Enrico Lombardi: succo e sostanza dietro una canzone “hippie”

E le virgolette sono opportune perché se “hippie” lo è nello spirito – come ci dirà lui – pop italiano lo è nella sua estetica per quanto una lap steel arrivi pronta a ricamare bellissime sensazioni di “un’America on the road”. Enrico Lombardi ci invita all’ascolto di questa nuova canzone dal titolo “Girasole” che tratta con poesia quotidiana il tema delicato dell’inquinamento globale. La Terra e i suoi abitanti dentro questa violenta diffusione del cemento e di tutta la chimica operosa dell’uomo, chimica che copre e che soffoca… guerrieri troppo spesso invisibili che uccidono per nostra stessa mano. E questo lockdown, come ci ricorda anche lo stesso Lombardi, ha fatto diminuire persino una cappa di smog che impedica allo sguardo di scoprire nuovi panorami. Ma non è una canzone figlia di questa attualità… in fondo ha ragione quando ci dice che “Girasole” sembra non avere tempo. Per lui dunque questo non è soltanto un fiore da dipingere in copertina grazie alla mano operosa di un’artista come Evgenjia Shalak, ma anche e soprattutto un simbolo di chi naturalmente abita la nostra terra e a cui tutti dovremmo rivolgere il nostro perdono, per gli uomini che siamo diventati e per le nostre faccende sporche di chimiche e di cemento:

“Cosa penserai quel giorno girasole

l’ultimo giorno dell’umanità

chissà se piangerai i poeti e tutto il loro folle amore

tradito dall’avidità”.

Ed è proprio vero: questa canzone dal pop d’autore liquido e sincero non vuole avere tempo.

Partiamo da coordinate discografiche. Un nuovo singolo, un nuovo disco in arrivo o ti muovi per brani? Si sta tornando un po’ alla vecchia anche in questo…

Credo non ci sia una regola, certo il trend bisognerebbe chiederlo a qualche direttore di ufficio stampa, non a me. Come artista oggi mi trovo a lavorare sulle pre-produzioni del mio nuovo album, e al tempo stesso sento il bisogno di uscire con altre canzoni che per qualche motivo si discostano dal lavoro in corso, alcune delle quali sono canzoni nel cassetto, altre nuovissime. Cerco di mantenere un approccio più libero, meno schematico, alla mia creazione artistica. Poi concordo certamente che è meglio pubblicare singoli che anticipano album, per ottimizzare il budget limitato a disposizione per la promozione e poi anche per dare una visione più ampia e d’insieme sul momento creativo che ogni artista vive ciclicamente nella sua vita. Ma non mi sento di dire che questa sia la strada giusta e le altre siano sbagliate.

L’ambiente e le sue mille derive. Una canzone di denuncia ma anche di preghiera, di speranza. Le tue parole sono dolcemente severe. Che tipo di effetto pensi possa aver provocato nell’ascolto, sapendo di questa società assai distratta e ormai obesa di messaggi ed informazioni?

Ah, bella domanda. Spero riflessione, consapevolezza, senso critico verso di sé. Mi piace pensare che “Girasole” sia una canzone priva di una data di scadenza, e mi riferisco alla sua scrittura testuale. Oggi ascolto molta musica con riferimenti specifici a mode del momento, a eventi o personaggi popolari, che se da una parte rendono la canzone più fresca e virale, dall’altra parte credo ne limitino la durata nel tempo, inteso come possibilità di cantarla tra uno o due anni e sentirla ancora attuale. Per girasole ho ricevuto piacevoli complimenti, ma da artista ancora agli inizi del suo percorso spero in un effetto lunga onda: spero che “Girasole” possa essere conosciuta da più persone nel tempo, portandola in giro nel mio repertorio live e rinnovando ogni volta il suo messaggio.

Il tiro sembra spolverare l’America on the road. Non hai mai pensato a scrivere in inglese?

