Marilena Anzini: la magica voce di Gurfa

Dieci e lode alle tessiture artigiane e favolistiche di queste voci corali che svettano dentro le tracce di questo nuovo disco di Marilena Anzini. Si intitola “Gurfa”, nuovo lavoro che mette l’accento sul fato spirituale, sul modo di essere e di ripensare alle geometrie della vita in un intricato mood lirico e sonoro davvero evocativo. Basti guardare il video ufficiale del singolo “Belli numeri” per tentare di coglierne alcuni aspetti… perché il lavoro è ampio e di certo non è facile riassumerlo. Doverosamente citiamo il lavoro vocale portato alla luce dalle coriste dell’ensemble vocale Ciwicè. Come al solito proviamo a fare un volo a planare sul mondo di Marilena Anzini e sul ricamo pregiato di questo “Gurfa”.

 

Tra musica e acqua… che rapporto c’è?

Quando ho raccolto il materiale che è andato poi a formare l’album, ho riconosciuto nei brani una sorta di filo conduttore che aveva a che fare con l’acqua: mi sono lasciata guidare da questo filo e ho osservato che acqua e musica hanno qualcosa in comune. Innanzitutto hanno entrambe una forte relazione con la vita, comparsa sulla terra miliardi di anni fa proprio nell’acqua: ancora adesso dove non c’è acqua, non c’è vita. E poi ciò che è vivo si muove: anche quando stiamo fermi, il nostro corpo è un concerto invisibile di miliardi di sottili vibrazioni dato che ogni nostra cellula vibra; e se la vibrazione è madre del suono e il suono è materia prima della musica, ecco che noi esseri umani, formati per la maggior parte di acqua, siamo anche formati di musica!

Gurfa, il titolo dell’album, significa letteralmente “l’acqua che si può raccogliere in una mano”: una ben piccola quantità, ma di questa preziosa sostanza che è la stessa che forma l’immensità degli oceani e che connette tutto, dalle nuvole agli esseri viventi; e io credo che la musica abbia questo grande potere di connettere, in modo molto sottile e profondo, gli esseri umani e tutto quanto. In questo tempo fortemente caratterizzato da individualismo e competizione, credo che ce ne sia bisogno più che mai.

 

Le voci sono assolute protagoniste. Diversi i momenti solo vocali. Perché? Il resto del suono che peso ha?

Da tanti anni porto avanti una ricerca sulla voce e sul canto e in modo naturale è avvenuto che tutto ciò confluisse in questo mio nuovo progetto musicale. Mi viene spontaneo dare ampio spazio agli arrangiamenti vocali e corali perché la voce è “il mio mondo”, e anche perché sento il bisogno di sottolineare degli aspetti molto profondi legati al canto che, soprattutto in questi ultimi tempi, vengono un po’ trascurati. Cantare non è solo una forma di espressione artistica e musicale, ma può anche essere un modo bellissimo per conoscersi meglio e migliorare la relazione con se stessi e anche con gli altri, come sperimenta chiunque canti in un coro: se la gente cantasse di più, ci sarebbero meno problemi sociali, ne sono certa. Restando in ambito musicale, la voce è il suono più versatile che c’è e si può usare non solo per cantare il testo della canzone, ma in molti altri modi, come ben sanno le “mie” carissime Ciwicè, l’ensemble vocale che ho raccolto attorno a questo progetto e con cui esploro interessanti prospettive vocali: armonie molto strette come in Rhodè, per esempio, o fonemi e suoni inusuali che formano delle vere e proprie parti strumentali nei brani, come in Filigree o in Belli numeri. La voce ha talmente tante potenzialità espressive che credo farà parte della mia musica ancora per un bel po’! Non che disdegni gli altri strumenti, ci mancherebbe: infatti in Gurfa ho invitato numerosi ospiti che hanno arricchito i brani con timbri diversi. Forse è solo un po’ invertito il processo di stratificazione: è più frequente che gli strumenti creino prima il tappeto musicale su cui la voce canta la melodia principale, sottolineata da eventuali interventi di seconde voci e cori; qui invece la struttura musicale portante è costruita soprattutto dalle voci e il risultato è un sound con una prospettiva un po’ diversa.

 

https://www.youtube.com/watch?v=tRc5zCqoaQ4

 

Penso che “Gurfa” sia un disco contemplativo. Lo penso come favolistico, come dentro un bosco… e non a caso hanno questo taglio anche le tue immagini e i tuoi video. Corretto? È una chiave di lettura che ha senso?

