A cuore aperto. Intervista al Premio Zingarelli Manuela Diliberto (Parte seconda)

A cuore aperto. Intervista al Premio Zingarelli Manuela Diliberto

Leggi la prima parte dell’intervista alla vincitrice del Premio Zingarelli 2018: Manuela Diliberto.

Premio Zingarelli 2018: Manuela Diliberto

Nei titoli di ogni “capitolo” spazi dal latino al francese, anzitutto. È un libro intriso di cultura classica. Il Seneca delle “Lettere a Lucilio” – «È lo spirito che deve cambiare, non il cielo sotto cui vivi» – è un memento anche a te stessa, che da Palermo ti sei trasferita a Parigi? Ti senti straniera all’estero? C’è un posto che per te è “casa”?

Ritengo la cultura classica l’unica chiave in grado di decifrare il nostro presente. La storia è il più grande repertorio umano cui chiunque, i politici per primi, dovrebbe attingere. Fra Palermo e Parigi c’è stata l’Austria, poi l’Inghilterra e dieci anni a Bologna, ed è vero che l’unico cielo a vegliare sulle mie ansie era quello che risiedeva in me. Ho il dono di essere siciliana, anche se da parte paterna discendo dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen. Il suo viso ritratto in busti e dipinti, a casa di nonna, ed i racconti sulla sua vita, hanno popolato il mio immaginario sin dalla più tenera infanzia. “Danimarca” è sempre stato il luogo dell’anima che indicava l’inizio di ogni cosa. Mi sento “a casa” ovunque coabitino senso della società civile, cultura e storia. Bologna rappresenta felicemente tutto questo ed è l’unico posto che mi sento di poter chiamare “casa”.

E poi il Pascal dei “Pensieri”: «Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere. E preparandoci sempre ad esser felici, è inevitabile che non siamo mai tali». Quale parola ti viene in mente per prima, pensando alla vita?

“Felicità”. È uno stato dell’anima che, personalmente, coltivo con pervicacia ed un diritto sacrosanto di ogni uomo sulla terra. Eppure vi ci si rinuncia con troppa facilità, convinti che sia un dono che non ci spetti. E invece ci spetta eccome! L’oscurità della lotta contro tutto ciò che preclude l’allegrezza è l’unico modo per averne accesso.

Simone de Beauvoir è per te un pilastro, così come per Bianca Aleksandra Kollontaj. Quali donne ti hanno indirizzato e accompagnata nel tuo diventare – e non solo ‘nascere’ ed ‘essere’ – donna?

Quando a sedici anni lessi Simone de Beauvoir fui in grado di dare forma ad un certo disagio provato per essere vista come altro da ciò che ero, esclusivamente in virtù del mio sesso. Sono sempre stata cosciente di chi fossi, ma sentivo che questo “essere” non corrispondeva alla formula con cui si esprimeva il patriarcale concetto di “femminilità” nella Palermo degli anni Ottanta-Novanta in contrapposizione a quello, dominante, di “mascolinità”. Nelle sue parole, i miei struggimenti interiori hanno trovato per la prima volta una spiegazione. Qualcuno a questo mondo la pensava come me: il mio scontento era legittimo ed io, finalmente, libera. Ho così consolidato la consapevolezza che essere “donna” significa “essere me stessa”. Ci tengo a sottolineare che i libri di de Beauvoir e della Kollontaj li ho trovati nella biblioteca della mamma…

In questi giorni ricorre l’anniversario dell’uccisione di Falcone. Da palermitana forte di coscienza civica, cosa ricordi di quei giorni, e come vedi l’Italia attuale?

Della morte di Falcone ricordo il senso di abbandono che persisteva già da anni a Palermo e che nella sua fine fisica trovava un drammatico compimento. Alla morte di Borsellino ci riversammo tutti spontaneamente in piazza per urlare una rabbia compatta che denunciava un dolore senza precedenti. Fu una cosa intollerabile persino per chi aveva finito negli anni con l’adattarsi allo stato delle cose. Da allora non fu più possibile per nessuno chiudersi in casa e lavarsene le mani. Come vedo l’Italia attuale, invece… post-Renzi, con il contratto tra Salvini e Di Maio e la prospettiva di uscire dall’euro? Pur conservando molta fiducia nel discernimento degli italiani e nella loro capacità di reagire, mi dico che il peggio non l’abbiamo ancora visto.

Resta sorridente Manuela. Un’ombra indistinta le attraversa lo sguardo, senza rassegnarsi alla paura. Lo scatto è impercettibile ma, pensando alla madrepatria, la sua contagiosa allegrezza si oscura.

© Foto di Cristina Dogliani.

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A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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