Jáchym Topol – L’officina del diavolo | Recensione

Jáchym Topol

Lo scrittore ceco Jáchym Topol indaga il rapporto col nostro passato nel suo romanzo breve L’officina del diavolo.

Perseguitato dal demone della storia e in particolare degli eventi orribili legati all’ascesa dei totalitarismi in Europa centrale e orientale, lo scrittore ceco Jáchym Topol indaga il rapporto col nostro recente passato nel suo romanzo breve L’officina del diavolo, pubblicato da Zandonai nel 2012. Lo scrittore decide dunque di ambientare il proprio romanzo a Terezín e a Chatyn’, due luoghi della memoria, ambienti privilegiati in cui avere un contatto diretto con la storia, che rappresentano la testimonianza tangibile di un passato tragico.

L’officina del diavolo, trama

Nel romanzo di Jáchym Topol alcuni giovani abitanti di questi luoghi, tra cui il narratore, decidono di reagire a modo proprio alla ferita lasciata dai genocidi e dalle deportazioni e cercano di costruirsi un futuro sfruttando il passato. Pensano quindi di istituire un proprio museo all’aperto dei totalitarismi per non perdere la memoria dei crudeli eventi passati. La macabra curiosità, o meglio il feticismo dei visitatori, perlopiù provenienti dal mondo occidentale, viene soddisfatta in tutto e per tutto. Il museo si arrende in breve tempo alle leggi del capitalismo e gli abitanti cercano di fare più soldi possibili sfruttando il concetto di memoria. Come è facile immaginare, la situazione sfugge ben presto di mano ai protagonisti. L’atmosfera spensierata e naif del collettivo di ragazzi cede il passo alla furbizia e al tornaconto personale. L’estremizzazione del macabro viene incarnata dall’ambizioso progetto di costruzione del museo di Chatyn’in Bielorussia, che sembra proprio un’idea partorita dal diavolo stesso. Ma è proprio tra i bunker, le camere di tortura e i morti parlanti che il narratore capisce che esistono confini da non oltrepassare.

I dialoghi asciutti rispecchiano l’insensibilità e l’indifferenza dei protagonisti di fronte ad eventi che sembrano lontani nel tempo, qualcosa di astratto che non li tocca nel profondo.
Jáchym Topol riesce in modo cinico, brutale, grottesco e ironico a denudare le contraddizioni insite nel concetto di memoria e storia nel mondo contemporaneo. Lo fa toccando concetti opposti e sempre attraenti per il lettore, come quelli di Occidente e Oriente, passato e presente, capitalismo e comunismo. Ma valgono ancora questi concetti? Le ideologie in declino sembrano non importare più nel mondo contemporaneo e i giovani, più che sottostare alle regole del mondo passato, si divertono a cambiarle.

L’industria della memoria per Jáchym Topol

La trasformazione di luoghi simbolo in appetibili mete del turismo di massa è già in atto in Europa centro-orientale, ed è testimoniata dal numero crescente di visitatori annuali. Il tema dell’industria della memoria occupa un ruolo di primo piano nel romanzo di Jáchym Topol. Il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz è uno dei musei più visitati dell’Europa. Sollevare dubbi sulla legittimità di sfruttare questi luoghi anche per fini commerciali è lecito. Se da un lato tutti concorderanno nel giudicare giusto il ricordare i crimini commessi contro l’umanità nel passato, più spinoso risulta il capire come farlo. Esiste forse un modo sbagliato di mantenere viva la memoria del passato?

Immagine in evidenza: Wikimedia commons

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