Sì, molti brani di Gurfa sono nati da vere e proprie contemplazioni nella natura, che è per me fonte di ispirazione continua. Per scrivere ho bisogno di quiete, che non vuol dire inattività, anzi! Vuol dire fermarsi, darsi il tempo per sentire, con tutti i sensi, restando molto svegli interiormente, e osservando le cose in verticale scoprendone la profondità…e anche l’altezza. È questo che mi attira, è questo di cui ho bisogno quando scrivo, e la natura è il posto migliore per concedersi questa preziosa attenzione che in fondo dovrebbe essere la normalità invece che un lusso. Esercitarla il più possibile è il modo migliore per far sì che questo stato di presenza e di attenzione entri a far parte un po’ di più anche della vita quotidiana cambiandone la qualità, altrimenti è facile farmi catturare dal vortice della fretta che fa vivere tutto solo in superficie. E mi fa piacere che tu abbia notato questa dimensione anche nel video di Belli numeri: Luisa Raimondi -la videomaker- ha fatto un bellissimo lavoro declinando questa stessa sensibilità con le immagini e con la luce, in un modo che definirei sinestetico: quando ho visto il video per la prima volta è stato come ascoltare il brano… con gli occhi!

 

E che rapporto hai con gli strumenti e il loro ruolo narrativo?

Ogni strumento ha un timbro unico e ha qualcosa da raccontarci, qualcosa da far risuonare in noi. La grandissima ricchezza di strumenti che abbiamo a disposizione è un invito ad affinare il nostro ascolto, intendendo per ascolto un’esperienza che va ben oltre l’udire. C’è un brano di Gurfa che è stato ispirato dalla sansula, una specie di kalimba con un suono cristallino e metallico simile a quello di un carillon. Appoggiata a un davanzale, ho avviato la registrazione con l’ipad e ho lasciato andare le dita sulle lamelle della sansula in modo completamente libero, senza programmi: quella registrazione, comprensiva del canto di uccellini che entrava dalla finestra aperta, è poi diventata l’inizio e la fine del brano. Da quell’atmosfera che si è creata è nato anche il testo: l’ho lasciato affiorare, ritenendo possibile che in qualche modo fosse la sansula a parlare. E mentre ero immersa in questa situazione, mi è arrivato un messaggio su whatsapp da un caro amico con la foto della sua nipotina nata da poche ore e a cui è stato dato il nome di Rhodé, un’antica parola greca che significa rosa…ed ecco il titolo del brano, e nella canzone è entrata anche lei: “Luckily we have roses to see”.

 

Questo disco però non è come l’acqua. Ha forma fisica precisa: ti senti un poco limitata dentro un disco?

Io amo moltissimo l’improvvisazione vocale, l’arte di comporre musica in modo estemporaneo e con il solo uso della voce: è una pratica che educa alla creatività, all’autenticità, all’ascolto profondo, a vivere il momento presente contemplando (anche qui!) le diverse forme che la musica assume volta per volta e rinunciando a fermarne una. È come guardare in un caleidoscopio: per quanto bella possa essere un’immagine, non si perde mai la fiducia che l’immagine successiva sarà sì diversa, ma altrettanto bella.  Con l’Improvvisazione vocale, meglio ancora se in collaborazione con altri cantanti, si vive un grande senso di libertà e la meravigliosa sensazione di scorrere con la musica come in un fiume infinito.

D’altra parte però sento anche il bisogno di fermarmi su alcuni punti di questo fiume, segnando delle tappe che per me hanno più senso di altre e che mi sembra valga la pena condividere più volte e con più persone: da qui la necessità di definire delle forme, delle canzoni, un disco. Ma in fondo questo è un altro aspetto dello stesso percorso, una sorta di mappa che mi permette di comprendere meglio la mia relazione con la musica. Definito inoltre non vuol dire definitivo: tra l’improvvisazione e il disco c’è sempre il live! Nei concerti credo che si incontrino perfettamente questi due aspetti della stessa realtà: nei live inserisco spesso nei brani anche dei momenti di improvvisazione e concludo quasi sempre coinvolgendo anche il pubblico in una circle song, un canto corale basato sull’improvvisazione e sulla ripetizione portato a conoscenza del grande pubblico da Bobby McFerrin e la sua Voicestra. E poi dal vivo le canzoni non sono mai uguali: è la natura stessa della musica che si rinnova sempre, ad ogni esecuzione; come diceva Eraclito: non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume perché sia l’acqua che l’essere umano nel frattempo non sono più gli stessi! Ma il fiume della musica è sempre lì, pronto ad accoglierci con la sua acqua nuova, nel suo scorrere continuo e vitale, nella sua molteplice bellezza.

 

https://open.spotify.com/album/6HVpAPcmGrg1ncHla0AyRJ?si=a2a22782f43d405b

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