Beckett e il suo Film. Un silenzio visivo: il saggio

Beckett e il suo

Beckett e il suo Film. Un silenzio visivo è un saggio (di recentissima pubblicazione) scritto da Alberto Castellano e Filomena Saggiomo per Phoenix Publishing.

Il testo, che vuole ripercorrere e analizzare le fasi salienti e i significati critici del cortometraggio Film di Samuel Beckett, si sviluppa su assi plurimi, fra i quali la direttrice linguistico-semiologica e quello cinematografico-interpretativa.

Beckett e il suo Film. Un silenzio visivo: il testo di Alberto Castellano e Filomena Saggiomo

Dopo una premessa sulla genesi di Film «prima e unica esperienza o forse meglio avventura di Samuel Beckett […] un cortometraggio senza dialoghi, praticamente muto», Alberto Castellano si avventura, con fare lesto e destro, nel senso più profondo dell’opera di Beckett: partendo dalla constatazione sul titolo che sembrerebbe «richiamare l’attenzione dello spettatore anzitutto sulla sua forma», si ferma poi sulla riflessione analitica degli elementi salienti su cui è costruito il cortometraggio; viene, così, subito posta l’attenzione sulla vista, canale sensoriale privilegiato dal cortometraggio: «La colonna visiva viene per così dire annunciata dalla prima sequenza: un occhio che si apre. Primissimo piano dell’occhio, strumento e simbolo della percezione visiva»; la vista, quindi, elemento fondamentale e fondativo dell’opera cinematografica, non solo di Film ma delle pellicole stesse: l’occhio è, infatti, il soggetto ontologico d’ogni opera cinematografica, in quanto essa esiste finché c’è occhio disposto a guardarla e a prenderne, teatralmente, parte da spettatore ma anche da personaggio, per così dire, ulteriore, se consideriamo il coinvolgimento di questi nell’azione scenica. L’intuizione di Beckett, dunque (ed è su questa linea che la riflessione si muove maggiormente) rende Film un cortometraggio significativo sul fare cinema.

Le linee seguite da Alberto Castellano e da Filomena Saggiomo per lo sviluppo di Beckett e il suo Film. Un silenzio visivo, come si diceva, risultano plurime: innanzitutto una riflessione semiologica (nella prima parte del testo), poi ricostruzioni analitiche intorno all’opera di restauro della pellicola (a cui segue, intrecciandosi, un’intervista a Ross Lipman) e ancora un saggio acuto di Alberto Castellano sul testo e sulle implicazioni che esso porta con sé; nella terza parte, poi, un’appendice dà spazio a due idee di Antonello Paliotti, musicalmente “sui generis”.

Film fra silenzio, suono e vista

La vista è, come si è detto, il canale precipuo della comunicazione cinematografica: attraverso lo sguardo i fotogrammi che scorrono hanno ragione d’esistere; una pellicola muta può “prendere vita”, certamente – e la storia del cinema ci dimostra largamente che i silenzi sono parte integrante, se non fondamentale, imprescindibile, indiscutibile, di una pellicola ben fatta – ma una pellicola invisibile (cioè impercettibile all’occhio umano) è di per sé “priva di vita”: il nostro occhio al di qua dello schermo televisivo segue quindi indefesso i protagonisti al di là, un gigantesco occhio onnisciente che “grava” sulle attività dei personaggi, minuscoli, sotto il peso di quest’occhio indagatore – Cosa faranno  i personaggi? Chi sono? Chi incontreranno? Dove vanno? – che mai li lascia “liberi”, e non potrebbe farlo, altrimenti la pellicola non esisterebbe, cinematograficamente parlando; un po’ come vale con i libri: che vita avrebbero i personaggi se nessun occhio frugasse con la lettura nelle loro storie, che sono le pagine che compongono il testo?

Un discorso artisticamente visionario: è anche su questo che si interroga Beckett col suo Film e gli autori di Beckett e il suo Film. Un silenzio visivo.

Fonte immagine in evidenza: ufficio stampa

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