Giovanni Toro e la Storia degli effetti speciali: dai fratelli Lumière ad Avatar (Recensione)

Giovanni Toro

Che cos’è l’effetto speciale? Quando nasce e come riconoscerlo in un film? Giovanni Toro, generalist della comunicazione visiva, ce lo spiega nel saggio Storia degli effetti speciali edito dalla Nicola Pesce.

La magia che il cinema crea ci rapisce per la storia di un film o l’immedesimazione che regista, attori, sceneggiatura e ambientazione riescono a farci sentire da spettatori; l’azione di una trama avvincente, l’emozione che suscita una scena sentimentale o la crudezza e il palpito che ci trasmette la drammaticità di un momento scenico; ma molti, soprattutto chi non è avvezzo a quelli che sono i tecnicismi di un prodotto cinematografico, il dietro le quinte o making of, non riescono a percepire che tutto ciò può essere dovuto a quelli che vengono chiamati effetti speciali, inizialmente chiamato in gergo “trick”.

L’autore di Storia degli effetti speciali, breve saggio ma pieno di contenuti che attraversa lo sviluppo di questo settore del cinema, è Giovanni Toro: laureatosi in Scienze della Comunicazione, Media e Pubblicità con una tesi sugli effetti speciali, ha creato diversi lavori audiovisivi e multimediali come documentari, reportage, video promozionali, videoclip, motion graphic, piccoli videogames didattici, siti web e cortometraggi.

Dal 1895 al giorno d’oggi: Storia degli effetti speciali di Giovanni Toro

Partendo dai fratelli Lumière che nel 1895 allestirono a Parigi il primo spettacolo cinematografico, ai quali quindi si deve la nascita ufficiale del cinema (o ancor prima dal teatro delle ombre, dalla “lanterna magica”, il fenatoscopio e simili, che solitamente vengono annoverati nella categoria del protocinema), Toro attraversa i vari decenni e i film più significativi che hanno decretato lo sviluppo della tecnica cinematografica, un percorso parallelo, necessariamente, con la crescita del settore, grazie alle nuove tecnologie e alle innovazioni in questo campo che hanno portato il cinema ai livelli di intrattenimento attuali.

Ma fu solo qualche tempo dopo che l’illusionista Georges Méliès, comprendendo il potenziale di tale scoperta, inventò quelli che furono definiti i primi trucchi cinematografici; certo si trattarono più che altro di esperimenti dovuti la maggior parte dei casi a scoperte fortuite ed accidentali, ma che diedero le basi per quello che noi oggi definiamo cinema. Infatti il prolifico cinemago, così definito, fu il padre di alcune tecniche cinematografiche tra le più note, come il mascherino:

si tratta di impressionare la pellicola in due momenti distinti: nella prima fase si occulterà una parte di nastro con un mascherino di colore nero (un cartoncino, un pezzo di stoffa, una parte dipinta, ecc.), in modo che la luce non raggiunga mai la superficie della pellicola; […] nella seconda fase, la pellicola viene riportata indietro esponendo adesso la parte non impressionata, mentre si protegge, con un altro mascherino, quella appena registrata”.

Da questo espediente usato ne Le portait Mysterieux (1889) l’illusionista abbandona l’illusione teatrale per inserirsi a pieno titolo nel cinema, quello che è ai primordi del cinema attuale e diverso invece dalle rappresentazioni dei Lumière, i quali si concentrarono esclusivamente sulla registrazione di scene di vita vissuta.

Fecero seguito la dissolvenza, la stop motion, il travelling matte, il matte painting o il time-lapse, tecniche che sono accompagnate da Toro con immagini esplicative ed utili, e di film pionieri della storia del cinema, quali King Kong, Il mago di Oz del 1939, 20.000 leghe sotto i mari, Ultimatum dalla Terra, I dieci comandamenti di DeMille, La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, il cui movimento di camera a retrocedere nella famosa scena del campanile fu usato negli anni Settanta in Lo Squalo di Spielberg, un altro grande regista che fa degli effetti speciali un imponente bagaglio della sua filmografia.

