PUTAN CLUB, intervista per l’uscita di Filles d’October

Il tre marzo la Toten Schwan Record ha pubblicato ciò che si sostanzia in un’esperienza musicale unica. Infatti l’ultima creatura del PUTAN CLUB è Filles d’October, un doppio album registrato durante quello che chiamano il “rituale” dell’Amplifest. Il PUTAN CLUB rappresenta qualcosa di incredibile, è infatti una realtà che resiste alle pressioni di un mondo musicale consumistico e lo boicotta attraverso la limitatissima produzione, che conta solo 3000 copie su doppio vinile e CD. Distaccandosi da qualsiasi Chiesa e di conseguenza approcciandosi a generi musicali diversi, come il rock, techno, jazz, punk, ethno e flamenco, riescono a spaziare tra dimensioni che si intrecciano perfettamente tra loro.

Abbiamo avuto la possibilità di intervistare questi artisti strepitosi, capaci di rompere tutti gli schemi del convenzionale.

Intervista a PUTAN CLUB

La scelta di un’edizione limitata a 3000 copie e l’assenza di ristampe sembrano essere un atto di ribellione contro la logica commerciale dell’industria musicale. Come vedete il rapporto tra arte e mercato oggi?

Si tratta ovviamente di un rifiuto delle regole dell’industria musicale, con una sfumatura di sana provocazione. Ma è soprattutto amore per il lato effimero delle cose, compresa questa fragilità che la musica possiede. In un certo senso pensiamo che con l’invenzione del cilindro fonografico Thomas Edison e Charles Cros abbiano aperto il vaso di Pandora dando il via a quello che molto presto sarebbe diventato un “mercato” – una parola orribile per designare in realtà un’industria dell’emozione applicata e poi commercializzata. D’altro canto la riproduzione meccanica ha un lato divulgativo, quindi educativo se non memoriale, che può essere positivo. Ma visto l’equilibrio tra le malefatte dell’industria discografica, la sua corsa verso l’ignoranza da un lato e la fruibilità immediata ed effimera di un’opera dall’altro, pensiamo che sarebbe preferibile ritornare a un lato raro, fragile e deperibile della musica. Basta osservare come oggi la gente l’ascolta, conoscendo a malapena il nome dell’artista e ancor meno dell’opera, per rimpiangere quest’epoca in cui la musica ascoltata poteva essere solo dal vivo (anche luogo di aggregazione, ma questo è un altro discorso). Una volta ascoltata, la musica scompariva, e tutto ciò che restava era solo il frutto dei tuoi ricordi, della tua fantasia, sviluppando così il lato meravigliosamente critico delle tue emozioni: quella che si potrebbe chiamare una “cultura” – che in realtà è solo la parola per indicare un mezzo per combattere la tristezza, contro il taedium vitae di una vita resa terribilmente difficile… spesso dall’industria, appunto. L’arte e il mercato non dovrebbero avere alcun rapporto, dovrebbero essere evitati come la peste. Questa è una connessione estremamente tossica.

“Essere un artista è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita.” Gian Maria Volontè

Infine, sinceramente, la vendita di dischi nella vita di un musicista corrisponde ormai solo a qualche pieno di benzina e qualche kebab in tournée. A meno che non sia guidato e diretto dall’industria e dalla sua promozione, ovviamente. Infine lavorare per promuovere un album richiede molto tempo. È il tempo che ci manca e la nostra vita è altrove. Per il Putan Club, la pubblicazione di queste Filles d’Octobre è stato solo il desiderio di fare un punto sullo sviluppo del progetto.

Parlate di “resistenza” come filo conduttore della vostra musica. In che modo la musica diventa uno strumento di lotta contro l’omologazione e le convenzioni? Qual è il significato di questa “resistenza” per il PUTAN CLUB?

Fare quello che vogliamo, quando vogliamo e dove vogliamo. Reinventarsi una vita, altrove e lontana dalla strada tracciata dalle strategie commerciali. Resistere alla banalizzazione della vita capitalista. La musica non è mai stata un vero strumento di lotta ma potrebbe aver sostenuto alcune rivolte e rivoluzioni. Se il nostro modo di fare e la nostra musica potessero essere una piccola parte della colonna sonora di queste ribellioni, ne saremmo un po’ orgogliosi. La disperazione e poi l’ignoranza non devono vincere.

Nel comunicato parlate di “carri armati e parole contate”. In che modo la musica del PUTAN CLUB riflette la brutalità e la forza dei conflitti, ma anche la delicatezza e la complessità dei messaggi che volete trasmettere?

