La leggenda della morte di Paul McCartney: la bizzarra teoria “PID” sul bassista dei Beatles

PID: la bizzarra leggenda sulla morte di Paul McCartney

La leggenda della morte di Paul McCartney, abbreviata in PID (Paul is dead), è una nota teoria del complotto che ha come protagonista il celebre bassista dei Beatles. Secondo la leggenda, che ha iniziato a diffondersi nel 1969, Paul sarebbe morto nel 1966, in seguito a un incidente stradale. Una teoria che ha del bizzarro ma a cui molti ancora credono, anche a distanza di cinquant’anni. In quest’articolo ripercorreremo la storia del complotto, dalla sua nascita alle ipotetiche prove a sostegno.

Com’è nata la leggenda della morte di Paul McCartney?

La leggenda della morte di Paul McCartney, comincia nel settembre del 1966, quando Tony Barrow, capo dell’ufficio stampa dei Beatles, iniziò a ricevere una serie di telefonate da parte di diverse persone, stranamente interessate allo stato di salute di Paul McCartney. Sempre più giornalisti, infatti, cominciarono a dubitare che il bassista dei Beatles fosse morto. Non si comprese mai il motivo di questo timore diffuso, ma Barrow ci tenne comunque a rassicurare tutti: Paul era vivo e stava bene. Le voci si calmarono fino al 1969, anno in cui una radio londinese ricevette una chiamata da parte di un fantomatico Tom che affermava con sicurezza che Paul fosse effettivamente morto tre anni prima. Secondo la sua versione, il 9 novembre del 1966, alle 5 del mattino, il bassista dei Beatles sarebbe rimasto coinvolto in un incidente stradale assieme a una ragazza di nome Rita. Entrambi sarebbero deceduti a bordo della Aston Martin di Paul, in seguito alla violazione di un semaforo rosso. Secondo la storia di Tom, John Lennon e Brian Epstain, manager dei Beatles, avrebbero insabbiato la cosa, seppellendo di nascosto il vero Paul e sostituendolo con un suo sosia, un certo William Stuart Campbell. William sarebbe poi stato obbligato a sottoporsi a diverse operazioni di chirurgia plastica per assomigliare il più possibile al vero Paul. In seguito alla dichiarazione di Tom, la notizia della morte di  McCartney rimbalzò su tutti i giornali britannici e i fan più accaniti iniziarono una vera e propria “caccia agli indizi” per valutare la veridicità degli eventi raccontati in radio.

Gli ipotetici indizi

Gli indizi che i fan riuscirono a trovare sulla leggenda della morte di Paul McCartney sono moltissimi, alcuni abbastanza plausibili altri un po’ meno. La maggior parte delle prove a sostegno della PID, sono riscontrabili nelle copertine degli album e nei testi delle canzoni dei Beatles. In questo articolo elencheremo solo gli indizi più famosi e verosimili, evitando di inserire prove forzate e implausibili.