Gli anni ‘60: il colosso della Walt Disney e il cinema di fantascienza

Fu in questi anni che le tecniche migliorarono di pari passo con lo sviluppo del cinema, e Toro non può non citare film quali Un professore tra le nuvole o Mary Poppins, Pomi d’ottone e manici di scopa, Elliott il drago invisibile, film che diedero alla Disney Production un posto tra gli dei degli effetti speciali:

una delle novità inventate dai tecnici della Disney fu un nuovo metodo chiamato yellowscreen. Per aggirare le difficoltà sempre presenti con uno sfondo blu, i tecnici pensarono di riprendere i soggetti davanti a dei pannelli bianchi illuminati da potenti lampade al sodio”.

L’altra novità fu quella di avere dato la vita a film che per la prima volta videro l’interazione tra cartoni animati e personaggi reali in un così alto numero di scene (una consuetudine che fu ripresa in modo sublime nel 1988 da Robert Zemeckis con Chi ha incastrato Roger Rabbit?).

Giovanni Toro identifica poi il 1968 come un anno fondamentale, che fece da “spartiacque” fra il vecchio e il nuovo effetto speciale, in cui la sperimentazione diventa finalmente cinema; e lo si deve ad un film che viene da Toro preso a pioniere di quel genere fantascientifico così prolifico di lungometraggi nel decennio successivo: 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick basato su un soggetto di Arthur C. Clarke.

La fantascienza così diventa un pretesto per raccontare la profondità di ciò che un film può trasmettere allo spettatore, “dove gli effetti speciali vengono rinnovati e ripensati”. Ricordiamo velocemente la tecnica del front projection o quella del rotoscoping matte (che consisteva nello scontornare gli oggetti uno ad uno ottenendo una resa migliore) o la tecnica di ripresa a doppio passaggio per rappresentare in maniera realistica le scene spaziali e della celebre astronave Discovery, trucchi sapientemente e con diligenza spiegati da Toro. Il film rimase ineguagliato fino all’arrivo di un cult cinematografico e successivi della serie, Star Wars di George Lucas.

Arrivano così negli anni Ottanta gli effetti digitali (o visual effects) che, grazie alle nuove tecnologie e ad un uso maggiore, se non unico, del computer per realizzare gli effetti speciali, che dà vita a nuove tecniche quali il morphing: permette di convertire un’immagine in un’altra effettuando una transizione fluida tra quelli che sono i tratti caratteristici di due rappresentazioni visive” (per gli appassionati di Star Trek non sarà difficile ricordare la scena in cui un alieno prenderà le sembianze del capitano Kirk).

Giovanni Toro dedica il giusto spazio nel corso del libro anche a diverse “effects house” che furono i promotori delle innovazioni più importanti e che cambiarono il business cinematografico, come la ILM, la Pixar, la Dreamworks o la Weta Digital di Peter Jackson; una carrellata veloce del cinema degli anni ‘90 ricorda film quali Terminator, La morte ti fa bella, Forrest Gump, dove come in molti altri film contemporanei, gli effetti speciali vengono utilizzati non per sorprendere lo spettatore (di genere quindi fantascientifico) o per ottenere la consapevolezza di esso (quelli che sono gli effetti visibili), ma per essere utilizzati come parte della storia e addirittura manipolarla: famosa è la scena in cui Forrest stringe la mano al Presidente J. F. Kennedy, un effetto ottenuto usando un reale filmato del presidente che stringe la mano ad una donna, cancellata e sovrapposta con l’immagine di Tom Hanks grazie al bluescreen. Come dimenticare inoltre intere scene del Titanic di James Cameron che utilizzano tale tecnica?

Ma come identificare l’effetto speciale? Come individuarlo? Giovanni Toro conclude Storia degli effetti speciali introducendoci alla semiotica del cinema, un utile percorso per i neofiti e che aiuta a comprendere la ricerca, l’innovazione di questo mondo, che non sta solo nella buona riuscita di una storia o nella bravura del cast o della regia; un percorso di sottofondo forse molte volte messo in disparte ma così fondamentale per quella che è la crescita della storia del cinema.

Ilaria Casertano

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A proposito di Ilaria Casertano

Nata a Napoli, laureata in Filologia moderna alla Federico II, giornalista pubblicista, social media manager. Ama i libri insieme alla scrittura, il giornalismo che pratica da anni, il disegno, ma più di tutto il cinema. Sogna di viaggiare, dovunque.

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