal passato tormentato e dalla natura un po’ bizzarra. Anna, dal canto suo, è costretta a vivere una serie di situazioni spiacevoli che, però, non fanno altro che forgiare il suo già forte carattere: nonostante il bullismo e l’odio ingiustificato subìto negli anni, la giovane riesce – con non poche difficoltà ad essere accettata dai compagni di scuola, dalla comunità e, soprattutto, dai Cuthbert, che diventano a tutti gli effetti la sua nuova famiglia.
L’interpretazione di Amybeth Mcnulthy risulta essere magistrale, riuscendo ad incarnare perfettamente l’idea costruita nella mente della sceneggiatrice, quella di creare un’antieroina affascinante, sopravvissuta a feroci abusi ma sempre alla ricerca della bellezza in ogni singola cosa, nonostante tutto. Anna utilizza il potere dell’immaginazione come arma di difesa contro un mondo ostile, catapultandosi spesso in una realtà fantastica che sospende – per un solo attimo- quella quotidiana. Attraverso l’interazione con i personaggi principali, reali e contraddittori rispetto al romanzo, l’eroina vive tutte le tappe dell’adolescenza ritrovandosi a fare i conti, per la prima volta, con l’amicizia, le ingiustizie sociali e l’amore per Gilbert Blythe, suo eterno rivale nello studio.

Chiamatemi Anna, un manifesto femminista

Nel corso delle tre stagioni, all’universo di Avonlea si aggiungono nuovi personaggi ed episodi inediti che discostano leggermente la storia da quella originale rendendola, però, più vera ed attuale per lo spettatore. Le storie secondarie che si intrecciano sullo sfondo servono, infatti, come spunto per l’introduzione di temi importanti quali il razzismo, l’intolleranza nei confronti delle minoranze e l’omosessualità trattati delicatamente grazie alla graduale comparsa di personaggi ad hoc come Sebastian, dalle origini caraibiche e l’infanzia difficile o Cole, il ragazzino emarginato perché omosessuale alla scoperta di sé.
Chiamatemi Anna è, soprattutto, una serie impregnata di femminismo, parola impronunciabile nell’epoca di ambientazione della storia: Anna si rende conto di far parte di una comunità mentalmente chiusa che pone la donna in una condizione di inferiorità rispetto all’uomo, relegandola alla pura attività di madre o moglie impartendo un’educazione domestica basata su precetti (in)utili per la costruzione di un prototipo femminile medievale.
Già dal suo inatteso arrivo, Anna si rende ben nota per le sue forti posizioni circa la figura della donna, rispondendo che «le ragazze possono fare le stesse cose dei maschi, e anche di più» quando viene rifiutata dai Cuthbert che aspettavano l’arrivo di un garzone che lavorasse alla fattoria. Nella prima stagione, la protagonista si interfaccia spesso con la mentalità retrograda degli abitanti di Avonlea, scontrandosi più e più volte con i suoi oppositori tra cui il prete del villaggio secondo cui «le donne non dovrebbero avere opinione su niente».

Nelle stagioni successive di Chiamatemi Anna, la lotta della protagonista si concretizza con l’improvviso arrivo della signorina Stacy, la nuova insegnante della scuola, icona di emancipazione e libertà femminile che viene criticata costantemente dalla cittadina, quasi spaventata dai suoi comportamenti poco femminili come indossare i pantaloni invece che la gonna o rifiutare l’utilizzo del corsetto, tipico tratto distintivo delle donne dell’800; questo personaggio porta non solo una ventata di aria fresca all’interno della serie, ma diventa anche d’ispirazione per gli altri personaggi femminili, che appoggiano le sue scelte. Anche il concetto di matrimonio viene sdoganato e fortemente criticato dalla protagonista che, allo stesso tempo, è innamorata dell’amore e sogna un rapporto struggente ma egualitario, in cui i sogni di entrambi abbiano lo stesso peso. Iconica è la scena in cui la giovane Prissy Andrews abbandona l’altare correndo sui prati innevati di Avonlea con l’abito da sposa, felice di esser scappata da un matrimonio d’interesse voluto dalla sua famiglia. L’atto più concreto della ribellione di Anna arriva con la pubblicazione di un vero e proprio manifesto femminista in seguito ad un episodio di violenza che vede protagonista Josie Pye, una delle sue compagne di scuola, la quale viene violata e derisa dal suo futuro sposo, Billy. La notizia di una semi-violenza sconvolge la protagonista che si serve della macchina da stampa ed il giornale della scuola come mezzi di denuncia sociale contro le azioni e gli scherzi di poco gusto fatti dal sesso opposto, tutto tranne che innocenti agli occhi di Anna. «Le donne contano anche da sole, non in relazione a un uomo. Tutte meritiamo il diritto all’autonomia fisica e di essere trattate con rispetto e dignità. Di dire basta ed essere ascoltate invece di venire costrette, derise e convinte che gli uomini sappiano più dei nostri desideri di noi. Non sono gli uomini che completano le donne, le donne sono già complete nel momento in cui vengono alla luce». Sono queste le forti parole che la protagonista utilizza con l’intento di svegliare le coscienze di una comunità che, purtroppo, stravolge il senso del suo discorso convertendo l’oppressore in vittima e giustificandone il gesto. Nonostante ciò, l’atto di Anna è un vero e proprio atto di coraggio a nome di tutte le donne in cerca di una propria voce.

Malgrado l’inaspettata cancellazione, Chiamatemi Anna è un vero e proprio gioiellino che merita di esser visto per il modo impeccabile di rappresentare tematiche forti e tutt’oggi attuali aprendo, così, uno squarcio profondo tra passato e futuro

Fonte immagine Chiamatemi Anna: la serie tv che combatte la disparità di genere: Wikipedia

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