A Milano dal 14 giugno 2024, al Castello Sforzesco, possiamo ammirare la mostra fotografica del lavoro di Ballo & Ballo.
Ma facciamo un piccolo passo indietro, ripercorrendo la storia, il lavoro e la fama dei due fotografi.
Aldo Ballo, originario di Sciacca, Sicilia, si trasferisce a Milano alla tenera età di 12 anni insieme alla famiglia. Siamo nel 1940.
Durante gli anni della sua formazione in Architettura al politecnico di Milano, inizia a lavorare all’agenzia Rotofoto dove conosce Marirosa Toscani, sua futura consorte e compagna di successi e premi professionali.
Lei, figlia d’arte e sorella di Oliviero Toscani, inizia i suoi passi nella fotografia nello studio del padre, Fedele Toscani, storico reporter per il corriere della Sera.
Dal matrimonio di Aldo e Marirosa nasce il loro primo studio a Milano. Ma è solo il 3° studio in via Tristano Calco, che diventa meta dei più importanti designer del contesto internazionale.
I coniugi Ballo si specializzano negli scatti fotografici industriali di design, posti rigorosamente su fondo bianco, con immagini pulite e raffinate connotando lo stile e la firma degli autori.
Nel corso della loro carriera lo studio Ballo e Ballo è diventato anche meta e polo artistico per la formazione di tanti aspiranti fotografi attraverso un rigido percorso di praticantato di 4 anni.
Lo studio si pone al centro dei fermenti e delle dinamiche culturali che caratterizzano l’evoluzione del design italiano contribuendo in maniera determinante alla sua affermazione a livello internazionale, consacrata dalla grande mostra tenutasi al MoMA di New York nel 1972, Italy: The New Domestic Landscape (a cura di Emilio Ambasz).
Alla fine degli anni 50, all’apice della loro carriera nella fotografia di design, Aldo e Marirosa vedono importanti collaborazioni con Bassetti, Barilla, La Rinascente, Pirelli e molti altri
Ballo e Ballo: la mostra fotografica
Ad un anno dalla scomparsa di Marirosa, ultima erede dello studio Ballo e Ballo, i loro archivi, insieme agli oggetti di design e gli scatti fotografici sono stati donati al Castello Sforzesco di Milano, con l’obiettivo di restituire il clima dei fermenti culturali e di innovazione che hanno caratterizzato lo studio nella seconda metà del secolo scorso.
Grazie al contributo di uno dei più importanti studi di audio-visuale, Studio Azzurro, nato anch’esso dallo studio dei Ballo, la mostra vuole accompagnare il visitatore in percorso corale volto a restituire ciò che i coniugi hanno lasciato nel mondo del design e della cultura.
Le installazioni poste nella Sala Viscontea, sono caratterizzate dai veri oggetti di scena dei set, accompagnati da monitor o video proiettori che mostrano il processo creativo dello scatto.
Il fondo bianco, che viene richiamato in numerosi scatti, viene riproposto nelle installazioni centrali della sala: questo rappresenta il “limbo” diventando parte dell’essenza e della comunicazione dell’oggetti di design.
«Esso accompagna la maggior parte dei set fotografici per lo still-life, pronti per essere ripresi da qualcuno che si è temporaneamente allontanato». Questa citazione, edita da Silvana Editoriale, è solo una delle descrizioni che accompagno le installazioni e che aiutano i neofiti del settore ad apprezzare meglio e con più contezza il processo comunicativo dello studio Ballo.
Nella seconda sala, quella dei Pilastri, sono esposti i grandi ritratti realizzati da Marirosa di importanti designer in accordo con le fotografie degli oggetti da loro presentati.
Studio Azzurro, inoltre, omaggia i due fotografi con uno dei video-ritratti raccontati da grandi protagonisti del design e dell’arte italiana con 6 schermi sintonizzati che restituiscono l’importanza e l’influenza per la cultura italiana dei Ballo.
Le riflessioni sulla mostra fotografica: uno sguardo esterno
La mostra si pone come obiettivo la restituzione di un lavoro, un processo comunicativo, culturale e innovativo che altrimenti verrebbe sepolto e dimenticato insieme ai coniugi Ballo.
Le sensazioni e proprio la restituzione della mostra, a mio avviso, non sono affatto indifferenti, ma anzi lasciano una sensazione quasi interrogativa – positivamente parlando – rispetto agli oggetti che si vedono esposti e ancora di più gli scatti proposti.
Da osservatrice curiosa e aperta a un messaggio comunicativo che può arrivare in varie forme, posso affermare quanto gli oggetti rappresentati “parlino”. Non tutti mi hanno lasciato qualcosa, anche solo una sensazione, ma molti hanno fatto germogliare un senso di riflessione, caratteristico di una ricerca culturale e scientifica, che si pone domande, cerca risposte ed è pronta a mettere in discussione i propri saperi.
Inoltre, riflettendo a lungo sulla mostra e sui suoi dettagli, mi sono resa conto come spesso, nel contesto odierno, ci dimentichiamo quanto possano essere pionieristici e innovatori alcuni professionisti nei vari processi culturali e sociali. Quello che per noi oggi è una semplice lampada da tavolo, 70 anni fa era un oggetto di alto design che ha meritato di vincere uno dei più importanti premi del design italiano, il Compasso d’oro.
Quello che oggi è uno scatto fatto con uno smartphone, da scegliere nella moltitudine di click quasi compulsivi, al tempo era frutto di un grande studio di luci, posizioni, materiali di vetro, pellicole e tecniche per migliorare lo sviluppo fotografico e proprio il risultato lo si poteva contemplare solo una volta che il processo fosse completo.
Banalità dei nostri giorni, forse, ma che – se gli viene restituito il giusto valore – denotano la grande competenza e professionalità dei Ballo, anche per chi si approccia ad una mostra fotografica privo di competenze specifiche che ne facciano cogliere immediatamente l’estro culturale e sociale.
Fonte immagine: ufficio stampa