Parole contate: ormai i nostri testi provano ad essere concisi, brevissimi, cercando di toccare o interrogare il più velocemente possibile, di individuare un problema, una domanda, senza crogiolarsi in logorree alla fine inefficaci. La musica dei Putan Club può essere oscura, violenta, complicata come lo è questo lungo momento al quale stiamo sopravvivendo, ma è anche ritmata e ballabile. “Se non posso ballare, allora non voglio fare parte della tua rivoluzione. » (Emma Goldman, Jack Frager).

La vostra “resistenza” musicale è paragonata a quella dei partigiani europei e degli oppositori globali. Come vivete questo parallelismo e come il vostro approccio alla musica si inserisce in un contesto politico e sociale globale così turbolento?

Crediamo che la fine di questo mondo sia irreversibile, anche l’ascesa dell’estrema destra e la vittoria del capitalismo e dell’ignoranza sembrano irreversibili, ma altrettanto irreversibili sono le resistenze che uniranno le persone nelle strade per forse morire assassinate ma sopratutto per organizzare la caduta e abbattere questo intero sistema iniquo basato sull’ignoranza che sta facendo marcire le nostre vite. Forse non lo vediamo ma ogni passo, ogni lettura, ogni ascolto, ogni sguardo, ogni riflessione diversa ci condurrà lì, verso una rivoluzione globale, in modo irreversibile. Lo speriamo. E ancora, se il nostro modo di fare e poi la nostra musica potessero essere una piccola parte della colonna sonora, ne saremmo orgogliosi. La disperazione e l’ignoranza non possono vincere (repetita iuvant).

Avete collaborato con alcuni nomi davvero iconici come Lydia Lunch, Eugene S. Robinson e Denis Lavant. Cosa vi spinge a scegliere questi collaboratori e come si sviluppa una collaborazione creativa così intensa e variegata?

Scegliamo di lavorare con questi amici per quello che apportano. La ferocia poetica e senza filtri di un Denis Lavant, la lucida provocazione di una Lydia Lunch (alla quale avevamo “proibito” di cantare), le libere eruzioni di Eugene S. Robinson, la ferocia liberatoria della bangatunisina o del n’döep senegalese, ecc. Ma queste collaborazioni partono sempre da un desiderio di catarsi e di portare il pubblico verso altri lidi. Non sono fellazioni artistiche, tutto questo ha un ruolo, spesso sociale, di comunità, come durante i rituali studiati in Asia e Africa.

Il PUTAN CLUB si definisce come “un banco di prova”. Potreste raccontarci come è nata questa visione e come si riflette nel processo creativo e nella vostra libertà artistica?

Il Putan Club nasce realmente come banco di prova fonico per tutti gli altri progetti che abbiamo (Ndox Electrique, Ifriqiyya Electrique, Trans-Aeolian Transmission, Machine Rouge, ecc…). Avevamo bisogno di provare la fonia (missaggio, equalizzazione, compressione, ecc…)del materiale che avremmo eseguito dopo. Bisognava anche capire come avrebbe reagito il pubblico. Quando creiamo, possiamo dedicare intere settimane a una singola misura o a un singolo break, provarli in un concerto del Putan Club, quindi rielaborarli ancora e ancora. Il Putan Club doveva durare solo pochi mesi, poi la gente ci chiamava ancora e ancora- ed è diventato un vero gruppo.

Non appartenete a nessuna “Chiesa” musicale e avete detto di non aver paura di sfidare ogni genere. Qual è la sfida più grande nel non aderire ad etichette predefinite e come affrontate la continua ricerca del nuovo e dell’inedito?

Non c’è una continua ricerca del nuovo, dell’inedito, ma un’enorme curiosità. Capire come funziona, come altri riescono a toccare il cielo o a scatenare gli inferni. La musica che più spesso ci affascina è quella che non capiamo, come il flamenco o i modi orientali. Amiamo studiare e toccare il cuore delle espressioni.

Infine, con il nuovo album in arrivo e il vostro continuo tour attraverso il mondo, quali sono le prossime sfide per il PUTAN CLUB e come vedete il futuro della vostra musica in un panorama sempre più globalizzato e omologato?

Fuggire altrove. Ritornare a Konibodon, studiare il falak o l’hâu dông. Investigare ulteriormente la techno, Fauré o l’hardcore. Sognare, seriamente e realizzare questi sogni. Questa vita è troppo breve per affidarla a un qualsiasi capo.

La libertà si manifesta solo nella creazione o nella lotta, che in definitiva hanno lo stesso obiettivo: la realizzazione della nostra vita. Cobra#4

fonte immagine: ufficio stampa

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