Questa intervista dedicata a Simone Piva vede la presentazione del suo nuovo singolo, “Cosa siamo diventati”, disponibile dal 19 Giugno 2025 su tutte le piattaforme digitali. Simone Piva, cantautore friulano dalla voce forte e intensa, da sempre attento ai temi della territorialità e dell’identità, propone questo brano, “Cosa siamo diventati”, dedicato allo smarrimento che spesso accompagna l’età adulta: il percorso di crescita infatti mina, in maniera alle volte definitiva, l’identità degli individui, facendone scomparire i tratti distintivi e riducendoli ad un ingranaggio meccanico i cui movimenti sono scanditi dalla fretta, dalle aspettative degli altri e dalla tecnologia. “Non gli parliamo più…al bambino che è in noi…da quando ci trasformiamo in uomini” ed è per questo che Simone Piva invita a riflettere su “quel senso di distanza che si crea tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati” e a “ricominciare ad ascoltarsi” lavorando su sé stessi e liberandosi finalmente di qualche zavorra pesante e inutile che l’età adulta ci fa sentire in dovere di trasportare sulle spalle. Questo messaggio che coinvolge tutti, o almeno tutti quelli che hanno o stanno vivendo un cambiamento, è costruito su una struttura musicale assolutamente piacevole e melodiosa: l’atmosfera del brano è coinvolgente ed orecchiabile, nel senso più positivo del termine. In questa intervista Simone Piva racconta anche dei suoi gusti musicali e delle band e artisti che hanno accompagnato la sua crescita personale e artistica e del suo rapporto con i social.
Ecco come Simone ha risposto alle nostre domande.
Il brano è molto intenso e piacevole, sia dal punto di vista musicale che del contenuto. È nata prima l’idea del messaggio che volevi mandare o prima la melodia? Come fai nascere una canzone?
Di solito per me nasce tutto insieme, quasi come un flusso. In questo caso però, con Cosa siamo diventati, è arrivato prima un bisogno: raccontare quel senso di distanza che si crea tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati, appunto. Poi è arrivata la melodia, che è venuta fuori in modo molto naturale, quasi fosse già lì da tempo. A volte una canzone nasce da un’immagine, altre da una frase appuntata di fretta sul telefono. Non c’è una regola fissa, ma c’è sempre un’urgenza emotiva.
Il testo è malinconico ma anche estremamente positivo. A chi è diretto principalmente? Ai giovani o agli adulti? Qual è il fine di un brano così introspettivo?
Credo sia un brano per chiunque abbia vissuto un cambiamento profondo e si sia chiesto: “Ma io, adesso, chi sono diventato davvero?” Può parlare ai giovani che si affacciano al mondo adulto, ma anche agli adulti che magari si sentono disconnessi da loro stessi. Il fine non è dare risposte, ma aprire domande. E ricordare che in quella malinconia c’è anche spazio per ricostruirsi in modo più autentico.
Quando si resta intrappolati nella “maschera” adulta, quale potrebbe essere secondo te un modo per ritrovare almeno una parte della nostra autenticità?
Ricominciare ad ascoltarsi, anche nelle piccole cose. Non parlo di rivoluzioni esistenziali, ma di momenti in cui si riesce a stare in silenzio, a fare qualcosa solo per sé, senza filtri. L’autenticità spesso è sepolta sotto strati di doveri, aspettative, apparenze. Ritrovarla è un lavoro di sottrazione. La musica, in questo senso, è sempre stata per me un modo per tornare a casa.
La trama musicale richiama vari artisti, da Paul Weller ai Beatles, dagli Smiths ai The Who. È così? Chi sono gli artisti che maggiormente hanno ispirato il tuo modo di scrivere musica?
È un bellissimo complimento, grazie! Sicuramente c’è dentro anche quel mondo lì. I Beatles restano una scuola emotiva e musicale. Gli Smiths per la loro delicatezza malinconica, Weller per la scrittura elegante, i The Who per l’energia. Ma mi hanno ispirato molto anche i Giant Sand, che amo per il loro approccio sporco, istintivo e sincero, sempre un po ’ai margini ma profondi. In Italia invece ascolto molto I Sacri Cuori: mi piacciono per il loro approccio western. Ma mi ispirano anche autori italiani, da Battisti a Silvestri, passando per Mannarino e Baustelle. Cerco sempre un equilibrio tra immediatezza e profondità.
I social hanno in qualche modo influenzato la tua produzione musicale? Se sì, come?
In parte sì. Non scrivo pensando ai social, ma sono una finestra su ciò che la gente prova, desidera, teme. A volte leggo una frase, una storia, un commento e mi resta dentro, magari diventa il seme di una canzone. Poi c’è anche un altro lato: attraverso i social racconto il mio territorio, il Friuli Venezia Giulia, con leggende, misteri e personaggi che fanno parte della nostra identità culturale. Questo modo di raccontare mi connette alle persone e, in un certo senso, alla mia stessa ispirazione.
Hai progetti estivi per la promozione del tuo nuovo lavoro?
Sì, ci saranno alcuni live in giro, accompagnato dalla mia band, i Comancheros: Raffaele Bartolini alla batteria e Giorgia Favaro al basso. Suonare dal vivo è sempre il modo più sincero per condividere una canzone, per viverla insieme. “Cosa siamo diventati” è solo il primo passo di un percorso più ampio, un viaggio che è appena cominciato. Seguitemi, e viaggiamo insieme.
In conclusione l’intervista a Simone Piva è quasi un invito a ritagliarsi un momento per ritornare a parlare con il sé stesso bambino andando a rispolverare un po’ della spontaneità dell’infanzia. Il brano, primo estratto dall’album “Da dove nasce il vento” in uscita nell’autunno 2025, fa parte di un progetto volto ad esplorare il tema dei confini, geografici e interiori, partendo dal Friuli ma con lo sguardo rivolto al mondo.
Fonte immagine: Ufficio Stampa