Immaginate di svegliarvi una mattina e trovarvi in un corpo che non è il vostro. Vi siete “transessualizzati” involontariamente. Provate anche a darvi un pizzico, ma niente, non si tratta di un sogno, è la realtà. Questo è ciò che accade al nostro protagonista: il trentenne Guglielmo Sputacchiera, un incel della peggior specie.
L’autore
L’autore è Alberto Ravasio, vincitore della XXXIV edizione del premio Italo Calvino, che grazie ad una prosa “alta e forse anche piuttosto alticcia”, riesce ad immergerci in una storia paradossale, tragica e comica allo stesso tempo.
La trama del romanzo di Alberto Ravasio
Guglielmo Sputacchiera è il ritratto emblematico del reietto: vive ancora con i genitori che lo trattano come un virus che infesta casa, un freak da tenere nascosto nel seminterrato; ha vagato tra le diverse facoltà umanistiche perché “se doveva fallire, lo avrebbe fatto circondato da donne”; passa le sue giornate sul web esplorando, per mezzo di un metodo rigoroso da lui ingegnato, la pornografia contemporanea.
Eppure, assuefatto ormai a questa vita, la sua “quiete” sarà turbata quando un giorno lo specchio riflette un corpo simile proprio a quello che quotidianamente brama sullo schermo del pc nelle sue porno-routine: Guglielmo Sputacchiera si trasforma in un “donno”. Deciderà di chiamarsi Carmela Pene (è evidente la citazione al maestro Carmelo Bene). È a partire da questo momento che si sviluppano le avventure del nostro “transessualizzato” protagonista.
Una storia “fantozziana”
La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera potrebbe essere definito il Fantozzi dei millennials. Sputacchiera rappresenta il figlio di una tipica famiglia del proletariato arricchito, che tenta di ascendere socialmente con la cultura, conscio del fatto che “Ancora prima di iscriversi all’università uno sapeva che non avrebbe trovato lavoro perché c’era la crisi, e ancora prima di trovare lavoro uno sapeva che non sarebbe stato fisso, perché c’era crisi, e se anche fosse stato fisso non ci sarebbe mai stata la pensione, perché c’era la crisi”. Proprio come in Fantozzi tutti i personaggi sono grotteschi ma estremamente realistici: La madre di Sputacchiera è una donna con problemi psichiatrici, disoccupata e casalinga, tenuta in casa dall’ “allucinazione collettiva chiamata povere” e Il padre, sempre stato un grande lavoratore sin dall’infanzia, non conosce altri posti al di fuori della fabbrica.
Proprio come in Fantozzi, riusciamo a cogliere il tragico in ogni sorriso che l’autore riesce a catturarci. Ogni momento paradossale è accompagnato sia da una risata e sia da un momento di riflessione.
Vi è però una grande e sostanziale differenza: Fantozzi con le unghie e con i denti sgomita nel grigio mondo del lavoro da ragioniere, cercando in tutti i modi di migliorare, di ottenere promozioni, ovviamente senza mai riuscirci. Guglielmo Sputacchiera invece, si lascia alla strada dell’inettitudine, diventa uno scarafaggio in casa propria. Pagine su pagine raccontano l’insoddisfazione del protagonista, e indirettamente di migliaia di giovani nati con false promesse di successo, sogni sbarrati e possibilità inesistenti. Il cosiddetto proletariato colto: un gregge di “pigiamati e depressi”, alla ricerca di un futuro perduto sin dalla nascita.
Un libro da leggere
La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera è un libro da leggere assolutamente. Il ritratto che l’autore dipinge della generazione post-berlusconiana, il modo in cui la sessualità viene trattata, il racconto di un’Italia triste e incapace di offrire possibilità ai giovani, fanno di questo testo un piccolo capolavoro.
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