Agata rubata: recensione del romanzo di Valerio Musumeci

Agata

È uscito a fine gennaio Agata rubata, il romanzo “visionario” pubblicato dall’editore siciliano Bonfirraro e firmato da Valerio Musumeci, giornalista catanese alle prese con un noir intrigante e, in un certo qual senso, precursore dei tempi.

Come a Napoli la città si raccoglie, per ben tre volte all’anno, intorno al suo Santo patrono, San Gennaro, in attesa del miracolo della liquefazione del sangue custodito nelle preziose ampolle del Duomo, così a Palermo gli abitanti del capoluogo siciliano si riversano nel santuario dedicato a Santa Rosalia, la patrona della città a cui è dedicata una grande festa, comunemente conosciuta come “il festino”.

È invece Catania la protagonista di questo romanzo di Valerio Musumeci, uscito di recente per le edizioni Bonfirraro, “Agata rubata”. Ed è Sant’Agata la Santa patrona di Catania co-protagonista di questo noir intrigante, la “Santuzza” tanto amata della città etnea a ridosso del vulcano più attivo d’Europa. Per il giovane giornalista Musumeci una prova letteraria superata a pieni voti, data la scorrevolezza appassionante del romanzo. Non manca una raffinata e composta reverenza nei riguardi di Andrea Camilleri, l’autore di riferimento per tutti i siciliani amanti della letteratura “in giallo”, a cui il compianto scrittore di Porto Empedocle ha dato un contributo decisivo e ormai imprescindibile per tutti coloro che osano accostarsi al sacro fuoco del racconto noir.

Agata rubata: la nostra recensione

È infatti un esilarante “giallo-noir” quello che Musumeci ha deciso di ambientare a Catania proprio nei giorni coinvolgenti della Festa di Sant’Agata, che viene annullata senza un perché. Un romanzo che, a ben vedere, potremmo definire “visionario” data la lungimiranza con cui ha previsto – in tempi non sospetti – quanto ancora a inizio 2020 sarebbe stato ancora bollato come “impossibile” e “lontano dalla realtà”: la sospensione di tutti i festeggiamenti legati alla Santa Patrona della città, in sé un’occasione di richiamo per tutta la provincia, nonché evento-simbolo di una stagione intera, nel labile confine sospeso tra religiosità e fanatismo. Giova sapere che il romanzo di Musumeci ha avuto un lungo periodo di “incubazione”: il giornalista vi lavorava infatti dal 2014, quando un annullamento della festa di Sant’Agata, così come di qualsiasi processione ad essa correlata, sarebbe stato inconcepibile. Solo nell’autunno 2020, quando l’accordo con l’editore Bonfirraro era ormai in fase di concretizzazione, l’autore ha invece visto “realizzarsi” quello che nel suo libro aveva garbatamente “romanzato” sei anni prima, con quel nobile sacro timore che tutti i fedeli riservano alla propria santa protettrice.

In “Agata rubata” succedono fatti strani. E su quegli episodi singolari, ma ripetuti, viene chiamato ad indagare Salvo Lanza, un giornalista assetato di verità, che vuole far luce sulla natura – a tratti esoterica – di alcuni di quegli eventi curiosi ed altrimenti inspiegabili. Sono questi i capisaldi del romanzo: Sant’Agata, la festa che non può tenersi e che pertanto può anch’essa esser letta come un “furto” subito dai cittadini credenti, ed il giornalista che ne insegue le gesta, invischiandosi entro e fuor di metafora nei vicoli e negli anfratti, non sempre baciati dal sole, della vulcanica città etnea.

Salvo Lanza è un giornalista perbene e accurato in cui ognuno che abbia a cuore la verità può facilmente riconoscersi. Difatti, egli è in tutto e per tutto figlio della città in cui è cresciuto e all’ombra di cui ha imparato a vivere, guidato dalla fame di giustizia e spesso imbrigliato nelle sabbie mobili del lecito, perplesso lungo la frontiera incerta che divide il bene dal male.

Quello di Musumeci è un romanzo che – come ci tiene a precisare l’autore, per vari aspetti vicinissimo al suo stesso protagonista – “non vuole raccontare la festa di Sant’Agata, ma semplicemente che è ambientato nei giorni della festa”. Un libro che fa tesoro della cornice temporale di un evento per “smontarlo” dall’interno, mettendo a nudo la città stessa che, tutt’a un tratto, si vede privata e defraudata della punta di diamante della sua programmazione socio-culturale. Un binomio inscindibile, quello tra la Santa patrona ed ogni catanese, così come ben mostrato sin dalla copertina. Creata dal giovane artista Luca Di Giovanni, l’immagine in essa riproposta è stata creata ad hoc per l’occasione e riprende l’iconografia classica della Santa (il vestito rosso, simbolo del martirio, il vassoio con i seni recisi), con la cattedrale di Catania sullo sfondo di un cielo stellato.

Un romanzo consigliato per chiunque abbia voglia di mettersi sulle tracce di bizzarri accadimenti lungo il crinale tra sacro e profano, giusto ed ingiusto, lecito e meno lecito, in una città che contiene al suo interno una moltitudine di contraddizioni e che rende il tutto più divertente, con punte sagaci di comico e colpi di scena, cambi repentini di punti di vista e lampi vari di squisito gusto “visionario”.

 

 

Fonte immmagine: Ufficio Stampa.

A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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