The Game: un’assicurazione contro l’incubo del novecento

The Game

The Game (Einaudi) è una mappa per esplorare i sentieri percorsi dalla nostra civiltà negli ultimi trent’anni. Una lunga evoluzione sintetizzabile in tre partite: una a calciobalilla, l’altra a flipper e l’ultima a Space Invaders.

Su Netflix è possibile vedere High Score, una bella docu-serie che racconta la nascita e l’evoluzione dei videogiochi. È una panoramica affascinante e veloce su un’industria che oggi vale 120 miliardi di dollari e che vede coinvolti 2,3 miliardi di videogiocatori. High Score guida lo spettatore nella conoscenza delle aziende storiche che hanno creato il settore e che in parte ancora lo dominano, passa in rassegna tutti i titoli più importanti, spiega perché e come sono stati creati i personaggi principali e l’impatto che tutto ciò ha avuto su milioni di persone.  Le sei puntate che durano tra i 37 e i 47 minuti intrattengono bene con il giusto mix di interviste, spiegazioni e illustrazioni dei giochi. Per chi sceglierà di guardarlo in lingua originale, il documentario ha la voce narrante di un personaggio discretamente famoso, Super Mario (Charles Martinet).

Una delle primissime cose che High Score mette in chiaro è che sin dalla loro nascita i videogiochi sono stati un nuovo medium che portava con sé una nuova esperienza. È un passaggio che mi ha colpito molto avendo finito da poco la lettura di The Game. Infatti, nel suo libro Alessandro Baricco spiega perché in Space Invaders è rinvenibile il codice genetico della nostra civiltà.

Siamo tutti consapevoli di stare vivendo una rivoluzione epocale. Per capirlo basta osservare il modo in cui comunichiamo, cerchiamo informazioni e ci intratteniamo. Consapevolmente abbiamo accettato che i nostri gesti più elementari prendessero una nuova forma. Per comprendere come ciò sia successo Alessandro Baricco ha tracciato una mappa partendo da un’idea precisa: «il mondo digitale in cui viviamo è il prodotto di una rivoluzione mentale» che si è procurata degli strumenti per fuggire dal Novecento.

L’uomo di fine novecento era terrorizzato da ciò che la sua razionalità e i suoi principi avevano prodotto: due guerre mondiali, i campi di concentramento, la bomba atomica e la divisione del mondo in due blocchi. Per questo ha fatto di tutto per scappare. Non a caso, secondo l’autore il tratto fondante di questa nuova civiltà è il movimento. Nella fretta gli uomini della nuova civiltà non si sono preoccupati di elaborare una teoria ma solo della pratica costruendo strumenti che gli permettessero di fuggire dalla staticità novecentesca.

Ma a costruire quegli strumenti erano le stesse persone che avevano inventato e giocato a Space Invaders.

«Space Invaders era un gioco che stabiliva una rivoluzionaria postura fisica e mentale, incredibilmente sintetica e brutalmente riassuntiva: uomo, consolle, schermo. Uomo, tasti, schermo. Dita sui tasti, occhi sullo schermo. Comandi dati con le dita, risultati verificabili con gli occhi sullo schermo. Aggiungete uno spruzzo di audio, per rendere il sistema più funzionale. Vi ricorsa qualcosa? È, attualmente, una delle posture fisiche e mentali in cui passiamo più tempo».

Tutta la sensorialità materiale del calciobalilla con Space Invaders svanisce. Non c’è più la percezione tattile del colpo, il suono è digitale. «Uno schermo, che nel calciobalilla non c’era e nel flipper stava lì a contare i punti si è divorato tutto, diventando il campo da gioco. È tutto immateriale, grafico, indiretto. Se c’è una realtà, è offerta in una rappresentazione sotto vetro che non posso modificare se non attraverso dei comandi che le sono esterni e che in maniera impersonale le comunicano degli ordini».

Secondo Baricco c’è un preciso momento storico, abbastanza recente, in cui il divertimento e la postura uomo-tastiera-schermo di Space Invaders sono entrati a far parte in modo definitivo nelle nostre vite. È il 9 gennaio 2007, giorno in cui Steve Jobs presenta il primo iPhone. Jobs era profondamente divertito nell’usare l’iPhone, nota Baricco. E lo era perché gli smartphone sono stati i primi strumenti moderni ad avere il patrimonio genetico del videogioco, un tratto oggi rinvenibile nella quasi totalità dei prodotti presenti sul mercato. Il gioco è ufficialmente diventato lo schema fondativo nella nuova civiltà.

