Ronin – Bruto Minore: intervista a Bruno Dorella

Ronin – Bruto Minore: intervista a Bruno Dorella

Il 16 settembre è uscito l’album Bruto Minore dei Ronin (BlackCandy Produzioni), otto brani originali ed una cover degli Hun-Huur-Tu, tutti strumentali.  La nuova formazione è composta da Nicola Manzan, Roberto Villa, Alessandro Vagnoni e Bruno Dorella (fondatore della band), che abbiamo intervistato. Registrato allo studio analogico L’Amor Mio Non Muore di Roberto Villa col contributo di Giulio Favero, Bruto Minore è ispirato ai componimenti poetici di Giacomo Leopardi ed al tema della sconfitta.

Intervista Bruno Dorella, fondatore dei Ronin

L’ultimo album dei Ronin, Bruto Minore, è solo strumentale, registrato in analogico. Scelte singolari, da dove derivano?

Il gruppo nasce come strumentale, inizialmente era una musica per colonne sonore immaginarie, poi sono arrivate anche le colonne sonore vere e quindi abbiamo distinto maggiormente il lavoro per il cinema da quello per le registrazioni degli album. Però l’idea di rimanere molto cinematografici e molto strumentali è rimasta nel tempo.

Per quanto riguarda la registrazione analogica il nostro nuovo bassista, Roberto Villa, ha uno studio a Forlì chiamato L’amor mio non muore, caratterizzato dal fatto di lavorare esclusivamente in analogico su nastro.

Avevamo otto piste a disposizione quindi è stata un’esperienza un po’ diversa rispetto a quella che fa la maggior parte dei gruppi al giorno d’oggi: suonare tutti insieme e cercare una performance convincente come si faceva una volta. Da un lato è un po’ anacronistico, dall’altro dà anche una grande soddisfazione.

Una volta finita la take di registrazione il pezzo è pronto, ci si mette un po’ di più a trovare la performance giusta ma una volta che l’hai trovata praticamente il pezzo è finito, dopo c’è poco o niente da fare e la pasta sonora è decisamente più calda, più avvolgente, esattamente com’erano i dischi di una volta.

Un’altra scelta singolare è la cover degli Hun-Huur-Tu, da dove è venuta questa idea?

Dobbiamo risalire agli anni ’90, un giorno vedo su Rumore la recensione di un disco che si chiama “Voices From The Distant Steppe” del gruppo SHU-DE che viene descritto come il grind della steppa. L’utilizzo della voce che fanno questi gruppi tuvani, mongoli e del nord della Cina veniva descritto dalla rivista come un approccio metal, grind alla musica etnica di quelle parti.

Si chiama throat singing, pemette di far uscire diverse note risonanti da un’unica emissione vocale, si va da questo suono gutturale di partenza anche a delle risonanze altissime, escono due, tre, quattro note da una sola emissione vocale. Il pezzo in particolare mi è subito piaciuto: fin da quando l’ho sentito, diversi anni fa, ho pensato di farne una cover con i Ronin e questo mi è sembrato l’album giusto dove inserirla.

Passiamo ai temi dell’album, come mai la sconfitta, il fato e il suicidio come via d’uscita? Ci può essere una vittoria sul Fato, un’alternativa?

No, non credo. L’indifferenza se non addirittura l’ostilità dalla parte della natura e del divino nei confronti dell’uomo viene vista da Leopardi e dall’eroe come un affronto o comunque come una cosa difficilmente accettabile.

Mentre invece il Fato è la cosa accettabile per antonomasia. L’indifferenza di Dio è difficile da accettare, da lì l’eroe come dignitosa via d’uscita sceglie il suicidio, che non è una fuga ma una rinuncia volontaria, consapevole e libera.

Come mai la scelta di questi temi, il passaggio da brani ispirati a colonne sonore a quelli improntati più a queste tematiche?

È sempre musica strumentale, sono più suggestioni che tematiche, non essendoci testi non abbiamo la possibilità di approfondire l’argomento. Cerchiamo di dare delle indicazioni tecnico-tematiche attraverso i titoli dei brani che componiamo o attraverso le immagini delle copertine. Ci piace quest’estetica un po’ perdente, da sconfitta sempre dignitosa, eroica, la sconfitta di un guerriero.

