Vincenzo Palazzo è nato a Formia, in provincia di Latina ed è autore, regista e attore. Conclusi i suoi studi superiori, si sposta presto nella capitale, in cui intraprende un iter didattico completamente differente. Innanzitutto frequenta la scuola romana internazionale di recitazione “Maldoror” nella quale ha modo di mettere a punto diversi metodi, come lo “Stanislavkij” e lo “Strasberg”. Nel frattempo Vincenzo Palazzo è selezionato a recitare piccole parti in rappresentazioni teatrali e corti. Esordisce dunque in molteplici spettacoli, nel ruolo di attore principale o co-protagonista. Vincenzo Palazzo decide di non chiudersi all’interno di un unico codice di interpretazione, spingendosi in direzione di ulteriori forme e stili creativi, passando così con disinvoltura dai toni drammatici a quelli noir, non disdegnando neppure il genere comico. Conseguire la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo presso l’università della Sapienza di Roma nella disciplina di Storia e Critica del Cinema con una tesi su Carlo Lizzani, Attraverso il novecento.
Subito dopo Vincenzo Palazzo si diploma all’Istituto romano di Stato per la Cinematografia e Televisione “Roberto Rossellini” iniziando a girare svariati mini spot indipendenti con tematiche sociali, prendendo parte a molti festival.
In seguito a uno stage Vincenzo Palazzo si appassiona ai set del grande schermo e avvia una serie di produzioni indipendenti.
Le esperienze professionali di Vincenzo Palazzo
Nel 2014 partecipa in qualità di aiuto regia e assistente alla fotografia di Luca Guardabascio al documentario “Casa famiglia Milly e Memo” la comunità di Capodarco a Grottaferrata (RM), ottenendo riscontri anche oltralpe, da qui viene alla luce uno spot destinato al piccolo schermo del 5xmille, pubblicato su molti canali tv nazionali internazionali, intanto diventa l’assistente alla fotografia del mediometraggio “Notturno Veneziano” di Luigi Spagnolo.
Dopo aver prestato il proprio contributo nella direzione fotografica e artistica di numerose produzioni gira due brevi documentari per la trasmissione tv “Il Mondo Insieme” condotta da Licia Colò su TV2000 e Sky.
Nel 2016 collabora con il jazzista internazionale, Gianni Bardaro, per le case discografiche Universal music group e Verve creando un videoclip intitolato INTO brano estratto dall’album Soul Blueprint.
Nel 2017 realizza alla Blu Film srl il documentario 1938 – quando scoprimmo di non essere più italiani di Pietro Suber.
Nel 2017/2018 coopera per la creazione delle due trasmissioni tv Alta Infedeltà su Real Time e Ci vediamo in tribunale su Rai 2. Ancora nel 2018 scrive, dirige e produce il cortometraggio Zi Franco. Nel 2021 è nominato presidente dell’associazione di promozione sociale Che Cosa Sono Le Nuvole – APS di Roma. Sempre nel 2021 è l’autore, il regista e il produttore di un nuovo corto sociale che discute dell’argomento dell’alzheimer, ANNA.
Nel 2023 arriva poi per Vincenzo Palazzo il corto denominato L’ultimo saluto che riguarda la violenza di coppia, declinata però al femminile.
Rosetta e l’attenzione degli addetti ai lavori e non solo
Nel 2024, giunge, infine, l’ultima opera di Vincenzo Palazzo, il cortometraggio Rosetta, che ha già destato un forte interesse degli addetti ai lavori e non solo e noi lo abbiamo intervistato proprio a questo proposito.
Ciao Vincenzo, sei attore e regista, che consigli daresti a chi voglia intraprendere la tua strada?
«Il consiglio più sincero che posso dare, è quello di coltivare la curiosità, la passione e la spontaneità. Questo, come molti mestieri richiede pazienza, costanza e una formazione continua, ma anche una grande capacità di ascolto e di osservazione della realtà che ci circonda. Bisogna avere il coraggio di portare avanti le proprie idee e la propria linea artistica, mettersi in gioco e rischiare anche quando si va contro corrente. Un altro aspetto indispensabile è la collaborazione, iniziare dal basso, fare tanta “gavetta” e imparare a lavorare con gli altri, rispettando i ruoli e le visioni diverse, il tutto condito con un po’ d’umiltà, in questo modo si arricchisce il proprio bagaglio artistico, umano e professionale.»