Tuttavia, attenzione. Il game non è più un semplice gioco, è un qualcosa di estremamente complesso che si basa sull’esistenza simultanea di una realtà materiale ed una digitale che interagiscono costantemente e si influenzano vicendevolmente. A differenza della quasi totalità dei videogiochi, nel Game non ci sono vite infinite e giocare al massimo della difficoltà è quasi impossibile per la maggior parte delle persone. Una cosa è usare Instagram, l’altra è scannerizzare un documento in formato pdf da inviare all’Inps mentre si ascolta un nuovo album e si scrive una mail al direttore della banca che si trova dall’altra parte del mondo verificando, nel frattempo, l’attendibilità di una notizia. È tutto molto veloce, difficile da gestire. Non tutti sono in grado di riuscirci soprattutto perché le istituzioni novecentesche, prima fra tutte la scuola, non preparano a niente di tutto ciò. Il non riuscirci, però, implica l’impossibilità di ottenere bonus previdenziali e prestiti, di essere parte di discussioni o di essere informati. Può comportare non avere le competenze per lavorare in un numero crescente di settori.  E stiamo parlando ancora di un livello intermedio. La modalità difficile in cui si creano algoritmi e intelligenze artificiali sfruttando quantità infinite di dati è appannaggio di pochissimi.

Secondo i dati Istat, in Italia solo il 29,1% degli utenti di internet tra i 16 e 74 anni ha competenze digitali elevate. La maggioranza degli internauti ha invece competenze basse (41,6%) o di base (25,8%), con un 3,4% di internauti che non ha alcuna competenza digitale. Il Parlamento e il Consiglio europeo individuano le competenze digitali come una delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente, finalizzate all’acquisizione di conoscenze che permangono nel tempo e necessarie a ogni cittadino per riuscire a inserirsi all’interno dell’ambito sociale e lavorativo.

Le istituzioni novecentesche che detengono ancora un potere nominale fanno riferimento a schemi che andrebbero ripensati in modo radicale. Ancora troppo impegnati sul cosa far studiare non riusciamo a dare gli strumenti adeguati per trovare, rielaborare e creare contenuti.

Gli strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione hanno nascosto la complessità rendendo molte operazioni semplici grazie a degli strumenti. Ma non basta avere gli strumenti, bisogna saperli usare e farlo bene. Spesso bisogna saperne usare tanti, se non tutti. È un gioco a cui tutti possono giocare ma pochi sono messi nelle condizioni di vincere.

Ciò che questa grande rivoluzione mentale e digitale ha comportato è stata una rivalutazione dell’idea che l’individuo ha di sé stesso. L’uomo comune si è ritrovato con la possibilità di gestire da solo il mondo grazie a degli strumenti che seguivano uno schema elementare: risolvere problemi nel modo più semplice, veloce ed immediato possibile attraverso un’estetica attraente ed intuitiva. Ma il Game, spiega Baricco, ammette solo giocatori singoli e questo è stato terreno fertile per lo sviluppo di un individualismo di massa in cui il singolo ha gli strumenti per arrivare ovunque ma non sa esattamente dove. Sono saltate tutte le mediazioni e non c’è più nessuno che tracci la strada.

Il game è dominato da pochi grandi, apparentemente imbattibili player. Dettano le regole del gioco perché hanno contribuito e tutt’ora contribuiscono a crearlo dalle fondamenta. «Un sistema nato per redistribuire il potere ha finito per ridistribuire più che altro possibilità, ottenendo in compenso l’imprevisto risultato di creare delle concentrazioni di potere immani», citando l’autore.

The Game dà parzialmente un senso al perché abbiamo costantemente l’impressione di non avere una visione più completa, generale. La risposta va cercata nel fatto che la nuova civiltà è stata costruita partendo da strumenti pensati per lo più da giovani ingegneri informatici della Silicon Valley che non avevano lo scopo di definire una teoria ma solo di risolvere pragmaticamente dei problemi, primo fra tutti quello di fuggire dal novecento. Lasciamo alla lettura del testo le considerazioni di Baricco sulla bontà della rivoluzione che stiamo vivendo, l’esistenza o meno di possibilità di risolverne le disfunzioni e i nuovi sentieri che stiamo iniziando a tracciare nel tentativo di sviluppare pienamente questo nuovo mondo.

 

Fonte immagine: https://www.einaudi.it/catalogo-libri/problemi-contemporanei/the-game-alessandro-baricco-9788806235550/

A proposito di Salvatore Tramontano

Studia Mass Media e Politica presso l'Università di Bologna. Scrive per capire cosa pensa.

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