Emily: il nuovo film su Emily Brontë al cinema | Recensione

Emily: il nuovo film su Emily Brontë al cinema | Recensione

Emily, nelle sale dal 15 giugno ma presentato in anteprima al Toronto Film Festival, è un “biopic” su Emily Brontë diretto dall’esordiente regista e attrice anglo-australiana Frances ‘O Connor, personalmente già vicina al mondo femminile del XIX secolo soprattutto per la sua interpretazione di Fanny Price in Mansfield Park (1999) e di Emma Bovary nel film tv Madame Bovary di Tim Fywell.

Emily Brontë ha il volto di Emma Mackey, classe 1996, nota per la serie tv Sex Education con cui è stata candidata ai BAFTA TV Award, e che rivedremo in Barbie di Greta Gerwig nel ruolo di Barbie fisica premiata con il Nobel (dal 20 luglio al cinema).

Emily: la trama del film

Emily, ormai ammalata, perde i sensi assistita dalla sorella Charlotte che sul suo tavolino sfoglia le pagine di Cime tempestose, quel “brutto” romanzo che la sorella ha da poco pubblicato con grande successo. La giovane ripercorre come in un sogno rivelatore ogni attimo della propria breve ma intensa vita.

Emily vive con il fratello Branwell (Fionn Whitehead) e le sorelle Charlotte (Alexandra Dowling) e Anne (Amelia Gething) a Haworth, un piccolo paese dello Yorkshire insieme all’autoritario padre reverendo e alla zia Branwell, sorella della mamma defunta. Charlotte, appena rientrata dalla scuola superiore, è stata ammessa ad una scuola per maestre; Anne e Emily vivono invece nel riservato mondo domestico tra storie inventate di affascinanti capitani e corse sotto la pioggia tra le brughiere.

Secondo Elizabeth Gaskell autrice di The Life of Charlotte Brontë (1857) «tutte e tre le sorelle dovevano essere guardate con sospetto dagli abitanti del paese, ma mentre Anne e Charlotte sono definite “timide” e quindi “vorrebbero poter piacere a tutti”, Emily è “riservata” e quindi non si preoccupa dell’impressione che dà di sé.»

Emily è “strana”, è “un pesce rosso” che vive in una pozza di acqua sporca, i suoi occhi nascondono “empie fiamme”, scrive pagine in cui c’è qualcosa di “perverso”. Emily è ribelle e la sua stranezza non deriva dalla sua ossessione per la scrittura, la poesia, la letteratura: il suo desiderio di esprimere “libertà di pensiero”, tatuato come un marchio di fabbrica sul suo e sul braccio dell’amato fratello, sconvolge la piccola comunità di paese.

La vita di Emily si volge verso un abisso soprattutto quando nel piccolo paesino di campagna arriva il reverendo William Weightman (Oliver Jackson-Cohen) per aiutare a svolgere alcune mansioni insieme a Patrick Brontë. L’uomo sembra attratto da Emily, l’unica delle sorelle Brontë a non rivolgergli alcuno sguardo; nella realtà storica sembra sia stata invece Anne ad apprezzare maggiormente gli occhi dolci che il vice-parroco le rivolgeva in chiesa.

In una serata tempestosa le sorelle Brontë, Branwell e William, in compagnia anche di Ellen, un’amica di Charlotte, seduti attorno ad un tavolo, si lasciano affascinare da una misteriosa e candida maschera appartenuta alla defunta signora Brontë identificandosi in personaggi da indovinare: Charlotte è la regina Antonietta e questa scelta sembra connettersi non solo al carattere algido, superbo e a tratti crudele della ragazza, ma anche al suo interesse per la lingua francese studiata quindi, per questo e per volontà del padre, anche dalle altre sorelle.

La maschera, l’inganno, la morte, la comunicazione e la connessione con l’aldilà, il mistero dell’amore “materno”: intorno ad ognuno di queste tematiche ruota il più noto dei romanzi dell’autrice e la vita stessa della scrittrice che nasconde dietro una pura finzione la più grande delle menzogne a sé stessa; ella ricerca la stima del padre, e perciò rinuncia alla scrittura per andare studiare da maestra, scrive di nascosto e ormai sola rimpiange la madre (nella realtà biografica l’amatissima sorella Maria morta di tubercolosi nel 1825 e che l’aveva accudita come una mamma) con la quale vorrebbe confrontarsi e non essere giudicata.

