Fede ‘n’ Marlen: la violenza di genere nei vari ambiti | Intervista

Fede 'n' Marlen contro la violenza di genere

Il 21 marzo, l’Università L’Orientale di Napoli ha ospitato un evento in cui sono state presentate le proposte creative giunte in risposta alla Call For Ideas – Una panchina rossa in memoria di Giulia Tramontano. Le voci dell’Orientale contro la violenza sulle donne, in scia con l’intitolazione di una panchina rossa nel cortile di Palazzo Porta Coeli, avvenuta il 20 dicembre 2024. Sono stati pertanto esibiti i progetti che hanno trattato diversi ambiti del tema, come la violenza fisica, la discriminazione linguistica, la consapevolezza e responsabilità collettiva, e lintersezionalità. Quest’ultima si evince anche dai vari settori creativi e accademici adoperati, come la poesia, la fotografia, la moda e, infine, la musica, presentata ultima sulla scaletta del programma e culminata nel concerto finale del duo Fede ‘n’ Marlen,  che ha contribuito a creare un’atmosfera di profonda riflessione e commozione.

Al termine dell’evento, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare le artiste, approfondendo ulteriormente la visione sulla violenza di genere e le tematiche affrontate durante la giornata. Qui di seguito l’intervista al duo Fede ‘n’ Marlen:

Nella vostra carriera, avete spesso affrontato tematiche sociali importanti. Come vedete l’evoluzione della consapevolezza sulla violenza di genere negli ultimi anni?

«Sicuramente c’è una forte consapevolezza. Alla fine, la cosa importante è che la visibilità mediatica offre moltissime opportunità di dibattito. Questo permette di far arrivare informazioni sia alle persone che subiscono violenza, sia forse agli uomini che non si rendono conto di commettere atti violenti. Viviamo in un contesto millenario, storico, di patriarcato, e a volte ci sono comportamenti talmente radicati, sia negli uomini che nelle donne, che vengono percepiti come normali. La possibilità di conoscere cosa è giusto e cos’è sbagliato in questo ambito permette di capire come ci si sta comportando nella propria vita. Sicuramente, c’è una visibilità molto più ampia rispetto al passato».

Come donne e come artiste, quali sono le sfide che avete incontrato nel vostro percorso professionale a causa del vostro genere?

«Possiamo raccontare piccoli episodi che sembrano sciocchezze, ma in realtà non lo sono. Ne abbiamo parlato prima all’evento: quando consegniamo la nostra scheda tecnica, specificando che siamo due cantanti, due voci e due musiciste, spesso si pensa che siamo in quattro invece che due. Sembra strano che due donne possano cantare e suonare contemporaneamente. Oppure, a Marilena (Vitale) è stato detto che suona la chitarra così bene, “come un uomo”. In generale, siamo molte meno donne che uomini nel mondo della musica, non solo come musiciste, ma anche in tutte le altre figure professionali. Infatti, in settecento concerti, avremo incontrato forse una o due foniche e ogni volta ci chiediamo: “Perché? Non è possibile che le donne siano meno brave degli uomini, è una questione di accesso”. Oppure, se siamo a una festa con molti musicisti, la chitarra è quasi sempre in mano a un uomo. Un po’ è perché, per prendere la chitarra, una donna deve alzarsi e dimostrare di essere brava, di voler far divertire, mentre l’uomo può semplicemente divertirsi. Il problema principale è che nel mondo della musica c’è molta complicità maschile, una sorta di solidarietà di genere. Per esempio, è raro che un uomo dica a un fonico “Non mi piace quello che sto sentendo”. Invece, le donne, che sono precise e vogliono che le cose siano fatte a modo, passano per “rompiscatole”. Noi siamo quelle che “rompono le palle”, ma non solo noi, tutte le donne che pretendono di essere trattate con professionalità, di ricevere il servizio tecnico adeguato al loro lavoro. Se c’è un service, pretendo che il suono sia quello che voglio io. I maschi, invece, non si dicono le cose, mantengono sempre un atteggiamento coeso, anche quando non è vero. Quindi, l’atteggiamento della donna che esige la perfezione viene spesso interpretato come fastidioso, e questo si ritorce contro di noi».