Che evoluzione ha subito il tuo stile e come è cambiata la sua prospettiva a partire dal tuo esordio arrivando ad oggi?
«All’inizio non avevo un vero e proprio stile, la curiosità e la voglia di raccontare, mi ha portato a sperimentare nuovi linguaggi, facendomi guidare dall’istinto e dalle emozioni. Con il tempo, il mio stile si è affinato, questa volta con una esperienza diversa, non solo sul piano tecnico, ma anche con uno sguardo più profondo. Ho sempre apprezzato i film asiatici, il neorealismo, quelli di Sergio Leone dove il silenzio e i non detti riempiono le storie, dove i dettagli e gli sguardi penetrano l’anima dello spettatore. La prospettiva è cambiata anche grazie all’esperienza: oggi cerco di dare voce a storie poco conosciute che possano aprire uno varco di riflessione su temi complessi e delicati, anziché puntare su soluzioni facili e schematiche. Capisco che spesso ci si debba adeguare a dei sistemi commerciali e produttivi, ma bisogna cercare di non annullarsi e di non perdere la propria identità.»
Il tuo ultimo cortometraggio, Rosetta, ha per oggetto la violenza domestica e quella di genere, è ancora lungo e tortuoso, secondo te, una consapevolezza piena del tema?
«Credo che il viaggio sia ancora lungo. C’è ancora tantissimo da fare, e nonostante piccoli passi avanti, la strada verso una reale tutela e consapevolezza è disseminata di ostacoli. Purtroppo, oggi vedo un sistema ancora pieno di contraddizioni: leggi che spesso si smentiscono tra loro, una burocrazia lenta e opprimente, e una mancanza concreta di protezione per chi subisce violenza. A fronte di una maggiore sensibilizzazione rispetto al passato, molti stereotipi resistono con forza. Tante forme di violenza psicologica, emotiva, economica, assistita, verbale, istituzionale etc… Vengono ancora normalizzate, minimizzate o addirittura ignorate. E questo è inaccettabile. È proprio da questa consapevolezza che nasce Rosetta: dal desiderio profondo di dare un volto, una storia, una dignità a chi vive o ha vissuto esperienze di dolore e invisibilità. Parlare di violenza di genere non significa solo denunciare, ma significa anche e soprattutto educare. Educare alla consapevolezza emotiva, al rispetto reciproco, all’ascolto autentico. Serve un cambiamento culturale profondo e radicale. Un cambiamento che deve partire dalle fondamenta: dalle famiglie, dalle scuole, e in particolare dall’infanzia, quando ancora si costruisce il modo in cui vedremo noi stessi e l’altro. Anche i media, purtroppo, hanno una responsabilità enorme. Negli ultimi anni il modo di comunicare si è trasformato: la televisione, i social, i talk show sembrano spesso più un “ring” che uno spazio di confronto. Tutti urlano, si scontrano, si offendono, si impongono. È un linguaggio aggressivo, carico di prevaricazione, che finisce per legittimare comportamenti tossici e atteggiamenti da bulli. È un modello che si insinua nella quotidianità, alimentando silenzi e paure. Il cinema, in tutto questo, può rappresentare una via diversa. Non ha il potere di cambiare da solo le cose, ma può accendere delle luci. Può far riflettere, può toccare corde ancora pure, non contaminate, che abitano dentro ciascuno di noi. Può raccontare senza giudicare, mostrando la complessità, l’umanità, le ferite e la forza. Non sostituisce il processo culturale ed educativo, ma può accompagnarlo, può esserne parte viva. Rosetta vuole essere proprio questo: un invito a guardare più a fondo, a sentire senza filtri, ad aprire gli occhi ma anche il cuore. Perché non c’è giustizia senza ascolto, e non c’è cambiamento senza empatia. E solo attraverso la consapevolezza collettiva possiamo davvero costruire un futuro diverso, più giusto, più umano, più libero.»
Tratti spesso tematiche particolari e originali nelle tue opere, come nel caso di Anna in cui affronti il tema dell’alzheimer o de L’ultimo saluto in cui affronti la problematica della violenza in una coppia omosessuale. Ritieni che l’arte possa dare un contributo importante per sdoganare certi argomenti ancora tabù per la società odierna?
