Diamanti di Ferzan Özpetek è il suo quindicesimo lavoro alla regia, riunendo stavolta per il suo progetto un cast straordinariamente stellare, quasi interamente femminile. Ben 18 sono le attrici italiane, tutte protagoniste di quest’affresco ginocentrico in cui Özpetek offre il meglio di sé, del suo genio, della sua empatia ed estrema sensibilità, nel rappresentare l’umanità sullo schermo, in tutte le sue sfaccettature, passando proprio per il suo amore per le donne.
Distribuito nelle sale cinematografiche dal 19 dicembre 2024, Diamanti di Ferzan Özpetek è dedicato a Mariangela Melato, Virna Lisi e Monica Vitti, tre immense attrici con cui Ferzan avrebbe voluto lavorare. E in quest’intreccio di melò e commedia, in questo elogio al femminile, Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Milena Vukotic, Elena Sofia Ricci, Aurora Giovinazzo, Sara Bosi, Loredana Cannata e Giselda Volodi, costituiscono la trama di questo preziosissimo capolavoro intessuto da Ferzan Özpetek, ciascuna valorizzando all’estremo il proprio personaggio, e impreziosendo appunto come diamanti un film di immenso impatto emotivo. Le figure maschili stavolta (Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Vinicio Marchioni, Carmine Recano ed Edoardo Purgatori) costituiscono i satelliti, le emanazioni di queste meravigliose stelle, che con la loro forza ed alleanza intessono da sole una bellezza che non ha eguali.
Diamanti di Ferzan Özpetek sorprenderà e innamorerà il pubblico scena dopo scena, battuta dopo battuta. E lo stesso Ferzan, proprio in apertura annuncerà: «Non c’è niente di quello che ti aspetti».
Diamanti di Ferzan Özpetek: trama
Eravamo stati abituati da Ferzan a capolavori assoluti, quali Mine vaganti (2010), La finestra di fronte (2003), Napoli velata (2017) … Ma in Diamanti nulla di quanto abbiamo visto in precedenza viene riproposto, se non la partecipazione al progetto di alcune delle attrici con cui ha lavorato. E questo per quel che concerne la storia, la sceneggiatura, le scelte narrative e musicali, puntando ad un’inedita semplicità, mai scevra però della complessità di ogni singola storia raccontata dalle protagoniste, accompagnando lo spettatore nel meraviglioso viaggio cine e metacinematografico di questo capolavoro.
Infatti, ambientato nella Roma degli anni Settanta (quelli della rivoluzione giovanile e culturale e dell’emancipazione femminile), Diamanti si apre con un incipit inedito: una festosa tavola imbandita, attorno a cui siedono le attrici e gli attori di Ferzan, da lui riuniti per presentare il suo progetto cinematografico. È così che si va in scena, con il cameo di Ferzan Özpetek stesso di fronte alle sue donne, alle sue attrici preferite. Una rappresentazione metacinematografica, dove il cinema introduce il cinema.
Ebbene, protagoniste assolute sono Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca), le sorelle Canova che dirigono una sartoria di spicco, specializzata nella produzione di costumi per cinema e teatro. Un microcosmo tutto al femminile, dove, il rumore delle macchine da cucire, gli orli da sistemare e le scadenze di consegna da rispettare, raccontano il cinema e le personalissime e drammatiche storie delle protagoniste dal punto di vista degli abiti. Un luogo, quasi ovattato, sospeso tra realtà e finzione, come il parallelismo che sussiste tra le vite delle attrici e quelle dei loro personaggi.
Quando la nota costumista premio Oscar, Bianca Vega (Vanessa Scalera), commissiona alla sartoria Canova i costumi per il suo prossimo film, le donne di quel microcosmo si affaccendano nella titanica impresa. E –con trapassi spaziali tra il luogo di lavoro e gli ambienti privati e domestici di tutte le protagoniste– confezioneranno un capolavoro, così come Ferzan ha fatto con la pellicola.