Sentite la responsabilità di utilizzare la vostra voce per dare spazio alle storie di chi non ha voce?

«Corallo, ad esempio, ci fu commissionata per parlare proprio della violenza di genere. Ci chiesero una canzone napoletana che ne parlasse, ma non la trovavamo. Così, abbiamo scritto la storia di Medusa. Il brano O’ mele, invece, porta in sé la storia dei senzatetto e degli emarginati in generale. Fantasma parla della condizione delle persone omosessuali o di coloro la cui identità non viene riconosciuta, perché l’identità è una cosa così vasta e spesso vittima di pregiudizi.
Io sono Confine ha come tema principale i migranti e la possibilità di viaggiare. Come diceva Marilena, la musica è politica. In realtà, tutte le nostre canzoni, che piacciano o meno, hanno un messaggio, un punto dove vogliono arrivare. Anche una canzone d’amore può parlare di rispetto, di apertura, di non possesso, e tutto questo è politico e sociale. Per noi, la musica è uno strumento per esprimere queste cose.
Sì, è anche un modo per mandare messaggi. La cosa bella che ci è sempre successa in questi anni è che, dopo i concerti, ci hanno spesso chiesto se avessimo intenzione di fare un disco in cui spieghiamo il significato delle canzoni. Mentre altrettante volte ci hanno detto: “Eh, ma perché spiegate le canzoni?”. Ovviamente, sono sempre stati uomini a fare questa critica. Ma non è che sto spiegando la canzone come se avessi otto anni. Anzi, sto mandando un messaggio correlato alla canzone, perché ognuno può interpretarla a modo suo, ed è giusto così. Ma io sto usando la mia musica per fare questo, e in ogni caso sono un’artista e faccio quello che voglio. Non accetto che mi si dica come o perché».

Volete lasciare un messaggio a queste nuove generazioni che si stanno fortunatamente avvicinando a questi temi importanti come la violenza di genere?

«Aggrapparsi a una passione, qualunque essa sia, e di portarla avanti. Perché poi la forma in cui quella passione si esprimerà può cambiare, no? Io studiavo all’Orientale, volevo andare in Africa a parlare, a salvare bambini, poi ho cominciato a fare la musicista e quel desiderio è entrato in un’altra forma, ma la passione è rimasta la stessa. Quindi, aggrappatevi a qualsiasi passione abbiate, senza soffermarvi troppo sui limiti di quale forma debba prendere, siate il più aperti possibile. C’è un’immagine che vorrei davvero diffondere: quando diciamo la parola “Concentrati”, spesso la intendiamo come chiusura, come focalizzarsi su una piccola cosa. Invece, “Concentrati” dovrebbe significare aprirsi al mondo esterno, a ciò che ci circonda. E questo lo vorrei dire soprattutto alle donne, perché c’è sempre un modo per uscire da qualsiasi situazione e, soprattutto, per affermare ciò che si è e ciò che si può fare. Nessuno può dirvi di no, solo voi stesse».

Avete progetti futuri o eventi a cui parteciperete?

«Questo fine settimana, il 29 e 30 marzo, saremo parte di una rassegna stupenda che si terrà nelle dimore storiche napoletane, o comunque campane. Saremo a Palazzo Capece, che si trova a Caivano, un posto meraviglioso. Il 29 sera e il 30 mattina. Ed è anche bella questa cosa di portare la musica in luoghi come oggi all’Orientale. Poi si parte, perché noi abbiamo sempre legato la musica alla possibilità di viaggiare, di uscire dalla comfort zone. È bello suonare a Napoli, ma anche andare fuori, conoscere persone a Reggio Emilia, Ravenna, Trento, Marina di Pietrasanta. Comunque, aggiorniamo sempre il nostro Instagram, il verbo di Fede ‘n’ Marlen».

Fonte immagine: Profilo Instagram ufficiale Fede ‘n’ Marlen

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