Chi è Bertha Mason: la subalterna di Wide Sargasso Sea

Chi è Bertha Mason: la subalterna di Wide Sargasso Sea

Bertha Mason, il cui vero nome è Antoinette Cosway, è la protagonista del romanzo Wide Sargasso Sea (1966) di Jean Rhys. L’opera è un prequel del celebre romanzo vittoriano Jane Eyre (1847) di Charlotte Brontë. Identificata dalla critica come uno dei più evidenti esempi di subalternità nella letteratura postcoloniale, la sua è la tragica storia di una donna creola doppiamente oppressa, schiacciata tra le conseguenze del colonialismo inglese nella Giamaica del diciannovesimo secolo e le rigide norme patriarcali.

Bertha e Antoinette: il personaggio a confronto nelle due opere

Per comprendere appieno la riscrittura di Jean Rhys, è utile confrontare come il personaggio viene presentato nei due romanzi.

Bertha Mason in Jane Eyre (C. Brontë) Antoinette Cosway in Wide Sargasso Sea (J. Rhys)
È la “pazza nella soffitta”, un ostacolo animalesco all’amore tra Jane e Rochester. È la protagonista, una donna creola con una psicologia complessa, vittima delle circostanze.
La sua follia è presentata come un dato di fatto ereditario e una minaccia. La sua discesa nella follia è il risultato di traumi personali, oppressione coloniale e abuso patriarcale.
Il suo incendio finale è un atto di pazzia distruttiva, funzionale a liberare Rochester. Il suo gesto finale è riscritto come un atto di ribellione e tragica emancipazione.

Come nasce l’idea di dare voce a Bertha Mason

Rhys decide di conferire dignità alla “donna pazza della soffitta” che nell’opera originaria era stata deumanizzata a tal punto da associarle caratteristiche bestiali. Quello che spinse Rhys fu la realizzazione che il personaggio fosse troppo poco caratterizzato, quasi un mero espediente narrativo. La Bertha di Brontë è un pericolo, un ostacolo tra Jane e Rochester. Al contrario, Rhys approfondisce questo personaggio, narrando la sua vita dall’infanzia e mostrando come Antoinette Cosway venga trasformata in “Bertha Mason” per volere del marito.

Il tema dell’identità: la perdita di sé

L’identità è un tema ricorrente, legato alle dinamiche patriarcali e coloniali. Antoinette finisce per perdere consapevolezza di sé, e di conseguenza la ragione. Persiste nella narrazione l’identificazione attraverso un sistema di specchi: lei e la madre Annette necessitano di specchiarsi per riconoscersi, riflettendo il loro bisogno di essere viste in una società che le discrimina. Una volta privata dello specchio e isolata, Antoinette perde coscienza di sé, al punto da non riconoscere che il “fantasma” che infesta la casa è lei stessa. L’alienazione sia da parte della comunità nera (in quanto figlia di uno schiavista) che della comunità bianca (che considera i creoli inferiori), contribuisce alla sua crisi identitaria.

L’incendio di Coulibri, l’allontanamento dalla madre e la morte del fratellino segnano profondamente la psicologia di Antoinette. L’atto finale di dare fuoco a Thornfield, che in Brontë è visto come funzionale a caratterizzare Jane come un’eroina, in Rhys viene riscritto. L’incendio diventa il raggiungimento della sua emancipazione, possibile solo attraverso l’immolazione di sé e la distruzione di quelle mura che la imprigionavano. Un atto di ribellione del “subalterno”, concetto analizzato a fondo dalla critica postcoloniale, come ad esempio da Gayatri Spivak.

Il rapporto con Rochester: oppressione patriarcale e coloniale

Bertha Mason è il nome che il marito le impone, in una dinamica di potere che fonda il loro matrimonio. Edward Rochester sposa Antoinette solo per il suo denaro. In questo modo, non solo eredita la sua dote, ma la subordina a lui. Il suo atteggiamento riflette quello dell’uomo bianco colonizzatore. Bertha viene da lui vista non come una persona, bensì come un oggetto di sua proprietà. Antoinette tenta di ribellarsi, ma allo stesso tempo cerca di compiacerlo, provando ad assomigliare a una donna inglese, ma i suoi tentativi sono vani.

La deumanizzazione di Antoinette è evidente. Rochester teme che i tratti somatici di lei possano rivelare che non sia interamente bianca. Nutre nei suoi riguardi una fascinazione per “l’esotico”, ma disprezza la sua lingua madre, il patois francese, che considera inferiore all’inglese, lingua della civiltà. La sua possessività è chiara nel linguaggio. Anche quando la crede pazza e non la ama, insiste nel considerarla sua; nel momento in cui Bertha si ribella, Rochester ribadisce: «è pazza ma è mia, mia». Egli usa la presunta tara ereditaria della follia per rinforzare le sue visioni imperialiste e patriarcali, legittimando così la sua oppressione su di lei.

Fonte immagine: BBC

Articolo aggiornato il: 07/09/2025

 

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Studentessa di lingue e letterature straniere, appassionata di musica, letteratura, cinema e politica.

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