Emily, invece, indossando la maschera si lascia possedere dallo spirito della madre che si rivolge a ciascuno dei figli, risvegliando dolori sopiti e riflessioni sulle proprie scelte di vita; mentre ella con sguardo vacuo ma dolce sembra trascinare ciascuno in una dimensione ultraterrena e quasi diabolica, le finestre si spalancano, la sedia si inclina all’indietro, i capelli di Emily volano presi come da vita propria, spiriti neri la sottraggono ai ragazzi sconvolti. Lo spettatore e lettore di Cime tempestose non può non vedere già, in questa scena, lo studio degli spiriti di Cime tempestose, Wuthering Heights, quando Catherine bussa al vetro di Heathcliff tormentandone il sonno e i pensieri (it’s me, I’m Cathy/ I’ve come home, I’m so cold/ Let me in your window cantava Kate Bush nell’omonima canzone).

Dopo un breve periodo presso la scuola per maestre, Emily torna con il fratello Branwell, che ha fallito nella propria esperienza di pittore esordiente alla Royal Accademy of Arts; Emily è affidata a William che le impartisce lezioni di francese e con cui inizia una relazione clandestina, mentre il ragazzo diviene dipendente da alcool e oppio. Il giovane trascina in questa perversa dipendenza anche la sorella che in una scena quasi “comica” del film, dopo aver assaggiato dal bicchiere del fratello, storcendo labbra e naso, non disdegna un bicchiere di cherry né di rubargli dell’oppio. Secondo la Gaskell, Branwell avrebbe addirittura assunto il laudano, ma tali sostanze erano certamente frequenti fra i letterati scapestrati romantici.

 I due fratelli trascorrono molto tempo insieme spiando la famiglia Lenton che poi denuncia i due al reverendo e quando ad un concerto Patrick Brontë vede il figlio amoreggiare proprio con la signora Lenton (nella realtà Mrs Robinson) lo manda a fare il capostazione lontano da Emily. La relazione tra William e Emily prosegue al punto tale che lui sembra quasi ossessionato dagli “occhi in fiamme” di lei, dal peccato che ella porta con sé negli incontri segreti in un casale di campagna sotto la pioggia (“Dio è nella pioggia”-“Io non credo. Si bagnerebbe”), dai pianti prima della messa, da una poesia così sensuale: William lascia Emily e quando lei parte per Bruxelles con la sorella Charlotte è raggiunta dalla notizia della morte dell’amato. Solo in seguito alla morte del fratello, scoprirà che Branwell le ha nascosto un’ultima lettera in cui William cercava di trattenerla (“forgive me”) e la implorava di non smettere di scrivere.

Le corse nella brughiera sotto la pioggia (“Meglio esser sciocchi e vivere, che non vivere”), la voce di William che le sussurra “non lasciarmi, amor mio”, la reticenza delle sorelle ad esprimere totalmente sé stessi (“Charlotte non vuole che inventiamo storie”), la piena condivisione – quasi incestuosa – con il fratello di ogni brandello di anima (“Secondo te sono strana?”– “Tutti lo sono, se li osservi bene”), la ricerca di sé stessa (“Tu chi sei?”- “Aspetta e vedrai”), l’essere inevitabilmente anticonvenzionale, passionale, istintiva, ferina, pervasa da un flusso di vita che scorre dentro come fuoco: ogni singola parola e ogni singolo cenno del film rinviano al capolavoro che poi scrisse, in cui le anime di Catherine e Heathcliff si fondono e rotolano nella coperta umida della sera. Andate ad Haworth e capirete perché. Il vento che mescola foglie, cuore e pioggia abita là.

Emily non è un film per tutti. È un inno di Amore ad uno dei romanzi più belli che siano stati scritti nella storia della letteratura inglese. La storia immortale di un sentimento inusuale, perverso, che passeggia sul filo sottile della convenzione, degli status sociali, talvolta barcollando, talvolta precipitando. Quello è il sentimento provato da Emily Brontë, e se, usciti dalla sala (vuotissima), volete urlare, volare, dimenarvi in un stato incosciente, allora, siete tra i pochi eletti.

Fonte immagine: cineblog.it

Eleonora Vitale

A proposito di Eleonora Vitale

Nata a Napoli il 29 luglio 1988, conduce studi classici fino alla laurea in Filologia, Letterature e Civiltà del Mondo Antico. Da sempre impegnata nella formazione di bambini e ragazzi, adora la carta riciclata e le foto vintage, ama viaggiare, scrivere racconti, preparare dolci, dipingere e leggere, soprattutto testi della letteratura classica e mediorientale.

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