Recensione de Il rifugio, il thriller di Tana French edito Einaudi
In tutte le librerie dal mese di maggio Il rifugio, il nuovo entusiasmante capitolo della serie edita Einaudi dell’autrice statunitense Tana French sulla squadra omicidi della polizia di Dublino (Nel bosco, Il collegio, L’intruso), un romanzo avvincente e ben strutturato che mette d’accordo gli amanti del thriller e quelli delle investigazioni alla Law & Order e tiene il lettore col fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina.
Al centro delle vicende raccontate nel romanzo – che coprono un lasso temporale piuttosto breve ma che vede un’evoluzione nei protagonisti – un crimine terribile ed inspiegabile che unisce lavoro e vita privata, il presente con un passato sepolto dal dolore. Teatro delle tragiche vicende e forse vero protagonista del racconto, un luogo che sa parlare all’anima fragile, alle paure e ai rimorsi nascosti dietro all’apparenza forte e pragmatica dell’investigatore Michael “Scorcher” Kennedy: Broken Harbour, quella che un tempo era la ridente località di villeggiatura in riva al mare della classe media irlandese, con villini a schiera abitati da allegre famigliole con bambini, divenuto in seguito alla crisi economica un luogo squallido e spettrale, ricco di villini in costruzione e mai terminati, o di villini acquistati ed ormai impossibili da vendere e dunque lasciati in stato di abbandono, in preda alle ingiurie del tempo.
In un villino all’apparenza ridente, un’oasi felice in mezzo a vialetti dove l’erba cresce alta ed incolta, vive la famiglia Spain: Patrick, Jenny ed i loro figli Emma e Jack. Una giovane coppia affiatata, insieme fin dagli anni del liceo, con un buon lavoro ed una bella casa, due bellissimi figli biondi e allegri: un ritratto familiare idilliaco, troppo perfetto per sembrare reale, di una bellezza troppo luccicante per non essere artificiosa.
È ciò che pensa Michael Kennedy quando, giunto sulla scena del delitto, che è anche il luogo di memorie infantili dolorose e sepolte, trova davanti ai suoi occhi una scena che pare raccapricciante anche ad un detective consumato, e che turba profondamente il suo più giovane partner, inesperto ma molto acuto ed empatico, Ritchie Curran: Patrick giace riverso sul pavimento in una pozza di sangue, sua moglie è accanto a lui, gravemente ferita ma, inspiegabilmente, ancora viva. Al piano superiore, i due bambini sembrano riposare sereni nei loro letti, ma sono già immersi nelle profondità di un sonno eterno dal quale non si sveglieranno mai più.
Se tutto, meno che le testimonianze dei parenti e degli amici che descrivono i coniugi come una coppia molto unita anche dopo la perdita del lavoro di Patrick, esclude la presenza di un quinto attore sulla scena e dunque lascia pensare ad un crimine passionale, troppi elementi distraggono gli investigatori: una cronologia web maldestramente cancellata, troppi baby-monitor sparsi per la casa e soprattutto degli anti-estetici buchi nelle pareti che stonano in un villino curato fin nei minimi dettagli.
Sarà compito dei detective Kennedy e Curran, attraverso lunghe investigazioni sul campo ed estenuanti interrogatori, svelare il mistero di Broken Harbour: Michael, con una tragedia nel passato che cerca di seppellire nella propria coscienza, un matrimonio fallito alle spalle e la solida convinzione che ogni delitto abbia una spiegazione razionale ed una responsabilità umana tanto nei carnefici quanto nelle vittime, perché nessuno, a suo dire, viene ucciso senza un motivo; Ritchie, un giovane delle periferie che non ha ancora un’idea così chiara del mondo e il cui apporto nel caso verrà proprio da questa sua flessibilità nelle opinioni, che non cercano di appoggiarsi su schemi preconfezionati ma invece svelano le contraddizioni del reale, che è ben più complesso di qualsiasi esempio da manuale, perché il male rifugge ogni logica. Un’evidenza che, nel corso del romanzo, appare a Michael, convinto razionalista, come un’epifania improvvisa, che esplode con una forza tale da non poterla più ignorare né cercare di incasellare in una realtà fredda e schematica.
Il punto di forza del romanzo di Tana French è senz’altro nella caratterizzazione dei luoghi e dei personaggi: dei luoghi, nel delineare il ritratto di una periferia grigia, un tempo ridente promessa di un’economia fiorente che appartiene al passato, e dei personaggi, nel caratterizzare i due detective, personaggi agenti del romanzo, e nel delineare il ritratto di una famiglia – sempre raccontata attraverso le voci dei loro cari e la loro casa, il rifugio che svela moltissimo dei propri abitanti, e mai davvero agente nel romanzo – che ha subíto lo stesso destino, la stessa parabola discendente di Broken Harbour, ed è appassita, si è ripiegata su sé stessa in silenzio, cercando con tutte le proprie forze di mantenersi a galla e preservare almeno una platinata apparenza di benessere, schiava del peso attribuito allo sguardo giudicante del mondo, nonostante le drammatiche conseguenze della crisi economica.
Ne emerge una visione del reale totalmente pessimistica ed in totale contrasto con le teorie meccanicistiche e razionalistiche del detective Kennedy, dotato di un’intelligenza acuta ma matematica, che fa di lui un ottimo detective ma un uomo che non ha compreso fino in fondo l’irrazionalità che governa il mondo. Un mondo governato da un sistema economico, quello capitalista, in cui non sempre si raccoglie ciò che si è seminato, che può condurci a sbagliare nonostante si stia perseguendo la retta via, che instilla negli uomini desideri sempre più urgenti e pressanti che promettono una felicità sicura e a buon mercato e, mentre lo fanno, scivolano già via, dimenticati, come dimenticate sono quelle promesse.
Emerge dal romanzo di Tana French il ritratto di una generazione disillusa, sconfitta, mai abbastanza, fragile quanto l’ungarettiana foglia autunnale in balìa del vento impetuoso dell’economia.
Un romanzo avvincente ed amaro, che travalica i confini del genere per indagare con una critica profonda il nostro sistema economico e sociale.