Canne al vento di Grazia Deledda | Recensione

Canne al vento di Grazia Deledda | Recensione

Canne al vento è il romanzo più celebre e conosciuto della scrittrice sarda Grazia Deledda.

Nata a Nuoro, nel 1871, Grazia Deledda è una scrittrice italiana rinomata in tutto il mondo e nei classici della letteratura, avendo anche vinto, nel 1926, il premio Nobel per la Letteratura: ella fu la prima donna italiana a riceverlo, e la seconda nel mondo dopo la scrittrice svedese Selma Lagerlöf. Ricevendo un’istruzione ed una preparazione altissima nella sua infanzia e gioventù, continuò il suo percorso letterario da autodidatta, appassionandosi sempre più alla cultura classica, divenendo un’abituale cultrice di letteratura greca. Trasferitasi a Roma, in cui poteva godere di vari salotti culturali impiantati in città, la Deledda si affermò come scrittrice, facendosi largo tra i suoi colleghi uomini, portando sempre alta la testa e il nome delle donne in letteratura.

Canne al vento di Grazia Deledda: un romanzo fragile

Canne al vento, dapprima pubblicato a puntate nel 1913 sul giornale dell’epoca L’Illustrazione Italiana, il romanzo di Grazia Deledda divenne ben presto un classico della letteratura italiana, letto e amato ancora ad oggi. Il soggetto principale dell’intera opera è la decadenza familiare di una benestante e antica casata sarda, la discendenza Pintor; raccolti nella piccola cittadina di Galte (Galtellì), i Pintor erano rigidamente comandati dal dispotico e fin troppo severo padre Don Zame: la dicotomia tra gli uomini della famiglia che andavano a lavorare e le donne che restavano in casa era imprescindibile e d’obbligo per tutti i componenti. Senonché, la terza delle figlie di Don Zame, Lia, fuggì via dalla casa paterna e portò scandalo nella casata Pintor per tutto il paese. Il padre, nel tentativo di raggiungere Lia, fu trovato senza vita, avvolto in un mistero che pian piano nelle pagine del romanzo si risolverà da solo. Ciò concerne una sorta di preambolo creato dalla scrittrice, nell’attesa della vera storia del romanzo, nella comparsa del figlio di Lia, ormai rimasto orfano, Giacinto, e la figura del servo di casa, Efix (Efisio), molto legato alla famiglia Pintor, e in particolare a Lia, il quale difatti gioca un ruolo di prima importanza nella vita della sfortunata figlia di Don Zame, ed in seguito con il resto della famiglia e le altre figlie rimaste nella decadente villa sul Cedrino.

In conclusione: una fotografia di Canne al vento

In Canne al vento Grazia Deledda dona una vera e propria fotografia della Sardegna dei primi anni del ‘900, diroccata e decadente, ancora attaccata alle dicotomie tradizionali, emanante, tuttavia, di una bellezza senza tempo. Nel suo realismo\verismo, seppur fortemente distaccato sia da Verga che dalla scuola naturalistica francese, la scrittrice premio Nobel cerca di rappresentare al massimo le difficoltà sociali e di genere del suo tempo, ma ciò che la rende diversa dagli altri veristi, naturalisti o realisti, è il dettaglio che inserisce nella fotografia, il quale si nota solo se si riesce ad ingrandire e analizzare l’immagine al meglio. Grazia Deledda conferisce ad ognuno dei suoi personaggi una grande dimensione psicologica interiore, esplica in modo perfetto la fragile consistenza dell’essere umano, come una canna al vento, per l’appunto, in grado di spezzarsi in ogni momento, ma che imperterrito, il più delle volte, continua solo a piegarsi, in tutte le disgrazie e disavventure della vita.

Fonte immagine: Amazon

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