Diamanti di Ferzan Özpetek. La recensione
La vis di Diamanti è tutta nelle donne, nell’apporto straordinario che donano al visionario e onirico progetto del regista italo-turco.
Già la scelta del titolo è intrisa di simbologia ed elogio, un elogio a loro, ai suoi “diamanti”, perché, proprio come queste particolari pietre preziose, le donne sono resistenti, resilienti, indistruttibili, illuminando la propria e altrui vita naturalmente, e specie se sussiste una solidarietà assoluta, proprio quella mostrata e osannata da Ferzan nel film.
L’intento del regista è infatti quello di raccontare e celebrare un mondo, uno spazio (di vita e lavoro), in cui le donne diventino protagoniste assolute, con la loro bellezza, la tenacia, le fragilità, la forza, le paure, i drammi che costellano le loro esistenze. E quella solidarietà di cui parla Özpetek è ben evidente nel duro e creativo lavoro di sartoria. Perché, contrariamente a quanto anche spesso può accadere e si può ritenere delle donne e dell’invidia reciproca che soprattutto sul lavoro purtroppo talvolta le denota, dall’universo ideale creato da Ferzan si giunge a toccare con mano un’altra realtà, altrettanto vera e audace: per quanto le donne, e qui le sarte, possano mal sopportarsi, litigare e insultarsi, sono e saranno sempre pronte a supportarsi vicendevolmente, a sostenersi l’un l’altra contro qualunque forma di tirannia, sopruso e rimprovero, inventando soluzioni concrete senza abbandonarsi e rinunciare alla loro forza più grande.
E così ogni singola storia si intreccia con l’altra, creando una “trama” di donne, che, come diversi tessuti, formano alla fine un preziosissimo vestito, concedendosi un valoroso lieto fine. Ognuna di queste lavoratrici, ognuna con la sua storia, con i suoi drammi, le sue ombre, le sue fragilità, le sue paure, i suoi dolori. Ma che insieme costituiscono immensa forza. L’abito perfetto, confezionato col sudore, i sacrifici, la passione, la dedizione e l’amore, costituisce singolarmente proprio quel lieto fine inaspettato, non perfetto, ma perfettamente cucito addosso.
Questo senso di sorellanza, la sisterhood, è incarnato all’estremo dalle due sorelle Canova, restituendocelo in forma nuova, bistrattata, stropicciata, ma alla fine più luminosa che mai. C’è una scena del film, che, a tal proposito, raggiungerà un picco emotivo, tale che da sola vale l’intero film. Non è necessario descriverla qui. Nel vedere la pellicola il cuore si scioglierà e capirà.
Ogni protagonista, dalle sorelle reciprocamente alle sarte, affronta i propri fantasmi e le questioni irrisolte e dolorose della propria vita in maniera speculare con ciascun’altra, immergendosi e riflettendosi nell’altra, tanto da ritrovare sempre alla fine quella comprensione, quell’affetto e quella solidarietà assoluti, tanto che, come recita una battuta del film: «Non è necessario vedersi, quando ci si vuole bene».
E niente, Ferzan Özpetek ci scioglie il cuore, l’anima, la pelle, di fronte a tanto immenso, a questi universi interiori che ha saputo mirabilmente rappresentare, in un alternarsi di momenti drammatici e profondi, e momenti di gaudio e comicità, specie quelli gestiti dalla sorprendente e irriverente Geppi Cucciari, come quando al cospetto di Ferzan si riferisce a sé e alle sue colleghe lì presenti utilizzando il termine “vaginodromo”.
Il cast è corale, smagliante, stellare, perfetto. E, oltre all’elogio tutto femminile, Ferzan osanna al contempo il suo estremo rispetto per il lavoro sartoriale. Un lavoro quasi magico, fatto di pazienza e precisione maniacale, estro e concretezza, attenzione, da parte di chi crea i costumi, nel riconoscere e mostrare il rapporto tangibile e corporeo sussistente tra i personaggi e il loro abito di scena, dove, a un certo punto, l’abito veste il personaggio, ma il personaggio veste l’abito.