«Assolutamente sì. L’arte ha il potere di toccare corde che il linguaggio quotidiano spesso non riesce a sfiorare. Quando vediamo una storia sullo schermo, ci immedesimiamo, sentiamo, comprendiamo anche ciò che non ci appartiene direttamente. Questo è uno degli strumenti più potenti per abbattere il muro del silenzio. L’arte può rendere visibile l’invisibile, dare voce agli emarginati, rendere condivisibile il dolore e trasformarlo in consapevolezza collettiva. È una forma di attivismo delicato ma incisivo.»
Rosetta ha ricevuto già molte segnalazioni e ottenuto premi nonostante sia recente. Quale avvenire ti auguri per il tuo corto?
«Il cortometraggio Rosetta è stato selezionato già in diversi Festival e ha ottenuto alcuni premi, tra cui il recente Premio Migliori Musiche al Festival Internazionale della Cinematografia Sociale Tulipani di Seta Nera di Roma, in collaborazione con Rai Cinema. Il mio obiettivo è che continui a viaggiare, sia in Italia che all’estero, a essere visto e discusso, soprattutto in contesti dove può davvero lasciare un segno, un motivo di riflessione, una scossa emotiva. Mi piacerebbe che fosse proiettato nelle scuole, nei centri culturali, nei festival che danno spazio al cinema sociale e non, ma anche in tante realtà diverse da questo circuito, proprio per arrivare a tutte e tutti. Con questo progetto non cerco solo un riconoscimento artistico, ma una possibilità concreta di contribuire al cambiamento. Se anche una sola persona, dopo averlo visto, si sentirà meno sola o troverà il coraggio di parlare e di confrontarsi, allora Rosetta avrà già compiuto il suo percorso più importante.»
Raccontaci del riconoscimento che ti piacerebbe avere come regista e non hai ancora avuto finora.
«Credo che un primo riconoscimento sia nel momento in cui un tuo progetto venga scelto e approvato per la realizzazione. Da quel momento in poi il tuo premio è l’entusiasmo e la passione che ti trascina nella concretizzazione dell’opera, ma quello che desidero di più non è tanto un premio o una standing ovation, ma piuttosto il momento in cui qualcuno mi dice: “Quel film mi ha cambiato qualcosa dentro.” Vorrei che le mie opere arrivassero a toccare sempre l’anima di qualcuno, lasciando un segno duraturo, come certi film hanno fatto con me da spettatore. Sarebbe il più grande riconoscimento: sapere di aver parlato al cuore e all’anima di qualcuno attraverso il mio linguaggio, come se una parte di te in quel momento si trasferisse in tante persone.»
Rivelaci un tuo sogno come uomo e uno come artista.
«In questo periodo storico, sembra quasi che i sogni non appartengano più a questo mondo. Viviamo in una società in cui il sistema tende a spegnerli lentamente, trasformandoli in desideri riservati a pochi. Eppure, io ho sempre sognato e continuo a farlo. Forse è proprio questa mia natura sognatrice che mi dà la forza di andare avanti, di resistere, di non cedere al cinismo o alla rassegnazione. Come uomo, sogno una vita fatta di serenità e pace interiore, non solo per me, ma per tutte e tutti. Può sembrare un desiderio banale, quasi scontato, ma non lo è affatto. Anzi, in un mondo che corre, che spinge verso la competizione e il consumo, riuscire a vivere con leggerezza, assaporare davvero il tempo e il momento presente, è un atto rivoluzionario. Desidero essere circondato dalle persone che amo, sentire il calore delle relazioni autentiche e vivere in quel tipo di pace che non si conquista lottando fuori, ma accogliendo dentro. È quel senso di equilibrio profondo che arriva quando smetti di combattere contro te stesso e inizi, finalmente, a esserci davvero qui, ora.
Come artista, il mio sogno è creare opere che resistano al tempo. Film, documentari, serie… non solo prodotti “attuali”, ma creazioni che abbiano un’anima, capaci di attraversare gli anni, di parlare alle persone in ogni stagione della vita. Vorrei realizzare storie che continuino a essere viste, discusse, amate o anche criticate, ma che non vengano dimenticate. Opere che lascino un segno, che non vivano solo nel presente, ma che riescano ad abitare un “tempo senza tempo”, perché vere, profonde, umane. Per me, questo sarebbe il sogno più grande: contribuire con sincerità e passione a qualcosa che continui a vivere, che abbia un senso oggi come domani. Perché sognare, in fondo, è ancora possibile. Ed è forse il gesto più coraggioso che ci resta.»
Fonte immagine: Ufficio stampa