 

All’interno di queste suggestioni tematiche può esserci anche qualcosa di positivo? L’album è un invito a tralasciare la lotta a causa del fato o a ignorare il fato e continuare per la propria strada?

Tralasciare la lotta assolutamente no, casomai proseguirla in maniera donchisciottesca, continuare a lottare sapendo che è perfettamente inutile, facendolo sostanzialmente per se stessi e per una sorta di ideale di giustizia o di valore. In qualche modo sì, è assolutamente positivo come ideale, nella sua negatività, nel suo pessimismo è assolutamente positivo, è il meglio che si possa fare in questo mondo.

Perché avete associato l’album, da un punto di vista estetico, alla terra brulla e non più a quegli spazi aperti ai quali si associavano gli album precedenti? 

Mi ero un po’ annoiato di questa continua associazione dei Ronin allo spazio aperto, al deserto, all’acqua o comunque a un orizzonte lontanissimo. Abbiamo deciso di fare un disco più brullo, più grezzo, sempre legato ad una desolazione, ma non ad una desolazione di distese ma più terrigna, più brulla, più sanguigna. Questa volta volevo vedere dei risultati un po’ più virili, un po’ più terrigni ma non nel senso della terra “madre fertile”, ma arida e crepata.

Se dovesse scegliere un posto che rappresenti questo album quale sceglierebbe?

Da quando Marina Girardi ha fatto questa bellissima copertina lo associo molto a questa foresta che c’è nell’Oregon, Redwood, che è una distesa immensa di foresta con una terra ed un fogliame tutto rosso/arancione.

Quali sono state le ispirazioni musicali dell’album?

Sempre le grandi colonne sonore, i nomi sono un po’ quelli dall’inizio del progetto, Morricone, Henry Mancini, Badalamenti… Negli anni si sono aggiunte prepotentemente le colonne sonore dei film di arti marziali cinesi. In qualche modo riescono a unire il suono della Cina, dell’Oriente con grandi orchestrazioni ed in qualche modo la drammaticità tipica del western. Un buon ponte tra queste due culture secondo me è costituito proprio dalla musica mongola e tuvana, una musica delle steppe, che parla di buoi e cavalli, un un po’ come quello di cui parlano i cowboy nei western.

Musicalmente si trovano anche ad essere sorprendentemente vicine, se consideri la tradizione country/bluegrass americana e la musica tradizionale cinese non potrebbero esserci due cose più lontane , e invece questi mondi si avvicinano in maniera molto netta, se ascolti Morricone e le colonne sonore di alcuni film di arte marziale le soluzioni armonico-melodiche sono molto simili.

Avete anche realizzato delle colonne sonore per alcune produzioni, se poteste essere chiamati per una grande produzione o poteste rifare la colonna sonora di un film del passato su quali film vi piacerebbe lavorare?

Per la grande produzione sono libero di sognare quanto voglio?

Assolutamente

Allora sulla grande produzione non avrei dubbi, direi Tarantino. La colonna sonora secondo me è soprattutto citazionismo, in pochi secondi devi riuscire a creare un’atmosfera, per suggestioni o per contrapposizioni. Bisogna saper maneggiare molti generi musicali in modo da poter sempre creare l’atmosfera necessaria per quel momento e Tarantino è per eccellenza il citazionista nel cinema come nella musica.

Se posso scendere più sulla Terra mi basterebbe e avanzerebbe una grande produzione italiana ad esempio: il cinema italiano non è affatto morto come si pensa. Per quanto riguarda i film del passato mi piacerebbe rifare alcune colonne sonore dei film di Kim Ki Duk, film meravigliosi con delle colonne sonore che soggettivamente non mi piacciono.

Grazie a Bruno Dorella dei Ronin per la disponibilità

Francesco Di Nucci

A proposito di Francesco Di Nucci

Studente, appassionato di musica e libri.

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