Janis Joplin: la voce femminile più blues nella storia del rock

Janis Joplin: storia della voce femminile più blues nella storia del rock

Tra le migliori artiste che il mondo del rock abbia mai conosciuto, Janis Joplin resta la voce femminile più blues della storia. 

I primi decenni della vita di Janis Joplin

Janis Lyn Joplin nacque il 19 gennaio 1943 a Port Arthur, in Texas. La sua fu un’infanzia semplice, tranquilla. Dipingeva e faceva parte del coro della chiesa. Assieme ai suoi fratelli minori, Laura e Michael, Janis fu indirizzata dai genitori verso l’arte e la musica, mezzi attraverso cui i ragazzi arrivarono a quella profonda diversità assolutamente biasimata dagli abitanti della cittadina. Tuttavia, iniziata l’adolescenza, Janis Joplin cominciò ad essere bullizzata: Port Arthur pullulava di ragazzini conservatori, adepti del Ku Klux Klan, che iniziarono a chiamarla “maiale bizzarro”, prendendola in giro per il peso, l’acne e soprattutto per le sue idee sui diritti civili.

Rinchiusa nella sua prigione mentale, Janis cercò rifugio nella musica decidendo, ad un certo punto, di seguire le orme di due degli artisti che segnarono profondamente la sua vita:  Leadbelly e Bessie Smith (a quest’ultima, morta nel 1937 e sepolta senza lapide a Philadelphia, Janis pagò una tomba come tributo). A 17 anni Janis Joplin abbandonò la sua città natale, che riteneva estremamente soffocante, e iniziò ad esibirsi in vari club a San Francisco, tra cui il Coffee & Confusion in Grant Avenue. Tuttavia, la dipendenza dall’alcol e dalla droga la riportò proprio nel luogo da cui era scappata, a Port Arthur. Iniziò a frequentare corsi di sociologia alla Lamar School ma l’idillio non durò molto.

L’incontro con i Big Brother & the Holding Company 

Abbandonata l’università, Janis Joplin tornò a San Francisco, che era allora pervasa dalla beat generation, un movimento giovanile che andava contro i valori tradizionali della società contemporanea e che, con un forte spirito di ribellione, riuscì a portare a galla altri movimenti come il pacifismo, il femminismo e la rivendicazione dei diritti sociali da parte degli afroamericani. Fu proprio in questo clima che Janis conobbe, grazie all’amico e produttore musicale Chet Helms, i Big Brother & The Holding Company, la band che l’accompagnò nel suo percorso musicale fino al 1969. La prima volta che si esibirono assieme fu il 10 giugno 1966, sul palco dell’Avalon Ballroom di San Francisco. Trasferitisi tutti a Lagunitas, in California, la giovane donna abbandonò la sua maschera da ragazzina texana per adottare uno stile completamente diverso, più hippie: abiti dai colori vivaci, anelli vistosi e piume nei capelli. Tutto ciò, però, accompagnato dalla sua continua dipendenza dall’eroina e dall’alcol.

Il connubio tra la voce abrasiva di Janis e il blues alquanto ruvido della band fu esplosivo: il loro album d’esordio, intitolato semplicemente Big Brother & The Holding Company, portò a un successo immediato. Nel 1967 Janis Joplin si esibì assieme alla band al rock festival di Monterey, rompendo vetri grazie alla potenza assoluta della sua voce sulle note di Ball and Chain. Da lì in poi, il gruppo continuò la sua totale ascesa. Lo stesso anno firmarono un contratto con il manager di Bob Dylan, Albert Grossman, e nel 1968 uscì il loro secondo album: Cheap Thrills, con cui vinsero il loro primo disco d’oro. Nel dicembre dello stesso anno, Janis Joplin lasciò la band e intraprese la sua carriera da solista.

