Santosh (संतोष in Hindi) è un recente film prodotto dal Regno Unito (ambientato in India e recitato in lingua hindi) che tratta di un tragico caso di polizia che ha luogo nelle zone rurali dell’India. Il focus va sulle ingiustizie da parte delle forze di polizia indiane ed è, in generale, un richiamo alle forme di repressione che hanno tuttora luogo da parte loro verso alcune categorie di cittadini.
La regista è Sandhya Suri, anglo-indiana con base a Londra. Ha raggiunto il titolo di miglior film internazionale ai premi Oscar 2025; ha debuttato nel Festival di Cannes 2024.
La trama del film
Santosh Saini (interpretata da Shahana Goswami) è il nome della protagonista del film. La giovane donna, di soli 28 anni, si trova vedova e, con sua grande sorpresa, è costretta a prendere il posto del marito come membro delle forze dell’ordine. Ci troviamo nelle lande del Nord dell’India rurale, in Uttar Pradesh. Il caso su cui indagherà sarà sulla morte di una giovane adolescente paria, cioè appartenente alla casta degli intoccabili. In India, infatti, esistono alcuni che soffrono ancora di questo vincolo castale.
Il film ci conduce nel processo di crescita morale ed emotivo della protagonista, la quale parte inesperta e spaesata nel mondo della polizia, senza contare la derisione da parte dei colleghi, per poi credere sempre di più nella ricerca della verità. Il suo buon cuore e la sua resilienza la porteranno a indagare a fondo nella vicenda accaduta. Ad aiutare Santosh nelle investigazioni ci sarà una carismatica e dura poliziotta d’età avanzata: Śarmā.
Perché Santosh ha generato una cattiva risposta in India

Questo film ha una forte voce femminista e critica. La stessa regista ha detto di aver trovato l’idea di far passare la protagonista da moglie a vedova a poliziotta molto potente. Il lungometraggio, tuttavia, non è stato accettato dalla Commissione Centrale per la Certificazione dei Film indiana, che si occupa di filtrare i film che possono entrare nel paese e quelli che invece sono considerati dannosi. I tagli che erano stati richiesti per il film erano molteplici: la regista non avrebbe potuto mandare lo stesso messaggio con quelle modifiche, così ha deciso di non consegnarlo affatto.
Come si può intuire, gli elementi provocatori in questo film (che lo distinguono da altri film polizieschi indiani e che l’hanno fatto rigettare dalla Commissione) sono le aperte critiche alla discriminazione indiana verso i Dalit, cioè i cosiddetti intoccabili, i musulmani e le donne in generale. La prima, la discriminazione verso la casta dei paria, è tra le più antiche; oltretutto, è tra le cause più preponderanti di fenomeni come la prostituzione femminile dell’India rurale. In India queste sono discriminazioni ancora vive, e spesso la discriminazione viene perpetrata dagli stessi poliziotti, figure che sono sotto la protezione del governo.
Secondo le ONG Human Rights Watch, in India ci sono molte violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia: torture, stupri e violenze sono avvenimenti che tuttora non cessano di esistere. Molti, inoltre, perdono la vita quando vengono presi in custodia. La polizia, in tutto questo, sarebbe complice per evadere i processi o per evitarli del tutto in quanto dotata di un privilegio giuridico.
In questa intervista del 2024, la regista, seduta accanto all’attrice principale del film, spiega da dove è nata l’idea del suo film:
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