E vissero: intervista ad Aldo Verde, autore del corto

E vissero

Abbiamo intervistato Aldo Verde, regista, sceneggiatore e montatore di E Vissero, l’ultimo corto di 56K, selezionato al Pride Arts Festival di Chicago.

E vissero è l’ultimo corto prodotto da 56K Productions, società di produzione cinematografica nata a Napoli grazie a un gruppo di amici e alla loro passione per la settima arte, presto diventata una realtà consolidata nel panorama locale e non solo. Visto in anteprima da Eroica Fenice, prima della première al Pride Arts Festival e della proiezione al Music Box Theater di Chicago il 12 ottobre, E vissero è un prodotto che, in soli dodici minuti, riesce a divertire e far riflettere con sottile e velata ironia, mai fine a sé stessa e sempre funzionale a stupire lo spettatore, sul mondo LGBT e sulle difficoltà degli attori protagonisti di essere davvero sé stessi e di relazionarsi al mondo esterno, in particolare quello familiare. Tematiche dunque universali, che però rivivono originalmente nelle parole e nei volti di Felice (Emanuele Di Simone) e Contento (Vittorio Nastri), i due attori protagonisti che nel corso dell’opera esploreranno le tematiche della libertà, del pregiudizio e della difficoltà di essere accettati dagli altri. Abbiamo incontrato il regista di E vissero, Aldo Verde, che ci ha raccontato della genesi del corto e dei progetti, futuri e non, di 56K.

Il corto sarà presentato al Pride Arts Festival, uno dei festival di cinema LGBT più importanti d’oltreoceano. Da dove parte l’idea di E vissero?

Personalmente ho sempre amato scrivere e raccontare storie sin dall’infanzia, dunque occuparmi di sceneggiature, potenzialmente girabili e traslabili in un prodotto cinematografico, mi è risultato esercizio estremamente spontaneo specie a partire dall’adolescenza, permettendomi in tal modo di associare le mie due più grandi passioni: la scrittura ed il cinema, per l’appunto. Come tutte le idee “serie” che si rispettino, E vissero è nato da una conversazione estremamente stupida, in una sera d’estate, al mare con gli amici; ero attratto dall’idea di approfondire un tema ed un mondo delicato, spesso trattato con superficialità dalle grandi major o quantomeno non con la dovuta attenzione. Da lì poi, dopo mesi di pre e post produzione, si è arrivati al vero e proprio processo di selezione, grazie alla piattaforma FilmFreeWay, praticamente il go to place per chi volesse affacciarsi ai festival cinematografici internazionali: si passa dalle piccole rassegne fino ai propedeutici per l’Oscar, come ad esempio il Sundance. Sia chiaro, il corto non nasce con l’ambizione di rappresentare qualcosa di “nuovo” nel panorama cinematografico odierno: quello del mondo LGBT è solo un presupposto per parlare delle difficoltà che molti più giovani della mia età vivono, ossia di accettarsi e fare quello che davvero piace, andando oltre i limiti, sia proprio che imposti dall’ambiente circostante. Guardando E vissero mi piacerebbe che la gente si chiedesse “Quanto sei aperto di mente?” o “Quanto sei disposto ad accettare la libertà degli altri?”.

Dove è stato girato il corto? Guardando E vissero colpiscono i luoghi universali, molto più da teen movie americano che da prodotto locale.

Principalmente ad Angri, in un bed and breakfast nel quale avevo già collaborato per un precedente lavoro. Grazie ad un lavoro straordinario dello scenografo Cristiano Ponticello e del direttore della fotografia Emilio Costa, due incredibili professionisti del settore, il luogo è stato completamente cambiato, nel mobilio e nell’arredamento. Noi di 56K ci tenevamo particolarmente a questo aspetto, in vista di una ipotetica distribuzione estera, e che si riflette anche, ad esempio, nella dizione pulita dei personaggi.

Perché un prodotto incentrato sul mondo LGBT?

Credo che il senso di questo corto sia ben altro rispetto a voler effettuare un semplice ritratto delle persone LGBT al giorno d’oggi. Ho deciso di scrivere questa storia perché utilizzando la tematica LGBT avevo intenzione di arrivare ad un discorso più ampio: all’inizio di E vissero, Felice (Emanuele Di Simone) e Contento (Vittorio Nastri) dibattono, con la zia bigotta, (Antonella Morea) sul perché, nella maggior parte dei casi della vita, siamo noi ad adeguarci alla mentalità degli altri, pur se questa è sbagliata, rinunciando a qualcuno o qualcosa che effettivamente piace e ci fa stare bene. Con E vissero ho voluto mettere alla prova questa assunzione, procedendo per “gradi” di disturbo nello spettatore attraverso la distruzione e la satira di quelli che sì, sono tabù nel mondo del cinema e non solo: il feticismo e l’incesto. Mi piace l’idea che nel guardare il corto lo spettatore verrà testato nei suoi limiti: fino a che punto è disposto ad accettare l’idea di base che la libertà di ognuno vada rispettata? E qui immagino la reazione di un tizio americano qualunque, seduto sui seggiolini del Music Box Theater di Chicago, e come potrebbe reagire ad un prodotto del genere: anche per questo mi mangio le mani di non poter essere presente fisicamente al festival, per via delle normative anti-covid.