La carriera da solista di Janis Joplin

Il gruppo di musicisti che l’accompagnò all’inizio della sua carriera da solista fu la Kozmic Blues Band con la quale realizzò il suo primo album per la Columbia: I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama, suo secondo disco d’oro. Nel 1969 Janis Joplin portò sul palco del Woodstock una canzone che già in passato aveva fatto inebriare il pubblico: To love somebody

All’inizio del 1970, stanca della vita condotta sino a quel momento, Janis formò un nuovo gruppo, la Full-Tilt Boogie Band, con il quale diede vita ad un album tanto meraviglioso quanto straziante: Pearl, dal soprannome con cui la chiamavano i suoi amici, con il quale ottenne, dopo la sua morte, il suo terzo e ultimo disco d’oro. All’interno dell’album c’è anche Cry baby, uno dei brani più iconici della sua carriera, assieme a Piece of my heart. Nel febbraio dello stesso anno, Janis Joplin partì per il Brasile con l’intento di disintossicarsi. Lì conobbe David Niehaus, un americano che non aveva idea di chi fosse la ragazza che gli si era appena presentata davanti. I due si innamorarono e David cercò, invano, di aiutarla nel suo percorso di disintossicazione: alla fine la lasciò quando scoprì che Janis faceva di nuovo uso di eroina. La ragazza tornò per l’ultima volta nella sua città natale prima di recarsi a Los Angeles per registrare il suo album. L’eroina continuava a mangiarla viva.

Dallo stile musicale alla libertà d’espressione

Ogni volta che Janis Joplin saliva su un palco era come se una meteora si abbattesse sulla terra: tutto risultava estremamente caotico e meraviglioso al tempo stesso. La sua voce ruvida arrivava all’anima dei più scettici, e i testi delle sue canzoni, mai banali, riuscivano ad evocare i demoni interiori di chiunque la stesse ad ascoltare. In un mix di malinconia blues e fuoco psichedelico, Janis Joplin dominava il palcoscenico in ogni occasione: una musa, una donna inquieta, tormentata dai fantasmi del passato e del presente, piegata dalla droga e dall’alcol ma pur sempre una sacerdotessa del rock. 

Divenuta ormai l’utopia della sensualità selvaggia, era ritenuta l’alter-ego femminile di ciò che, in quegli anni, rappresentavano Mick Jagger o Jim Morrison. Leader donna in un gruppo di soli uomini, Janis Joplin non era preoccupata di portare nei suoi testi e sul palcoscenico un’immane carica sessuale: era una donna bisessuale, libera dagli standard patriarcali e misogini che vigevano al tempo. Sfacciata e trasgressiva, irriverente e sensuale, fu un’artista a 360º: con lei il mondo si disfaceva per poi rifarsi in uno schiocco di dita, la stabilità veniva rovesciata, gli spettatori venivano accompagnati in un lungo percorso con se stessi. La musica di Janis Joplin è stata poesia interiorizzata da miliardi di persone: aveva la capacità di trasformare la sofferenza in bellezza eterea.

La morte di Janis Joplin

Proprio come un demone che non dorme mai, la sua fine era già stata scritta, proprio da Janis stessa, nel suo ultimo brano: l’artista è stata buried alive in the blues, sepolta viva nel blues. 

Così, alle sei del mattino del 4 ottobre 1970, il corpo inerme di Janis Lyn Joplin venne trovato in una stanza del Landmark Hotel di Los Angeles. Stroncata da un’overdose fatale a soli 27 anni, Janis entrò di diritto nel club dei 27, assieme ad altri artisti che nel corso degli anni hanno scritto la storia. In seguito, come da lei richiesto, le ceneri vennero sparse lungo la costa di Marin County, in California. E come se il destino non fosse già abbastanza beffardo, il giorno dopo la sua morte, all’hotel in cui alloggiava, arrivò un telegramma che recitava: «Love you Mama, more than you know». Era di David Niehaus, probabilmente l’unico uomo che abbia mai amato davvero, l’unico che stava ancora aspettando.

L’album Pearl, considerato quasi come un suo testamento, fu pubblicato postumo l’11 gennaio 1971 e il 2 aprile raggiunse la prima posizione nella Billboard 200.

«Molti artisti hanno un modo di fare arte e uno di vivere. Per me ce n’è uno solo»

Fonte immagine: Wikipedia 

A proposito di Di Costanzo Mariachiara

Mariachiara Di Costanzo, classe 2000. Prossimamente laureata in Lingue e Culture Comparate all'Università degli Studi di Napoli L'Orientale. Appassionata di moda, musica e poesia, il suo più grande sogno è diventare redattrice di Vogue.

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