The Lobster e la sistematizzazione dei rapporti amorosi

The Lobster

The Lobster è un brillante film del regista greco Yorgos Lanthimos. È stato definito un thriller disturbante, monotono, troppo crudo… ma il lungometraggio mette in chiaro punti in verità molto importanti sul meccanismo delle relazioni romantiche. E ciò viene confermato anche dalle parole del regista stesso: «L’idea di questo film è nata dalle discussioni su come le persone sentono la necessità di trovarsi costantemente in una relazione amorosa, sul modo in cui alcuni vedono coloro che non hanno una relazione, su come si venga considerati falliti se non si sta con qualcuno».

Entrando nel merito, capiamo che la trama di The Lobster si basa su una sistematizzazione del meccanismo relazionale. Il protagonista David (Colin Farrell), dopo essere stato lasciato dalla moglie, si ritrova nell’Hotel, il luogo dove vengono spediti i single e vengono dati loro 45 giorni per ritrovare l’anima gemella e vivere una vita degna. Tutte le strettissime regole dell’Hotel sono improntate a desiderare la vita di coppia e a favorire contatti romantici. Se alla fine dei giorni a disposizione il single non avrà trovato la propria metà, questo sarà trasformato in un animale a sua scelta. Così, dal primo momento incomincia una fiera dell’assurdità dai toni neutri, in cui tutti i personaggi hanno di proposito un’espressione piatta, e avvengono scene come quelle degli spettacolini serali della direttrice (Olivia Colman), che si avvicinano alla commedia demenziale.

Esiste, però, in The Lobster una seconda dimensione: quella dei fuggiti dall’Hotel, i solitari, che vengono regolarmente cacciati nei boschi dai residenti per ottenere giorni di permanenza aggiuntivi. Se nell’Hotel si viene brutalmente puniti per atti come la masturbazione o mentire al proprio partner, nella dimensione dei solitari si riceve altrettanta punizione per il flirt o qualsiasi scambio di effusioni in senso romantico.

The Lobster e la teoria del panottico

Dunque, non esiste uno spazio libero che non sia altamente (e violentemente) regolamentato. L’unica alternativa alla dittatura sentimentale è la dittatura della solitudine, ossessionata dal dover essere così radicale per smontare il sistema.

L’effetto del panottico di Foucault è bene evidente in The Lobster. Il panottico è un modello carcerario del giurista Bentham, in cui una sola persona può osservare tutti gli spazi dell’edificio, ma i residenti non possono invece osservare la guardia. Foucault ne fa un parallelo con la società e le sue regole comportamentali. La disciplina e il modello comportamentale vengono però imposti nella società attraverso meccanismi molto più complessi e sofisticati. Le nostre regole sociali ci portano a comportarci in modo artificiale e quindi costruito anche quando apparentemente nessuno ci sta guardando, a causa di quella sensazione di essere costantemente giudicati, da Dio, dai mass media o da qualunque autorità. Siamo sempre sottoposti a qualche potere invisibile.

L’Hotel di The Lobster è materialmente una specie di panottico, ma questo si avvera soprattutto nei meccanismi di standardizzazione del comportamento: tutti i residenti dell’albergo, così come i solitari a modo loro, si comportano come degli automi che seguono regole programmate nel loro sistema operativo. In totale, è un’esagerazione di ciò che accade nella nostra realtà.

La pressione psicologica che c’è nell’albergo spinge i residenti a fare di tutto pur di accoppiarsi: ci si azzuffa con le persone amiche, si finge pur di avere qualcosa in comune con qualcuno. Il personaggio dell’uomo zoppicante (Ben Whishaw) si condanna a sbattere la testa tutta la vita pur di farsi uscire il sangue dal naso ed avere l’epistassi in comune con la propria anima gemella. Se le coppie diventano infelici, viene automaticamente assegnato loro un bambino perché “di solito aiuta”, e attraverso questo elemento, Lanthimos sbeffeggia ulteriormente l’imposizione sociale di creare una famiglia.

Quando David fugge dall’Hotel e si aggiunge ai solitari, accade qualcosa di inaspettato: l’amore fa il suo corso e, in tutta questa struttura cementizia di regole, nasce spontaneamente come una pianta rampicante. Conosciamo la voce narrante di Rachel Weisz, che assieme al protagonista dovrà reprimere la nascita di questo sentimento per non ricevere punizioni dalla leader dei solitari. Il finale sospeso lascia tutti con un’incognita, ma rende perfettamente chiaro che non ci sia alcuna regola o imposizione che possa decidere quale sia il momento giusto per un’interazione umana.

Fonte Immagine di copertina: Wikipedia

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