E questo progetto costituisce proprio l’occasione per Özpetek di raccontare un universo in cui queste donne cominciano anche a familiarizzare con la propria voce e il proprio coraggio, nel tempo in cui l’emancipazione di genere comincia a far sentire la sua importanza, non rimanendo più afona e nascosta da abusi e terrorismo psicologico.
Diamanti dunque esplora diversi temi, dall’amore all’amicizia, dalla solidarietà, la sorellanza alla violenza, fino alla creazione identitaria e alla lotta resiliente per risorgere dopo ogni dolore, più luminose e più vive.
Diamanti è quell’universo variegato e caleidoscopico, dove i colori, le tinte ricercate, le stoffe e i tessuti presenti nella sartoria, costituiscono in parallelo il complesso universo femminile, carico di sfumature, sia pallide che luminose, in cui ogni donna è un diamante, la pietra più bella e preziosa che esista in natura, e quella in grado di resistere a tutto. E in questo spaccato, tutte le protagoniste, e Luisa Ranieri con Jasmine Trinca, offrono le migliori prove emotive di sé, mostrando ciascuna in modo diverso il proprio rapporto con il dolore, le perdite e i fantasmi che ci si trascina addosso.
Tutto questo Ferzan ci regala, creando questo mirabile affresco, questo capolavoro sartoriale e cinematografico, in cui la coralità femminile raggiunge vette altissime, quasi a costituire una sorta di Olimpo divino, improntato al binomio dialettico umanità-perfezione.
E in questo grandioso compendio di bellezza, elogio, bravura e talento, notevole è il contributo musicale, alternando le colonne sonore originali di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, con alcuni capolavori che hanno reso immensa la canzone italiana, tra cui Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina – che interrompe il flusso narrativo per creare un forte impatto emozionale. E poi gli inediti, nati per il film, da L’amore vero di Mina a Diamanti di Giorgia (che collabora già con Ferzan nel 2003 con Gocce di memoria per La finestra di fronte) – le cui note compaiono a impreziosire la pellicola nei momenti più salienti, e le cui parole toccano le corde più profonde dell’anima.
Diamanti di Ferzan Özpetek. Il costume come protagonista
In Diamanti di Ferzan Özpetek la narrazione passa non solo dal punto di vista delle donne, protagoniste del film, bensì anche da quello del “costume”. L’abito diviene co-protagonista, e presente per l’intera durata della pellicola quale complice e custode di tutte quelle storie, lavorative e personali, di quei segreti, delle vicende e dei drammi. Ecco che l’abito, il costume di scena, si intreccia con le storie delle protagoniste, di coloro che quegli abiti li creano. Quegli abiti hanno voce propria, e divengono parte preponderante del personaggio stesso, in quanto “il costume non deve solo vestire il personaggio. Il costume deve permettere all’attrice di entrare nel personaggio”. Ecco spiegata l’attenzione estrema e la totale dedizione per i dettagli, il lavoro di precisione, la creatività e l’estro, in un lavoro che non può essere passivo, bensì partecipe alle esigenze cinematografiche.
E questa forma di rispetto e riverenza raccontata nel film, e attraverso il film, viene da Ferzan, dal suo attingere a spunti autobiografici, alla memoria di quando lui stesso negli anni Settanta, come aiuto regista, ha frequentato con assiduità le sartorie di cinema e teatro, in particolare la mitica Sartoria Tirelli, assorbendone bellezza e insegnamenti da parte di maestri come Piero Tosi.
Ecco perché Diamanti costituisce un capolavoro così completo e prezioso. Qui Ferzan si mette a nudo, per vestire di rispetto, attenzione, elogio e verità le sue donne, e raccontando il cinema finalmente anche dal punto di vista del duro e faticoso lavoro di backstage, qui quello della sartoria, che non si limita a riprodurre e creare semplici abiti, bensì capolavori di piglio e personalità.
