Rollin’ and Tumblin’ – Vite affogate nel blues di Roberto Menabò è un volume pubblicato nel 2015 da Arcana Edizioni che, a distanza di anni e di ristampe, continua a confermarsi un interessante punto di partenza per coloro che ambiscono ad addentrarsi nel mondo adombrato, torbido e luccicante, della musica del diavolo.
Rollin’ and Tumblin’ – Vite affogate nel blues: recensione
L’opera del musicista-insegnante-scrittore Roberto Menabò propone una quarantina di brevi capitoli che sembrano ricomporre pagine strappate alla memoria più intima del popolo afroamericano, secondo una lettura cruda, ironica, leggera e drammatica, a tratti fumettistica se non cinematografica. È capace di ritrarre virtù e soprattutto vizi di numerose leggende del blues, senza inciampare — come anticipa Vincenzo Martorella, imponente esperto del genere nonché autore della prefazione al volume — in un inopportuno bluesically correct.
La lista è alquanto nutrita: si parte dal canto di Charley Patton in cui inferno e paradiso convivono a suon di modi sguaiati e di fierezza di classe, passando per i sentieri sonori più oscuri e sofisticati di Skip James fino alle atmosfere pericolosamente ammalianti di Memphis Minnie. Nel mezzo, diverse ulteriori leggende musicali: Willie Brown, Clifford Gibson, Noah Lewis, Bukka White e molti altri. Nomi e vite disseminati tra campi di cotone, binari polverosi e squallidi bordelli: testimoni di un’umanità inascoltata e derisa, rapita da un destino insaziabilmente crudele che le ha concesso il solo grido, mai del tutto liberatorio, del proprio profondo dolore. Racconti che sembrano sgorgare spontaneamente dalla memoria del narratore, con una naturalezza tale da poter archiviare le logiche temporali e credere che, lungo il cammino, lo stesso si sia imbattuto in questi magnetici poeti analfabeti, preziosi testimoni di storie frammentate.
In Rollin’ and Tumblin’ non ci sono biografie canoniche, catalogazioni, né ascolti consigliati. Ogni capitolo è una breve ma indimenticabile sosta nel corso di un viaggio inadatto ai turisti del comodo, uno sguardo sull’autenticità della vita e sulla sua naturale attitudine a sgretolarsi quando la paura ammutolisce lo spirito; ma anche sulla sua capacità di rigenerarsi quando è la musica a diventare voce di ciò che è perduto, continuando a riecheggiare tra baracche dimenticate e tombe senza nome. Un affascinante diario del blues, con protagonisti dalla personalità irresistibile: sgraziati e damerini, depredati e lacerati, spaesati e delicati. Tutti incredibilmente fuori dal mondo e perciò incredibilmente veri: così liberi da tradurre in blues il tintinnio delle loro catene, quando il blues, non ancora diventato un genere, era un passaggio segreto tra le ombre, uno svincolo ignorato dalla morte, un risalire a galla per respirare, udire, guardare, piangere, ridere e riscoprirsi vivi.
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