Giovanni Tizian e il suo libro-inchiesta “Rinnega tuo padre” (Recensione)

Giovanni Tizian

«Peppino, Peppino / dai i tuoi occhi al cuore / un padre e un figlio con un solo abbraccio / squarciano il tempo, vanno oltre lo spazio / cani randagi nella notte scura / la vita no, non fa paura». Rinnega tuo padre comincia con un esergo musicale. Il libro-inchiesta edito da Laterza di Giovanni Tizian, coraggioso giornalista de “L’Espresso”, allontanatosi dalla “Gazzetta di Modena” perché i suoi articoli avevano disturbato un signorotto del crimine che minacciò di volergli «sparare in bocca». Versi tratti da una canzone di Venditti che chiamano a gran voce un nome e lo associano alla storia di Peppino Impastato, altro figlio tristemente illustre che fece in vita ciò che il libro di Tizian dice sin dal titolo: rinnegò suo padre. Circa trent’anni fa un altro “Peppino” fu ucciso in Calabria, senza che ancora nulla si sappia dei mandanti dell’omicidio o dei suoi esecutori materiali. La vittima si chiamava Giuseppe Tizian.

«Questo libro raccoglie le storie di figli allontanati dalle famiglie di ‘ndrangheta su ordine del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria»: sono le prime parole inserite a mo’ di “Nota dell’autore”, come introduzione al testo di 208 pagine, suddiviso in 18 capitoli, pubblicato nel giugno del 2018. Ogni capitolo narra una storia: la prima e l’ultima hanno lo stesso nome, «Rocco», e descrivono un bambino diventato adulto troppo in fretta, respirando “‘ndrangheta e piombo“. Un bambino a cui fu intimato: «La devi ammazzare. Due colpi nella faccia di quell’infame di tua mamma e chiudiamo ‘sta tragedia una volta per tutte. Devi farlo tu. Con l’età che c’hai non andrai in galera». Un figlio a cui fu ordinata, tra tutte le cose, la più innaturale. Di sparare a chi lo mise al mondo, di uccidere sua madre.

Civico 404, si intitola il secondo capitolo, e si riferisce al numero da cercare sul Corso principale di Reggio Calabria ed al piccolo ufficio che vi è ubicato, diretto dal giudice Roberto Di Bella, “non un eroe, ma un onesto e riservato servitore dello Stato“. Nel 2012 viene firmato un protocollo d’intesa tra Tribunale dei minorenni e Procura della Repubblica sull’allontanamento dei minori dalle famiglie mafiose: «la soluzione estrema è allontanare i figli dal nucleo familiare. Il giudice Di Bella preferisce definirlo in altro modo: “Allontaniamo i boss dai loro figli” […]. I figli sono un tesoro inestimabile per gli ‘ndranghetisti. Per questo li considerano loro proprietà. Sono la certezza del futuro. Togliergli i figli vuol dire dissanguarli».

Come provocare un’emorragia alla ‘ndrangheta, come organizzare una rivoluzione silenziosa sottraendo del sangue non ancora impuro ad un sangue del tutto infetto. Chi viene allontanato da chi e da che cosa: Giovanni Tizian ricostruisce meticolosamente le storie in trincea che dalla Calabria si estendono al resto d’Italia, sostenute dall’Associazione “Libera contro le mafie“, spiegando in maniera cristallina in che consiste l’educazione ‘ndranghetista, cosa sono le ‘ndrine, le affinità e differenze con mafia e camorra, la genesi del verbo ‘ndranghetiare, ovvero il comportarsi come un uomo della cosca.

E spesso lo fa raccontando la storia di chi ha deciso di comportarsi altrimenti. Di essere libero, altrimenti. Di infrangere il tabù del “sarà sempre così”. Di denunciare le vessazioni subite, come Maria Concetta Cacciola, Francesca, Lea Garofalo, Anna Maria Scarfò: testimonianze raccapriccianti raccolte sotto il titolo meno destabilizzante di “Ragazze tra paura e coraggio“. Di capire il meccanismo e volersene redimere, come Micu Mc Donald, un “Domenico” che “la strada giusta” l’ha trovata a quasi trent’anni, quando è in galera e si pente, e scopre di amare la cultura, e, senza presunzione, la Giustizia.

Giovanni Tizian e la sua Calabria in Rinnega tuo padre

«Micu Mc Donald non ha figli da salvare. Si è pentito per dare un futuro a sé stesso. Ha comandato, quando gli avevano detto che era giunto il suo momento. Ha ucciso, quando si è trasformato in ciò che i padrini desideravano. Si è meritato il carcere e ora lo sta scontando. Ora, però, nessuno deciderà più per lui. Come nel più onirico degli ossimori, ha trovato la sua libertà tra le pareti fredde della cella di un carcere».

Anche Alfonso si è messo a studiare, si interessa alla vita, parla di un sapere che rende liberi ed ha eletto Il piccolo principe a suo libro del cuore: «la gentilezza sembra scomparsa, così come il rispetto dell’altro. Voglio che i ragazzi sappiano che le scelte che compiono oggi ricadranno sui loro figli domani. Non ci sono soldi che possano giustificare la vita criminale. Studiare è l’unica fonte di libertà». C’è da ritornare alla dimensione umana ed ammettere che, in sé, non è un delitto sbagliare, che vivere lontani da un percorso tracciato ha un suo senso, purché deliberatamente scelto. Ci si può piegare, ma non spezzare.

Giovanni Tizian tiene molto alla sua Calabria: la descrive martoriata dall’abusivismo, dai magazzini di coca nei palazzotti di cemento, ma sempre e comunque accarezzata dal mare. Fa sua l’immagine dello scorrere, di quanto un voler interrompere possa o non possa arrestare. La vita non ha niente a che fare con il ricatto del bisogno, o la dialettica malata dell’obbedire e del comandare. Come in un coro a due voci, a rispondere alle note del “Peppino” di Venditti citate in apertura viene chiamato Lucio Dalla: Certo / chi comanda / non è disposto a fare distinzioni poetiche / il pensiero come l’oceano / non lo puoi bloccare / non lo puoi recintare / così stanno bruciando il mare / così stanno uccidendo il mare / così stanno umiliando il mare / così stanno piegando il mare.

 

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A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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