Guarda, qualche giorno fa ci scherzavo su con un amico dando un’occhiata agli ascolti della canzone su Spotify, della serie: “se fossi nato in America..”. No comunque, non ci ho mai pensato. Scrivere canzoni per me vuol dire entrare in un livello di comunicazione superiore con le persone. Da adolescente ho scritto varie canzoni in inglese, ma col senno di poi questo succedeva perché avevo paura a manifestare i miei sentimenti, così li nascondevo in una lingua straniera non percepibile immediatamente agli ascoltatori. Scrivere in italiano per me è un’esigenza creativa indispensabile per entrare in contatto emotivo diretto con chi mi ascolta. Poi per carità, ascolto tanta musica straniera e rispetto chi scrive in inglese, perché semplicemente sente quella lingua come il canale più diretto per esprimere le sue emozioni. Ma questo non è il mio sentire.

Ascoltando le tue produzioni passate, per quello che ci restituisce la rete, il mood è assai ancorato alla canzone d’autore italiana. In un tempo futuristico come questo, la trasgressione è dietro l’angolo. Ti farai trovare?

Chissà. Difficile anche solo contestualizzare questa domanda, occorrerebbero troppe specifiche e io già scrivo troppo. Provo a semplificare: molto difficile sentirmi cantare con Melodyne, direi quasi impossibile. Magari più probabile che io riesca a comporre senza chitarra. Ma in questo non ci sarebbe nulla di futuristico… basti pensare ai Radiohead e prima ancora ai Kraftwerk. Spero solo che le forme e i linguaggi sonori che adotteranno le mie canzoni future, riescano ad essere le migliori forme per esprimere l’arte che ho in testa.

 
Ci colpisce che in questo periodo in cui l’attenzione e la contestazione globale sia focalizzata sul covid, la tua canzone punti dove i riflettori non stanno puntando. Perché questa attenzione “fuori trend” (per dirla in modo divertente)?

La canzone è stata scritta prima dell’incubo collettivo che stiamo vivendo, semplicemente. Poi tutto il processo di registrazione, riprese sonore e missaggio, si è svolto in fase di primo e secondo lockdown, tranne il videoclip che è atipico, in quanto è una session di ripresa diretta girata immediatamente prima del Covid. Durante il primo lockdown vi erano notizie di agenzie stampa mondiali che rilanciavano il drastico calo dell’inquinamento e i suoi effetti: in Cina si potevano di nuovo ammirare paesaggi prima non visibili a causa della nube di inquinamento.. e poi animali selvatici che senza il traffico e l’inquinamento acustico ricominciavano a spingersi a valle, a girare nei centri cittadini. Questo per dire che in realtà io ho sentito quanto “Girasole” fosse attuale anche durante le prime fasi del Covid: c’è bisogno di fermarsi e ripensare il modo in cui viviamo sulla terra. Credo, spero che questa enorme crisi mondiale possa trasformarsi in un’occasione d’oro per diventare realmente ecosostenibili.

Parlaci del suono. Parlaci di questa lap steel che forse esce fuori da uno schema canzone quotidiano, almeno per questo genere. Come lo hai scelto… perché… e che tipo di legame filologico ha con un “Girasole”?

In fatto di ascolti musicali sono ancora oggi un esterofilo, e le atmosfere musicali anni settanta sono una parte fondamentale del mio bagaglio musicale. La lap steel è venuta fuori quando io e altri due cantautori, Eugenio Paludi e Luca Mongia, mettevamo su il progetto “Tre in uno”, basato sull’idea di un unico spettacolo live con tre cantautori diversi e un’unica band, insieme ad altri due ottimi musicisti come Ferdinando Ferri alla Batteria e Fabrizio Crecchio al basso. Nel brano la lap steel è suonata da Luca, e sono molto contento del risultato finale, dell’arrangiamento finale: con questo particolare accorgimento sonoro credo che la canzone riesca ad evocare un modo più simbiotico di vivere con la natura, proprio richiamando le sonorità americane degli Eagles e anche degli Allman Brothers band, che avevano successo durante il movimento politico e ambientalista del “Flower power”. Da questo punto di vista, considero “Girasole” come un vero e proprio un brano hippie.

Paolo Tocco

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