L’ironia è un elemento fondamentale della scrittura e della messa in scena di E vissero.

In fase di scrittura ho deciso di destrutturare i canoni romantici e classicheggianti del cinema americano, perseguendo un fine satirico e parodistico e che si distaccasse da una visione troppo pesante. È da qui che si passa a “Francamente me ne infischio”, chiaro rimando a Via col Vento ed esclamata in un momento a dir poco improbabile durante un dialogo tra i due protagonisti. Sulla stessa scia, Felice e Contento che si appellano l’uno con il nome dell’altro: con nomi del genere, diventa una scena chiaramente più ridicola rispetto ad Elio ed Oliver di Call me by your name.

Quali sono state le tue influenze principali per il corto? Il tuo cameo è ambientato in una sala da bowling, chiaro riferimento a John Turturro e al Grande Lebowski.

Era proprio quella la reference principale alla quale abbiamo pensato una volta varcate le soglie del bowling. Circa il comparto tecnico, stilisticamente ho cercato di rifarmi quanto più possibile ad Edgar Wright, regista di Scott Pilgrim vs The World e che personalmente adoro; in sede di scrittura, Suxbad ha rappresentato senz’altro un punto di riferimento. Con E vissero ho cercato pertanto di seguire uno stile che mi permettesse di trattare il tema dell’apertura mentale, suscitando consequenzialmente un dibattito, attraverso l’ironia: era infatti estremamente serio il rischio di girare un prodotto che sapesse di già visto. Sono obiettivi molto complessi da realizzare in un prodotto di soli dodici minuti, e che non ti lascia lo spazio ed il tempo per approfondire i personaggi che ad esempio hanno i lungometraggi e a maggior ragione le serie tv.

Quello delle “minoranze” è un tema sempre più dibattuto, negli ambiti più disparati, dalla politica fino per l’appunto al cinema. In questo contesto, come si inserisce E vissero?

Credo che il modo in cui attualmente venga trattata la tematica LGBT nella grande maggioranza dei casi sia “patetico”, nell’accezione greca del termine, nel senso che si persegua eccessivamente un fine di empatia nei confronti dei personaggi, per soffrire e capirne la sofferenza nei momenti difficili. Questo corto invece inserisce gli omosessuali in un contesto surreale, in un processo di destrutturazione che ritengo importante per “normalizzare” l’omosessualità all’interno della società: il cinema ha attualmente il difetto di incentrarsi solo su esempi disperati, mentre ci sono tante persone che vivono la propria omosessualità non come componente unica del loro carattere, bensì come un aspetto di esso. Questo è il difetto principale di Hollywood al giorno d’oggi: un personaggio può anche essere tangenzialmente omosessuale, rappresentando pertanto solo uno dei molteplici aspetti della propria complessa personalità. Bisogna essere in grado di scindere l’omosessualità di un personaggio dalla sua natura di personaggio in una storia: solo in quel caso i personaggi della storia non saranno più una rappresentazione generica, ma diventeranno i Felice e Contento del mio corto. Personalmente nello scrivere la sceneggiatura di E vissero mi sono confrontato con molte persone della comunità LGBT e il fatto di essere stati selezionati ad un festival mi conforta dalla paura che avevo inizialmente, ossia che non fosse compreso appieno il mio intento universale ed estensivo. Essere capiti ad un festival incentrato su questa tematica e a così tanti chilometri di distanza è stata una grandissima soddisfazione per me.

E vissero è l’ultimo cortometraggio di 56K, società indipendente che, partita da Napoli, è arrivata fino a Chicago. Come nasce e si porta avanti un progetto del genere?

56K Productions si occupa di produzione cinematografica ed audiovisiva, passando principalmente per cortometraggi e video musicali. Sarebbe riduttivo parlare di una sola mente dietro un progetto così stimolante, infatti 56K nasce principalmente da un gruppo di amici, riuniti per caso grazie ai corsi universitari dell’Accademia delle Belle Arti. In particolare, mi sento in dovere di ringraziare Bagya Lakapura e Riccardo Piscopo, senza i quali non solo il cortometraggio ma più in generale la società non avrebbe mai potuto prendere vita. Mauro Ronga è stata un’altra figura imprescindibile per la genesi del corto: un amico, prima che un direttore di produzione, con il quale ho mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo e che ha dato un contributo a dir poco fondamentale. Vedere tutte queste persone credere nel progetto di E vissero, nato da una mia stramba idea in una sera qualsiasi d’estate, è stato il principale motivo d’orgoglio personale, prima ancora della selezione al festival.

 

Fonte dell’immagine: Ufficio Stampa.

A proposito di Matteo Pelliccia

Cinefilo, musicofilo, mendicante di bellezza, venero Roger Federer come esperienza religiosa.

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