Quello della sarta è un lavoro che ci mostra in questo film quanto la perseveranza, la pazienza, siano determinanti, anzi fondamentali, non solo nel lavoro. Perché l’acquisizione di determinate abilità trapassa nella vita quotidiana, tornando utile per rialzarsi dopo cadute, traumi, delusioni e sconfitte. È proprio ciò che il microcosmo, anzi macrocosmo, della sartoria Canova ci mostra: «Qui siamo noi, e il nostro lavoro è fatto di dettagli». Quel dettaglio tanto ricercato, come quello di una tinta, che sfocia nella sfumatura rosa diamante. Il diamante appunto, la donna nella sua resilienza e splendore. A tal proposito, diviene iconica e già un mantra da inserirsi a pien diritto tra le titaniche didascalie cinematografiche: «Non siamo niente. Ma siamo tutto. Ecco cosa siamo noi, diamanti».
Ed era da tempo che in un film non si trattasse la tematica del duro ed elegantissimo lavoro di sartoria. A tal proposito, è riuscito a farlo mirabilmente per il cinema statunitense Paul Thomas Anderson, con il suo Il filo nascosto (2017), film premio Oscar proprio per “Migliori costumi”. Per ora, il nostro vanto italiano resta il sensibilissimo regista italo-turco Ferzan Özpetek, che, nel creare tanta spettacolarità e pregiatezza, si rifà al costumista Stefano Ciammitti. Con lui i costumi si muovono su un doppio binario: da un lato ci sono quelli indossati dalle attrici, come simboli di caratteri e personalità; dall’altro ci sono appunto le creazioni di queste donne nella sartoria.
Sotto gli austeri camici blu e panna delle sarte, le protagoniste sfoggiano ciascuna il proprio stile, rispecchiante la propria personalità. Si va dai capi d’alta moda (YSL, Pierre Cardin), indossati dalla costumista Vega, al guardaroba elegante, ricco di dettagli e rigoroso di Alberta Canova, ad uno stile più morbido con dettagli floreali, anche autunnali per sottolineare l’annichilimento che esprime Gabriella Canova; fino allo stile neorealista proposto per Silvana (Mara Venier), la cuoca della sartoria.
In Diamanti gli abiti sono al servizio delle donne, così come del cinema. Infatti, sull’altro binario, alcuni abiti da loro confezionati ed esposti sui manichini, arrivano direttamente dalla Sartoria Tirelli Trappetti, permettendo a Ferzan di poterli includere nel film, creando una sorta di film-museo. Si tratta infatti dei preziosi e delicati abiti di scena di film quali Il Gattopardo, Morte a Venezia, L’Innocente e Ludwig. Ecco che da quegli abiti settecenteschi si parte per puntare all’innovazione, coerente con quel sentimento di libertà ed emancipazione che scardinava le menti assonnate e i rigori anacronistici del tempo: «Voglio che le stoffe, le forme, ricordino la consistenza della carne… Di Settecento si parla, ma non lo voglio stantio. Polvere, polvere quanta ne volete. Ma l’importante è che sia luminescente, leggera», così annuncia la costumista Bianca Vega alla sartoria Canova.
Diamanti diviene così, attraverso le creazioni, le storie, gli umori, le emozioni, le sofferenze, l’impegno e il talento una grande opera architettonico-sartoriale-emozionale collettiva, che riunisce tutti e tutte in una sincronica armonia.
L’elogio di Ferzan Özpetek in Diamanti è in definitiva un inno alle donne, alla complicità, alla dedizione e al duro lavoro dietro le quinte, così come al cinema stesso, questa meravigliosa settima arte, che sa scaldare il cuore di ogni amatore. E, come recita fuori campo Elena Sofia Ricci:
«Il cuore mescola continuamente cosa è successo con quello che abbiamo solo immaginato, i vivi con i morti, il visibile con l’invisibile, l’amore con il dolore. Quello che siamo va oltre la memoria e la vita. È ciò che rimane quando tutto il resto sparisce. Questa è l’eternità. Questo è il cinema».
Foto di: MYmovies