Di fango e di rose, di Giorgio Montanari | Recensione

Giorgio Montanari

Il nuovo romanzo di Giorgio Montanari, Di fango e di rose, è stato pubblicato dalla casa editrice IoScrittore, ed affronta la vita sofferta del grande poeta Dino Campana

Il fango, le rose. Sono elementi essenziali della natura quelli evocati dal titolo del nuovo libro di Giorgio Montanari, professore, scrittore e pittore nato a Verona ed ora residente a Desenzano del Garda, in provincia di Brescia. Perché anche la geografia ha una certa importanza in questa nuova biografia romanzata del poeta Dino Campana, le cui vicende esistenziali ed i cui scritti tormentati sono arrivati anche al grande pubblico grazie al film del 2002 “Un viaggio chiamato amore”, diretto da Michele Placido.

Chi ha visto questa versione cinematografica non potrà fare a meno di immaginare Dino Campana con il volto di Stefano Accorsi, mentre il suo amour fou, Sibilla Aleramo, assumerà presumibilmente le sembianze di Laura Morante. Il romanzo di Giorgio Montanari lascia liberi di spaziare con la fantasia senza dimenticare le foto d’epoca, mentre con uno stile distinto ricostruisce l’amore difficile tra il poeta romagnolo e la scrittrice alessandrina. 

Giorgio Montanari e il suo romanzo

Il sottotitolo del libro suona volutamente accattivante: Dino Campana e la tragedia del manoscritto perduto. Pagina dopo pagina, si cammina con Dino per i suoi boschi, i paesaggi che conosce a menadito ed attraversa, ascoltando il rumore dei suoi passi, dormendo dove capita.  

Dino Campana non si sente a casa da nessuna parte. I suoi vestiti sono logori e patisce i morsi del freddo, ma in tasca ha un manoscritto. È quel manoscritto la sua ragione di vita, un vero e proprio atto d’amore verso la poesia. Per questo ha lasciato la sua casa natale e un padre e una madre che non lo capiscono, a tratti lo odiano, di certo lo osteggiano. Per questo Dino sente il dovere di andare a Firenze e mostrare il frutto della sua passione al mondo dei letterati.

Il più lungo giorno: così si intitola il manoscritto tanto caro a Dino Campana e rievocato in questo romanzo di Giorgio Montanari. Un manoscritto che purtroppo andrà perduto e che il poeta riscriverà a memoria. È proprio qui che prende forma il proprium della biografia di Montanari: perduto il manoscritto, forse proprio per sottolineare che una vita non può ridursi ad un solo componimento scritto, Di fango e di rose racconta invece la storia di Dino, un uomo innamorato, pervaso da una forza che nemmeno lui conosce fino in fondo, ma che lo spinge ad andare sempre oltre. Fino a scontrarsi con il mondo falso degli intellettuali, uscendone con le ossa e l’anima rotte ma trovando l’amore di Sibilla Aleramo, l’unica che l’ha riconosciuto per quello che era.
Per molti Dino Campana fu un folle. In Di fango e di rose non è descritto come un pazzo, ma come poeta con la P maiuscola, un poeta a cui solo il tempo renderà un domani giustizia.
Di fango e di rose è un romanzo in cammino che segue la lunga corsa di Dino Campana dietro a qualcosa che lui stesso chiamerà con l’unico nome possibile: la Chimera.

Molto bella, in particolare, la citazione in apertura del romanzo. Versi di Camillo Sbarbaro che recitano: “… se lo riprese il malo vento che lo cacciava pel mondo”. Versi che raccontano il triste destino del povero Dino, perduto a sua volta dietro una chimera inafferrabile e che alla fine avrà la meglio sul suo labile equilibrio psichico, ma non sul lascito poetico del suo vissuto. 

Una buona prova per Giorgio Montanari, forse leggermente meno potente rispetto al romanzo precedente dedicato ad Artemisia Gentileschi, Le stanze segrete del cuore. Insieme a Di fango e di rose, entrambi i libri confermano comunque l’intento ben riuscito dell’autore: raccontare luci ed ombre delle vite di un’artista e di un poeta, ripercorrendone le tracce nei luoghi da loro effettivamente visitati e “vissuti”, come posti geografici che hanno poi avuto un epilogo esistenziale al di là della carriera e della fama da entrambi raggiunte. 

In quindici capitoli scritti in maniera piana e asciutta, Giorgio Montanari descrive Dino Campana come un uomo fatto “di fango e di rose”. Non è un caso che il primo capitolo sia intitolato proprio “L’uomo”, mettendo in tal senso in rilievo che dietro il poeta che sarebbe diventato c’era l’uomo che Dino Campana (ancora) non era pienamente stato. Viene così seguito nel suo percorso di vita, fatto anch’esso “di fango e di rose”: da Scandicci a Firenze, col suo manoscritto perduto ricostruito a memoria.
In Di fango e di rose viene affrontato il rapporto difficile con i genitori e con gli intellettuali del tempo, tutti “sciacalli” in cui egli vedeva dei nemici, fino al punto di svolta: “Sull’orlo dell’abisso, poi l’amore, all’improvviso”. Di qui in poi la parabola poetico-umana è quasi compiuta. “Sibilla mi scrive: cosa vuole?”, poiché all’inizio Dino ha paura anche – e soprattutto – dell’amore. Un amore che “la sera si veste di velluto”. Ma l’idillio dura poco. Sprofonda ne “L’abisso”. Arriva poi, laconica, “La fine”. Soltanto chi ne leggerà i versi e andrà oltre di essi vedrà apparire in tutta la sua sempiterna bellezza “La luce dopo le tenebre”. Contrasti svolti sul filo degli estremi: proprio come dal fango ci si può ripulire, così non esiste nessuna rosa che non abbia le sue spine. 

A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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