  • Gli indizi in Abbey Road: Abbey Road è il penultimo album dei Beatles. È stato pubblicato nel 1969 ed è considerato uno dei migliori lavori della band britannica. La celebre copertina in cui i Fab 4 camminano sulle strisce pedonali in fila indiana, celerebbe macabri indizi sulla morte di Paul McCartney. Innanzitutto il bassista è l’unico dei quattro a camminare scalzo; un dettaglio che sarebbe potuto passare inosservato se non fosse che John e George seguissero assiduamente l’induismo, religione che prevede che i morti vengano seppelliti senza scarpe. L’immagine di Paul che cammina scalzo, per di più con la sigaretta nella mano destra invece che in quella sinistra (McCartney è mancino), conferma, secondo i sostenitori della PID, che Paul sia morto e che i tre Beatles rimanenti abbiano voluto comunicarlo velatamente attraverso la copertina dell’album. Inoltre, alle spalle dei quattro, si può notare un maggiolino con una targa assai particolare: LMW 28 IF. Secondo i complottisti, le lettere starebbero per “Linda McCartney Widow” cioè “Linda McCartney vedova” (Linda è stata la moglie di Paul dal 1969 al 1998) e “28 IF” cioè “28 SE“. Nel 1969, infatti, Paul avrebbe dovuto compiere 28 anni (se fosse stato vivo). 
  • Gli indizi in Sgt. Pepper lonely hearts club band: La copertina di Sgt. Pepper lonely heart club band, definito da molti come il più grande album rock di tutti i tempi, è stata studiata assiduamente dai sostenitori della leggenda della morte di Paul McCartney in quanto è ricchissima di particolari. Nell’immagine troviamo i quattro Beatles, uno di fianco all’altro, vestiti con delle bizzarre divise colorate e circondati da un numerosissimi personaggi famosi, tra cui, ad esempio, Martin Luther King. McCartney ha un mano che spunta sulla sua testa; sempre seguendo le tradizioni induiste, questo starebbe a indicare un presagio di morte e sventura. L’indizio più strano, però, si trova nel retro dell’album, dov’è presente un’ulteriore foto dei Beatles assieme ai testi delle canzoni. In questa immagine sono tutti girati verso l’obiettivo, tranne Paul che invece è di spalle. Inoltre, l’indice di George Harrison, indica una controversa parte del testo di She’s leaving home, una delle canzoni più belle dei Fab 4. La frase dice: “Wednesday morning at five ‘o clock…” che significa appunto “Mercoledì mattina, alle 5 in punto…“. Il 9 novembre 1966, data dell’ipotetico incidente mortale di Paul, era proprio un mercoledì. Anche l’orario combacia: infatti, secondo la versione del fantomatico Tom, McCartney sarebbe morto alle 5 del mattino. 
  • Gli indizi in A day in the life : A day in the life, la famosissima canzone scritta e composta da John Lennon, pare che abbia fornito indizi abbastanza evidenti ai sostenitori della PID. La frase del testo che più colpisce si trova nella seconda strofa della canzone: “He blew his mind out in a car, he didn’t notice that the lights had changed. A crowd of people stood and stared, they’d seen his face before […]” cioé: “Si è fatto scoppiare la testa in una macchina, non aveva notato che le luci fossero cambiate. Una folla di persone stava in piedi e fissava, avevano già visto la sua faccia […]” Con un po’ di intuito è possibile collegare il testo della canzone alla vicenda di Paul McCartney: secondo il complotto è morto in una macchina a causa della violazione di un semaforo (non aveva notato che le luci fossero cambiate) ed era, come tutti gli altri Beatles, famosissimo, quindi è plausibile che le persone lo avessero riconosciuto (Una folla di persone stava in piedi e fissava, avevano già visto la sua faccia).

Questi sono ovviamente solo tre dei numerosissimi indizi che i seguaci della PID nominano per sostenere la loro teoria. Ne esistono tantissimi altri che, però, possono risultare un tantino forzati. 

Come ha preso la teoria sulla sua morte Paul McCartney?

Paul è sempre stato famoso per essere una persona molto sarcastica e auto ironica. Dopo aver scoperto la teoria del complotto sulla sua morte, ha dichiarato: “Sono vivo e sto bene, e non mi interessa delle voci sulla mia morte. Ma se fossi morto, sarei l’ultimo a saperlo”. Qualche anno più tardi, nel 1993, ha anche  pubblicato un album dal titolo Paul is live, un gioco di parole con “Paul is (a)live” cioè “Paul è vivo“, proprio per confermare la falsità della PID. Inoltre, l’immagine di copertina è stata scattata sulle stesse strisce pedonali dell’album Abby Road, sta volta però, la targa del maggiolino alle sue spalle è diversa: 54 IS (54 È) che sta a indicare l’età che Paul aveva nel 1993. Uno sfottò alla teoria del complotto, secondo la quale la targa dell’automobile del 1969, nascondesse un messaggio in codice. 

Realtà o marketing geniale?

Molti sostengono che gli indizi nascosti negli album e nelle canzoni dei Beatles non siano stati inseriti per confermare la morte di Paul, ma piuttosto per accreditare la leggenda della PID e dare così vita a una strategia geniale di marketing. La caccia all’indizio iniziata nel 1969 ha infatti aumentato vertiginosamente le vendite – già molto importanti – dei dischi dei Beatles, che hanno continuato a guadagnare dal nome della band anche dopo il 1970, anno in cui si sono sciolti. Se fosse davvero così, non ci sarebbe da stupirsi: la genialità dei Beatles è sempre stata indiscutibile e l’ipotetica conferma della loro ingegnosità, anche nel campo della promozione commerciale, non sarebbe una straordinaria scoperta.

Fonte immagine: Pixabay

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